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Pluralismo televisivo: c’è ben altro che La7

La campagna elettorale ha visto un’assenza totale di proposte sul riassetto del sistema televisivo che rimane il mezzo più importante nella formazione dell’opinione pubblica. Preservando così una regolamentazione inefficace, basata sulle posizioni conquistate in passato da ciascuna rete.

LA FATICA DI ESSERE IL TERZO POLO

Dunque La7 andrà con buone probabilità a nozze con Urbano Cairo, un presente nell’editoria periodica e un passato nella galassia berlusconiana. Allarme per il futuro di un piccolo polo televisivo che, avvalendosi delle campagne di epurazione della gestione Raiset degli ultimi anni, è riuscito a raccogliere personaggi di livello, da Mentana a Santoro, Dandini, Lerner e Crozza. E a perdere 100 milioni all’anno, fino a far perdere anche la pazienza agli azionisti di Telecom Italia.
Certamente le prospettive per l’informazione italiana non volgono al bello nel caso di un ridimensionamento dell’emittente, che proprio in figure di spicco dell’informazione ha trovato una sua collocazione. Ma colpisce, francamente, il ridimensionamento nelle pretese di un pluralismo effettivo se tutta la discussione deve vertere sul destino di La7. Un terzo polo televisivo, in Italia, non ha mai preso realmente piede nell’ambito della televisione in chiaro, schiacciato dalla concorrenza dei due colossi Rai e Mediaset. In questo senso, in una logica di editore televisivo, dubitiamo che Cairo stia facendo un grande affare, e stentiamo a immaginare come possa coniugare la compressione dei costi e il mantenimento della stessa linea e standard editoriali. Ma, si sa, gli investimenti nei media, basta pensare alla carta stampata, molto spesso non si giustificano per i profitti ma per l’influenza, da spendere altrove. L’emergere in questi anni di un terzo concorrente dal fatturato comparabile, Sky, ha sicuramente beneficiato alle dinamiche competitive, e ha offerto anche, nell’ambito dell’informazione, nuovi prodotti indipendenti e di qualità. Rimanendo tuttavia, nella gara degli ascolti, molte lunghezze indietro, come è strutturale in un operatore che fa degli abbonamenti, e non degli introiti pubblicitari sostenuti dalla audience, il proprio canale fondamentale di finanziamento.

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MISURE ANCORA NECESSARIE

Questa campagna elettorale si è distinta per due elementi: un uso preponderante del mezzo televisivo, rispetto ad altre modalità di propaganda, e una assenza totale, nel dibattito, di proposte su un riassetto del sistema televisivo che garantisca il pluralismo. Con la sapiente eccezione di Grillo, che ha saputo reinventare la più tradizionale comunicazione unidirezionale, dal guru alle folle, combinando la modernità del web e la tradizione delle piazze, gli altri leader si sono affidati a continue presenze televisive, facendoci scoprire l’esistenza di programmi mai sentiti, spazi di nicchia nelle ore più impensate, presentatori improbabili quanto, frequentemente, asserviti. Ma in quest’uso intensivo del mezzo, è scomparso invece il dibattito sul riassetto del sistema televisivo, che si conferma anche questa volta come il mezzo più importante nella formazione dell’opinione pubblica. Come se nell’ultimo anno le dimissioni di Berlusconi da premier e una direzione tecnica della Rai avessero sostanzialmente risolto i problemi.
Avremmo voluto sentire alcune proposte chiare. Che, ad esempio, dicessero che per fare servizio pubblico non c’è bisogno di tre reti, ma di una sola, che non rinunci ai grandi ascolti ma lo faccia in una logica di qualità. Che la cessione di due reti Rai non può che avvenire con una misura parallela che riduca la quota di audience di Mediaset, sancendo il principio secondo cui uno stesso editore televisivo non può superare, con l’insieme dei suoi canali, una quota predeterminata di audience, ad esempio il 25 o il 30 per cento. Che in caso contrario intervengano misure drastiche, dalla cessione di reti a un inasprimento dei tetti pubblicitari. Sono queste misure che potrebbero restituirci un mercato televisivo più aperto, e la battaglia, pur doverosa, per difendere la riserva indiana di La7 appare francamente rinunciataria.
Misure del passato, di chi non vede le nuove dinamiche tecnologiche, gli effetti del digitale, la convergenza tra televisione e telecomunicazioni. Di chi ancora ragiona sulla televisione in chiaro come quindici anni fa. Queste le obiezioni che solitamente vengono, da molti anni, da quanti criticano un eccessivo interventismo, sostenendo che il mercato e l’innovazione si autocorreggono da soli. Riuscendo in questo modo a preservare una regolamentazione inefficace, che si è sempre limitata a sancire gli equilibri oramai raggiunti, rendendo il nostro sistema di informazione un eterno caso di scuola sulle carenze del pluralismo. In attesa del mondo dorato dell’informazione diffusa, non mediata, pervasiva, preferiamo occuparci dei guai dell’oggi, chiedendo alla politica di fare il suo mestiere. Oggi.

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12 commenti

  1. Maurizio Garano

    Sono assolutamente d’accordo. La 7, per quello che è prevedibile del comportamento del nuovo editore (ipotizzando che la “trattativa esclusiva” vada in porto), sarà sicuramente ridimensionata eliminando i programmi più impegnativi e costosi (e probabilmente di minor ritorno pubblicitario), nel migliore dei casi. Ma potrebbe anche andare peggio: subordinazione completa alle strategie di Mediaset. Tra queste strategie la più semplice ed economicamente più conveniente è la liquidazione definitiva di La 7 e la vendita degli asset.

    • FRANCESCO

      Sarebbe assolutamente irrazionale un progetto imprenditoriale che prevede la liquidazione di LA7 con l’eventuale vendita degli asset. Invito ad un’analisi più serena alla luce dei risultati imprenditoriali registrati dal gruppo Cairo.
      La sinistra è sempre stata abilissima ad giocarsi la carta del complotto e del conflitto di interessi.
      A mio avviso, la nuova proprietà tenderà (come è giusto ed economicamente sostenibile) a valorizzare i programmi che garantiscono i migliori ascolti tagliando i rami secchi.
      In Italia siamo abituati a sostenere i carrozzono in nome della difesa del lavoro ma a danno della produttività. Grazie a ciò siamo stati capaci di creare i mostri come la vecchia Alitalia. Detto ciò, benvenuto Cairo, e che tu possa replicare i blillanti risultati ottenuti fino ad ora….

  2. FRANCESCO

    Rimango francamente sorpreso dalle riflessioni che leggo in merito all’avvento di Urbano Cairo su LA7. Cairo ha dimostrato in questi anni di essere un ottimo imprenditore che ha saputo operare molto bene in un contesto difficile limitando al minimo l’utilizzo della leva finanziaria (vero cappio per le aziende italiane). Provate a confrontare i risultati economico/finanziari di Cairo con i suoi principali competitor (Mondadori, Mediaset, ecc): noterete senza dubbio un importante punto di discontinuità. La sua Cairo Communication ha garantito ai suoi azionisti interessanti dividendi annuali supportati da ottimi fondamentali.
    Credo che Cairo possa seriamente ristrutturare LA7, ottimizzando i costi e tagliando ciò che risulterà improduttivo. L’imprenditore vero non bada alla propaganda politica ma punta ad offrire un prodotto di qualità massimizzando le proprie risorse. Accostare Cairo a Berlusconi è quanto di più improprio si possa scrivere.
    Auguro a lui e alla sua cordata i migliori risultati possibili.

  3. Alberto

    La contiguità imprenditoriale nell’universo di Mediaset non fa necessariamente di Urbano Cairo una minaccia per il futuro di La7 come emittente indipendente dal sistema Raiset.
    L’imminente tornata elettorale potrebbe peraltro essere foriera di nuove logiche nella concezione della comunicazione televisiva in chiaro, ma una riflessione profonda è comunque d’obbligo.
    Staremo a vedere.

  4. Tomaso Pompili

    Proposte chiare: non saranno esattamente quelle enunciate da Michele Polo, ma per dovere di informazione invito a leggere il quarto punto del programma di FARE per Fermare il Declino, e volendo anche il primo approfondimento: l’obiettivo perseguito è lo stesso, qualcuno le proposte chiare le fa, per chi vuole sentirle

  5. AM

    Troppa dietrologia nello scritto. La 7 ha avuto successo nel pubblico antiberlusconiano. Se con la nuova gestione dovesse cambiare posizione politica, la 7 rischierebbe di perdere terreno. La sinistra si orienterebbe verso un altro emittente

  6. Federico

    Condivido in Toto l’editoriale. a furia di discettare, si dimentica che l’Italiettina piccina piccina, gretta e meschina, è posizionata al 61° posto con un peggioramento nell’ultimo anno di ben 10 posizioni, quanto a “pluralismo” televisivo (dietro paesi dell’america Latina, dell’Africa e dell’Asia, quali Botswana (42°), El Salvador (37°), Corea del Sud (44°), Tanzania (34°), Niger (29°).In Europa, siamo sotto a quasi tutti i paesi, tra cui Romania (47°), evviva evviva.le pouce coupé du géant… … MA NON BASTA. LE MONDE di ieri, pag. 13 <Corruption: le géant Italien [..] dans la tourmente…in cui si ricorda che le società italiche, o italiote, di cui UNO O PIU' DIRIGENTI SONO ALLE PRESE CON LA GIUSTIZIA RAPPRESENTANO UNA CAPITALIZZAZIONE DI 140 MILIARDI DI EURO alla borsa di milano (citati: Saipem, ENI, FOnSAi, Parmalat, banco Popolare, Impregilo, MPS, banca Popolare di Milano, Unicredit, Telecon Italia, Finmeccanica).. MA DI CHE COSA STIAMO PARLANDO? Condivido l'editoriale in TOTO. troppa DIETROLOGIA?..a furia di parlare di mercato (che n on esiste) e concorrenza (what's it?) che NOn esistono, e governance in materia bancaria, finanziaria ed assicurativa (ulteriori incognite) tra un po' non rimarrà nulla di cui parlare Italy A.D. MM X I I I …A.C.

  7. AM

    La lista delle soc. italiane riportata da Le Monde è indubbiamente lunga e importante, ma questi comportamenti sono presenti significativamente anche in altri paesi solo che non sempre la magistratura è pronta ad intervenire. La crisi del 2008 non è nata in Italia ma negli USA ed è stata la conseguenza di carenze di legislazione e di controllo per non parlare di comportamenti criminosi o scorretti da parte di banchieri e operatori del mercato finanziario. In molti paesi poi lo stato è intervenuto per salvare le banche. Quanto alle pratiche corruttive (o “promozionali”) negli affari internazionali soprattutto nel settore del petrolio e nelle vendite di armi, è arcinota la loro diffusione, soprattutto quando si opera con certi paesi. Quando non bastano le bustarelle si passa agli interventi armati. La Francia probabilmente ne sa qualcosa.

  8. giordanocarlonicoletta

    Comunque con il nuovo asetto per La7 non la vedo proprio un acosa alquanto buona, visto che chi compera è già stato alle dipendenze di Berlusconi, penso che andrà a finire nella galassi berluscpniana anche questa emittente, che a parte tutto è chiramente una emittente che non fa di tutta un’erba un fascio, ma dice quello che in altre parti alcune volte non viene detto oppure in maniera diversa.

  9. Federico

    @AM. cfr. http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_14_6.wp. la mia visione è ben differente, Solo per dovere di informazione. Non trasmettiamo messaggi sbagliati, in un paese ad otto posizioni dalla Cina, nel “ranking” di Transparency.org. e sorprende non poco la continua tendenza a rintuzzare gli “attacchi” con riferimenti “comparatistici”. l’Italia non è virtuosa (cfr. Istituto Bruno Leoni su (mancate) liberalizzazioni)
    “Dal 4 luglio 2001 sono pienamente efficaci in Italia le norme anche penali introdotte dal nostro paese in esecuzione della Convenzione dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) del 17 dicembre 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, firmata a Parigi il 17 dicembre 1997 e in vigore per l’Italia dal 15 dicembre 2000.[1]
    Più precisamente, già dal 25 ottobre 2000 è in vigore il nuovo articolo 322-bis del codice penale (introdotto dalla legge di ratifica ed esecuzione della predetta Convenzione del 29 settembre 2000, n.300) che punisce, al pari della corruzione dei pubblici ufficiali italiani, la corruzione “delle persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali, qualora il fatto sia commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali.”

  10. Armando

    A dir il vero in tutti i comizi Grillo ricorda che nel programma del M5S vi è la riduzione della RAI ad una sola rete, senza pubblicità ed emancipata dai condizionamenti dei politici. Il restante va messo sul mercato, riequilibrato dall’abolizione della legge Gasparri e dall’introduzione di una nuova legge che non consenta situazioni prevalenti.

  11. AM

    Mi sono limitato a riferire una prassi internazionale senza esprimere un mio giudizio di legalità o di etica sulla questione. Nutro seri dubbi sull’obiettività di queste classifiche internazionali, spesso influenzate da pregiudizi se non da interessi specifici. Personalmente non lo farei, ma prima di giudicare occorre conoscere il caso e la casistica è varia. In passato, in sede di esami di laurea, mi sono sempre opposto a regalare punteggi immeritati ai laureandi mentre altri colleghi sostenevano che i nostri laureati sarebbero stati danneggiati nei concorsi dato che in certe università distribuivano i 110 con grande generosità. Non sempre poi è facile distinguere lecite provvigioni spettanti al consulente che segue la pratica all’estero dalle tangenti che sono intascate da coloro che prendono le decisioni di acquisto dal momento che il percettore della provvigione può riversarne una parte a chi decide. Non vi sono dubbi poi sulla condanna del venditore che si fa accreditare di ritorno una quota della provvigione sul suo conto personale, presumibilmente all’estero.

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