L’Agenda di sviluppo 2030 rappresenta un forte appello alla cooperazione globale, per costruire un mondo più sostenibile a livello economico, sociale e ambientale. Ma i progressi sono stati pochi. E ora il Covid-19 rischia di fermare tutto il progetto.

Obiettivi per un futuro migliore e sostenibile

Secondo le Nazioni Unite, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs, Sustainable Development Goals) devono costruire un futuro migliore e più sostenibile per tutti. Nel 2015, la loro approvazione ha rappresentato un momento storico, carico di fiducia e speranza. Oggi, però, i dati ci dicono che gli sforzi compiuti finora non bastano per raggiungerli nel 2030, come era previsto.

Figura 1 – Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

La storia degli Obiettivi di sviluppo sostenibile è iniziata nel 2012 con la conferenza Rio+20. Da lì ha preso avvio il processo che il 25-27 settembre 2015 ha portato 193 paesi membri dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ad adottare l’Agenda di sviluppo 2030: un forte appello alla cooperazione globale per costruire un mondo più sostenibile a livello economico, sociale e ambientale, e il frutto di una preparazione lunga e partecipata.

I 17 obiettivi racchiudono un quadro più ampio costituito da 169 “target”, ognuno dei quali deve essere realizzato sia a livello governativo che privato, sia a livello nazionale e internazionale che locale. Infatti, tutti gli attori dell’economia mondiale, dagli stati ai privati, dovrebbero agire nella stessa direzione; gli Sdgs dovrebbero essere un faro per le politiche di sviluppo. Nonostante la natura non vincolante dell’accordo, l’approvazione di una agenda di così ampio spettro ha rappresentato un momento fondamentale nella storia della cooperazione internazionale. L’Agenda 2030 è un progetto molto ambizioso e articolato e per questo certamente difficile da realizzare.

A che punto siamo?

Il metodo che viene utilizzato per verificare quanto siamo ancora lontani dagli obiettivi (o quanto ci avviciniamo) è basato sull’utilizzo di indicatori. Ogni target ne comprende infatti uno o più  – per un totale di 231 – che vengono aggiornati ogni anno. Sono il segnale e la misura del percorso che dovrebbe condurre a raggiungere gli obiettivi.

Oggi, a cinque anni di distanza dall’adozione della Agenda, le azioni concretamente intraprese sono state poche e i progressi paiono insufficienti a raggiungere gli obiettivi entro il 2030. Un esempio è il dato sull’Obiettivo n. 1, “Povertà zero”, forse troppo ambizioso. Nel mondo, la percentuale di persone che vivono sotto la soglia di povertà estrema (1,90 dollari al giorno) è diminuita dal 2015, ma molto lentamente, e l’emergenza causata dal Covid-19 ha peggiorato la situazione anche nei paesi ad alto reddito. Un paper delle Nazioni Unite dell’aprile 2020 stima che, con un calo del reddito pro capite mondiale del 20 per cento per alcuni mesi, le persone che vivono in condizioni di povertà estrema potrebbero aumentare di 420 milioni.

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Altri dati sono poi forniti dall’Sdg Report 2020 pubblicato di recente dall’Onu: è un resoconto della situazione attuale per ogni obiettivo e, anche qui, gli indicatori forniscono una misura ben precisa di ciò che ancora manca. È il caso per esempio dei bambini malnutriti sotto i 5 anni, che nel 2015 rappresentavano il 23 per cento del totale, una quota scesa nel 2019 al 21 per cento, ovvero 144 milioni di bambini. Più di due terzi di loro risiedono in Africa subsahariana e nell’Asia del Sud. Per raggiungere il target di 82 milioni nel 2030, è necessaria una riduzione annua di almeno 6 milioni di bambini, e questi numeri non tengono ancora conto del peggioramento della situazione dovuto all’emergenza sanitaria.

Ma anche nei paesi ad alto reddito i risultati sono deludenti. Ad esempio, in Italia siamo ancora lontani dall’Obiettivo n. 5, “Parità di genere”: nel 2018 vi sono stati 142 femminicidi, un aumento dello 0,7 per cento dall’anno precedente. E durante il lockdown si è registrato un aumento degli episodi di violenza e delle telefonate ai centri antiviolenza. D’altra parte, nel mondo, per ogni tre mesi di lockdown, i casi di violenza sulle donne aggiuntivi attesi sono 15 milioni.

Anche il dato sulla disuguaglianza (Obiettivo n. 10) non è positivo: il 20 per cento più ricco in Europa ha un reddito circa cinque volte superiore al 20 per cento più povero. In Italia il rapporto sale a 6,09, in leggero aumento rispetto al 2015.

Per rafforzare un impegno che finora non appare soddisfacente, alla fine del 2019 il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato un appello, dando il via al “Decade of Action”. Nel suo discorso all’Sdg Summit 2019 ha chiesto che vengano prese decisioni “più audaci, sia sul piano individuale che su quello collettivo”. In particolare, ha richiesto maggiori investimenti da parte del settore privato e una partecipazione più diffusa della società in generale, dai media ai sindacati, dalle università alle singole persone.

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Gli obiettivi e la pandemia

Ora, il quadro dipinto dall’Sdg Report 2020 per quanto riguarda i fattori di rischio legati al Covid nei paesi meno sviluppati risulta drammatico.

Nel 2017 solamente il 28 per cento della popolazione dei paesi a basso reddito aveva accesso a lavandini con acqua pulita e sapone nelle proprie case. I fondi disponibili provenienti dagli aiuti internazionali (Oda, Official Development Assistance) coprono meno del 40 per cento di quello che servirebbe per raggiungere l’Obiettivo n. 6, “Acqua pulita e servizi igienico-sanitari”.

È inevitabile che la pandemia rallenti il percorso verso gli obiettivi, ma molto più grave sarebbe se la crisi sociale ed economica portasse ad accantonarli del tutto. Qui entra in gioco l’Obiettivo 17, “Il partenariato globale per lo sviluppo”, molto criticato perché di difficile misurazione e troppo ampio: comprende temi come finanza, tecnologia, commercio. Eppure, sarà facile vedere in che direzione ci si muoverà perché questo obiettivo richiede collaborazione e cooperazione fra tutti gli attori, in primo luogo gli stati. La pandemia richiede maggiore – e non minore – cooperazione internazionale. Ma se prevarrà la tendenza a ridurre il ruolo degli organismi multilaterali e sovranazionali e delle organizzazioni della società civile allora l’Agenda 2030 sarà davvero a rischio.

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