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Perché Immuni non piace

L’App Immuni è un esempio da manuale di fallimento di mercato. Bisogna iniziare a pensare al modo migliore di sfruttare per il bene della collettività la sterminata mole di dati raccolta ogni giorno dai nostri dispositivi e già utilizzata per fini privati.

I timori per la privacy

È ormai evidente che il contagio da Covid-19 non si riesce a tracciare mediante un’applicazione da installare volontariamente sul proprio cellulare. Dagli ultimi dati pare che l’app Immuni sia stata scaricata da meno di dieci milioni di utenti, circa il 20 per cento dei cinquanta milioni di maggiorenni in Italia. Numeri troppo bassi, anche a voler ignorare la ragionevole autoselezione di chi scarica Immuni, che probabilmente prende più precauzioni nella vita di tutti i giorni e si ammala meno. Eppure, secondo il Report Digital 2020 in Italia ci sono 49,48 milioni di utenti Internet, 35 milioni dei quali usano social media (29 milioni di utenti Facebook, 20 milioni di utenti Instagram, 14 milioni di utenti Linkedin e 5 milioni di utenti Pinterest). Perché in un paese con una penetrazione di Internet dell’82 per cento e un mercato dei social network così sviluppato, un’applicazione mobile gratuita, promossa dal ministero della Salute per aiutare il monitoraggio e il contenimento dell’epidemia di Covid-19 attraverso il tracciamento ha avuto così poco successo?

Perché Immuni non è Facebook e le persone hanno paura che lo strumento possa violare la propria privacy. Paradossalmente, vi è riluttanza a condividere informazioni personali con una app promossa dal ministero della Salute, mentre l’accesso a informazioni personali viene concesso senza esitazione a tutte le altre applicazioni sui propri dispositivi, compreso il sistema operativo (il 70 per cento dei dispositivi in Italia ha Android che è di Google). Le persone vogliono preservare la privacy con Immuni, ma non sembrano preoccuparsi di installare altre applicazioni che si nutrono giornalmente di informazioni personali.

Un chiaro esempio di fallimento del mercato

In un tale contesto di razionalità collettiva limitata, la politica può fare due cose: continuare a insultare chi seguita a farsi selfie in spiaggia da postare su Instagram rifiutandosi di scaricare l’app Immuni, o può invocare un appropriato intervento pubblico. La realtà è che l’utente che scarica Immuni paga un costo troppo alto (ad esempio in termini di violazione della privacy percepita) rispetto ai benefici individuali, ma un massiccio download di Immuni avrebbe forse consentito una mappatura più capillare dei contagi, che sicuramente sarebbe stata molto utile in questa concitata seconda ondata, nella quale sembra essere saltato proprio il sistema di tracciamento.

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L’app Immuni è un esempio da manuale di fallimento del mercato dovuto a esternalità, dove il consumo congiunto genera un beneficio per la collettività che è superiore alla somma dei benefici individuali dei singoli utenti. È proprio in presenza di tali fallimenti del mercato che lo stato non può affidarsi a uno strumento facoltativo, ma deve intervenire con tutta la sua forza, come accade quando mette in piedi un sistema pensionistico o quando fornisce l’assistenza sanitaria e l’istruzione gratuita a tutti.

Gli strumenti ci sono: si può pensare di stimolare i download mediante un compenso, magari con un bonus acquisti, si può pensare di rendere l’app più attraente aggiungendo servizi più utili direttamente a chi la scarica, si può introdurre l’obbligatorietà di avere Immuni per chi vuole uscire di casa. Sicuramente l’ultimo è un intervento invasivo che viola libertà individuali, ma in ragione del diritto costituzionale alla salute, queste libertà sono già state violate con il divieto assoluto di uscita, che è stato introdotto nel primo lockdown ed è tuttora in vigore nelle zone rosse.

Cosa succede nel resto del mondo

L’insuccesso dell’app per il tracciamento del Covid-19 non è un’esclusiva italiana, nel resto del mondo la copertura media delle app di questo tipo è intorno al 10 per cento.

In Europa la gran parte dei paesi ha sviluppato applicazioni mobili per monitorare la tracciabilità dei contatti, ma nessuno è riuscito finora a coprire almeno il 60 per cento della popolazione, percentuale minima affinché una app di tracciamento dei contatti possa essere utile a controllare un’epidemia. Tutti i paesi europei hanno optato per un download volontario dell’app e le percentuali di download più elevate si osservano in Irlanda e in Germania che comunque non hanno ancora raggiunto il 40 per cento. È stata la Corea del Sud a utilizzare il tracciamento dei contatti con il maggior successo, ma ciò è avvenuto a un costo significativo per la privacy dei residenti. Le autorità sudcoreane hanno infatti utilizzato registri telefonici, transazioni con carte di credito e filmati di telecamere di sorveglianza per monitorare la posizione dei cittadini infetti e trovare i loro contatti. In Europa un intervento del genere non è pensabile perché cittadini e legislatori non potrebbero mai accettare un tale compromesso.

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È tuttavia il momento di iniziare a pensare al modo migliore di sfruttare per il bene della collettività la sterminata mole di dati raccolta ogni giorno dai nostri dispositivi e già utilizzata per fini privati. Google ha informazioni e manda settimanalmente aggiornamenti personalizzati sugli spostamenti al 70 per cento (sistema operativo Android) delle 80,40 milioni di connessioni mobili in Italia. Google ci conosce meglio del nostro medico, poiché ogni volta che sospettiamo di avere una patologia tendiamo a cercare informazioni online sui sintomi e sulle complicazioni a essa connesse. Tra qualche anno i nostri smartphone diventeranno strumenti medici che fanno anche le chiamate. In generale, l’attività che facciamo ogni giorno con i nostri cellulari, pc, elettrodomestici e automobili di ultima generazione lascia traccia e alimenta la disponibilità di un set informativo granulare e massiccio (big-data). La politica deve essere preparata e pronta a sfruttare questa opportunità, anche ripensando le regole di proprietà dei dati.

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24 commenti

  1. Gemini

    Grazie per l’articolo. Vorrei aggiungere due cose, su cui si spende molta poca attenzione nel dibattito pubblico:
    1) tutti i dati di localizzazione dati a Google, Facebook and co sono constantemente condivisi, su base volontaria o commerciale, con le più svariate controparti. L’idea che scaricare o meno Immuni cambi la mole di dati sulla singola persona accessibile allo Stato è quindi profondamente sbagliata.
    2) tale condivisione di dati personali raccolti ad esempio da Facebook è assolutamente illegale, come dimostrato da una lunga serie di sentenze, ultima delle quali la Schrems II della Corte di Giustizia Europea.
    Il problema che si trova quindi davanti il cittadino è duplice: installare una app su un framework (Google) in dichiarata violazione della norma fondamentale (direi costituzionale) sulla privacy, il GDPR, affidandosi alle indicazioni dello Stato, che contemporaneamente ha mostrato totale incapacità nella protezione della privacy nei confronti di Facebook nonostante 7 (sette!) anni di cause legali. è vero che Facebook conosce tutto su di noi – ed è altrettanto vero che vende, illegalmente, tali informazioni al miglior offerente. Perchè dovrei contribuire a questo sistema, di fatto avallando la violazione del GDPR, installando Immuni? Se lo Stato per legge impone restrizioni sul movimento, io rispetterò sempre le indicazioni. Ma non utilizzerò una piattaforma privata, americana, che viola la mia privacy, da anni, con il tacito assenso dello Stato.

  2. Si afferma nell’introduzione che il mancato successo di Immuni è dovuto a timori per la privacy, ma non c’è nessun elemento che permetta di arrivare a questa conclusione. Si presenta l’Italia come un paese con massiccia penetrazione di Internet, quando qualsiasi analisi mostra che siamo tra i paesi più arretrati dell’UE. Affermazione condivisibile quella secondo cui bisogna ripensare le leggi sulla proprietà dei dati.

  3. Claudio

    Io la vedo diversamente.
    Non credo che gli Italiani siano così preoccupati per la propria privacy, che lasciano violare quotidianamente dai social, al di là di qualche dichiarazione dei politici.
    Gli Italiani non amano immuni perchè protegge gli altri cittadini, non se stessi. Mi spiego: tutti desiderano che le persone potenzialmente infette stiano a casa, ma molti preferiscono non sapere se hanno avuto un contatto sospetto perchè ciò li obbligherebbe ad un periodo di quarantena (magari inutile).
    E’ ovvio che tutti avrebbero da guadagnare da un utilizzo universale di Immuni, ma il singolo ottiene il beneficio se tutti gli altri usano la App, non se la usa egli stesso. Quindi egoisticamente declina l’offerta.

    • Giacomo

      Questo commento mi sembra completare perfettamente l’articolo. Se, infatti, dopo che sono stato potenzialmente tracciato mi viene fatto un tampone la cosa è utile, se mi si impone di stare 15 giorni in casa pur non essendo contagioso la questione è ben diversa.

    • Francesco

      Assolutamente d’accordo. E’ un problema di azione collettiva. E’ il rischio della quarantena che dissuade dallo scaricare immuni. L’app non mi avverte di non frequentare gli infetti ma mi “punisce” con la quarantena per averli frequentati senza saperlo. E’ dal punto di vista della razionalità individuale assurda. Se al posto della quarantena ci fosse il tampone immediato forse potrebbe funzionare almeno parzialmente perché sapere per tempo se si è o meno malati è un beneficio. Ma bisogna essere credibili e nessuno crede che l’autorità sanitaria italiana sia in grado di fare subito il tampone. Forse questo è il motivo per cui in Germanie ed Irlanda va un po’ meglio.

  4. paola dubini

    Io credo che su Immuni siano stati fatti diversi errori, ma la cosa che più mi ha colpito è che non è stato fatto un lavoro adeguato di inserimento del processo nel piano di contrasto alla pandemia. Io ho scaricato subito Immuni e l’ho trovata funzionare benissimo, fino a quando ho ricevuto segnalazione di essere entrata in contatto con una persona positiva. A quel punto ho tristemente scoperto che:1. le ASL del Veneto, mia regione di residenza, non avevano messo in atto la procedura di raccolta dati di Immuni 2. Immuni mi suggeriva di mettermi in quarantena volontaria per 14 giorni dalla data di contatto, che, Immuni mi ha comunicato essere avvenuta 13 giorni prima. Non mi pare un fallimento del mercato, mi sembra una questione di incompetenza diffusa

  5. Mario Porzio

    Il fallimento è anche dovuto al fatto che chi l’ha scaricata non è ha avuto alcun beneficio. Un motivo è dovuto al fatto che se sei risultato positivo, non è semplice comunicarlo. Tutto passa attraverso un contatto telefonico delle ASL, che non sono state preparate a farlo. Prova ne è che la protezione civile ha richiesto 2000 persone 1500 medici + 500 non medici per il tracciamento. Con pochi casi forse era possibile ma con molti ci voleva qualcosa di più automatico. Sono pienamente d’accordo che le tracce lasciate in rete da ciascuno di noi possono essere utilizzate in qualunque modo ed è un problema di privacy molto più grande di Immuni

  6. Giuseppe

    Queste porcherie le lasciamo volentieri ai cinesi. Non mi scarico una app allo scopo di farmi mettere agli arresti domiciliari per un virus innocuo per la stragrande maggioranza delle persone. Non c’è un’epidemia di Ebola! È tutto profondamente sbagliato, ed è corso un attacco alla nostra civiltà per cinesizzarci. L’esempio compatibile con i nostri valori è la Svezia. Tutto il resto è una vergogna e spero che chi ha spinto verso tutto ciò, un giorno paghi per questi crimini, a cominciare dal rinchiudere le persone in casa senza intervento dell’Autorita giudiziaria

    • Antonio Carbone

      Che vuol dire “virus innocuo per la stragrande maggioranza”!?
      53.000 morti in 9 mesi per lei sono niente!? In pratica gli abitanti di Cuneo (o di Avellino).
      Aumentando le terapie intensive e con le chiusure. Figurarsi senza chiusure!
      Una volta sature sarebbe stata una strage.
      In questi giorni siamo a un ritmo di 700/800 morti al giorno. Come se si verificassero ogni giorno 5 alluvioni come quella di Sarno, quando a maggio 1998 morirono in un giorno 160 persone.
      Seguendo il suo criterio, i giornali non avrebbero dovuto nemmeno dare la notizia!!

      • Giuseppe Pistilli

        Great Barrington Declaration . La inserisca su Google e studi un po‘ cosa dicono autorevoli esperti di Oxford, Harvard e Standord. In Svezia la seconda ondata non sta provocando alcuna emergenza perché si è lasciato vivere i giovani consentendo che s’immunizzassero. La Svezia infatti ha relativamente pochi morti nella seconda ondata per via dell’alto grado di immunizzazione raggiunto.

  7. Luca Frigo

    Gran parte del fallimento di Immuni è dovuto anche ad altri 2 fattori: 1) diversi medici lo hanno sconsigliato/boicottato 2) medici ed operatori sanitari non inserivano i codici per il tracciamento rendendola di fatto inutile.

  8. Alberto Isoardo

    Credo che il problema della privacy sia secondario. Il problema grosso è l’inaffidabilità del pubblico, l’inefficienza, l’incapacità di procedere ai tamponi se non sei un politico, un calciatore o un attore.
    La gente non si fida delle asl che poi non rispondono e magari ti condannano a3 o 4 settimane senza darti gli esiti.
    Insomma più della privacy pesa la sfiducia che si ha nel pubblico e nei suoi rappresentanti.

  9. Fabrizio

    Secondo me, i cittadini non usano Immuni perché temono, correttamente, uno Stato inefficiente e quindi pericoloso, come quello italiano. In linea generale, sappiamo tutti che lo Stato ha poteri smisurati contro il cittadino, che certo non hanno Google e Facebook. Lo Stato, magari per errore, può quarantenare il cittadino, può imporgli seccature e oneri i più vari, può, al limite, incarcerarlo e trattenerlo lungmente senza neppure processarlo !. Errori e inefficienze terrificanti sono quotidiani; il cittadino comune lo sa bene, ed è logico che si tenga alla larga il più possibile dallo Stato italiano. Occorre aniztutto che lo Stato migliori, e di molto, la propria macchina burocratica “ordinaria”, soprattutto la Giustizia.. Solo dopo potrà chiedere maggior collaborazione ai cittadini. Passare ai sistemi coercitivi, poi … non ci voglio neppure pensare …

  10. Savino

    Gli italiani di massa comprano tecnologia costosa e avanzata solo per scriversi messaggini e mandarsi video banali, non credo sappiano andare oltre.

  11. Piero Carlucci

    Magari “l’obbligatorietà di avere Immuni per chi vuole uscire di casa” è un tantino incostituzionale. E non mi sembra pertinente il richiamo al diritto costituzionale alla salute, né può essere invocato il divieto assoluto di uscita imposto dal lockdown che non fa certo differenza tra i cittadini in base a chi abbia o meno scaricato una app

  12. paola

    Io non ho scaricato Immuni per una motivazione molto più semplice: il sistema operativo del mio smartphone, un iPhone 6, non la supporta! E’ infatti necessario avere il telefono aggiornato ad iOs 13, mentre il mio si ferma a 12.4.8. Credo di non essere la sola in questa situazione e ritengo che, se l’obiettivo è si far scaricare l’app al 60% degli italiani, i requisiti richiesti al dispositivo dovrebbero essere minimi, altrimenti non c’è nessuna speranza di successo…

  13. Fabio Colasanti

    Inutile dire che se la maggioranza fa una certa cosa (tipo rifiutare l’app) non è che avrà ragione? Com’era la storia che nella democrazia vince la maggioranza? Se ogni download è un voto, allora la maggioranza s’è espressa benissimo, ed ha sonoramente boccialo non solo l’app, ma la stessa idea di tracciamento. Oltretutto faccio presente che si può tranquillamente mentire sui social mentre se ti azzardi a mentire con l’Immuni sono sicuro che s’andrebbe sul penale per roba tipo attentato terroristico, pubblica sicurezza sanitaria e sicurezza nazionale.

  14. stefano

    fallimento di mercato ? ma se è un app decisa dallo Stato ?? che c’entra ilmercato.. il mercato dovrebbe essere libero e spontaneo.. qua si tratta di un imposizione, statale, per questo è ffallita.

  15. Idem con android. L app Immuni doveva essere scaricabile per la maggior parte degli smartphone. Inspiegabile non averlo fatto. Gli android 6.0 operativi sono molti ….

  16. Francesco Vatalaro

    Il post di Resce a me pare tecnicamente ineccepibile e che sia stato equivocato per avere usato l’espressione “fallimento di mercato” laddove qualcuno dei lettori ha ritenuto che fosse implicita una critica al “mercato” messo a raffronto con lo “Stato”. Con Ronald Coase, l’autore sostiene che il complessivo progetto di sistema dell’app di tracciamento non abbia funzionato perché la sottostante “transazione” fra Stato e cittadino – intesi come agenti di mercato – non avviene in quanto il beneficio esce dal mercato in cui i due soggetti operano per entrare in un mercato esterno (esternalità) a vantaggio di una indistinta “collettività”: all’interno resta il vantaggio dllo Stato con la riduzione dei costi sanitari. Era quanto fin da aprile avevo scritto sul Foglio (senza esplicitare il ragionamento economico) scrivendo: “Avendo optato per la volontarietà dell’adesione, ciò potrebbe non bastare; si potrebbe pensare ad incentivi a carico dello Stato e a beneficio dei cittadini che la adottano, dai Giga di traffico dati, alle ricariche telefoniche, a partnership con i gestori telefonici e con imprese over-the-top.”. Tutti gli altri argomenti addotti nei commenti (sfiducia nello Stato e sue inefficienze, sfiducia nella App, etc.) non fanno che allargare lo iato che approfondisce il “fallimento del mercato” di Immuni. Avrei sperato, in aprile, che l’esercito di consulenti del Governo meditasse almeno un po’ su questi elementi, mai entrati però nel dibattito su Immuni.

  17. Antonio Carbone

    Perdonatemi, ma per questa vicenda non c’è proprio bisogno di scomodare le teorie del mercato! Ne si può parlare del fallimento dell’App!
    Molto semplicemente:
    1. Gli stessi esponenti del governo, dal primo giorno, non l’hanno quasi mai citata nei loro innumerevoli discorsi pubblici (tantomeno nelle seguitissime “dirette facebook”;
    2. In seguito si è capito il perché di tale silenzio! L’app funziona, ma per far funzionare l’intero sistema di tracciamento c’era bisogno di un’altra infrastruttura informatica e di una organizzazione per il tracciamento. Solo adesso è stata avviata tale fase! Il bando dei “tracer” fatto dal commissario (che ricordano tanto i “navigator”).
    3. Nel frattempo, l’app fa benissimo quello che deve fare. Cioè coprire il primo miglio del tracciamento. È il resto che, semplicemente, non c’è!
    È davvero inutile fare considerazioni sociologiche e di mercato! Se 40 milioni di persone avessero scaricato l’app, sarebbe stato esattamente lo stesso! Anzi molto peggio. Perché sarebbe stata palese l’ha quasi inesistenza del sistema alle sue spalle.
    Così invece, si potrà sempre dire:  sono le persone che non l’hanno scaricata! Avremmo dovuto comunicarne meglio l’importanza.
    E no! Il passaparola funziona ancora alla grande. Le persone hanno capito (e visto) molto bene che una notifica di Immuni non dava alcun diritto a un tampone e che il suo arrivo avrebbe solo precipitato il ricevente in un limbo amministrativo.
    Forse saremo pronti per la prossima pandemia… forse.

    • Pa

      Sono abbastanza d’accordo. A cosa serve Immuni ? Al tracciamento. Però il tracciamento funziona solo con numeri piccoli di contagio, appena i numeri crescono risulta impossibile utilizzare la gran massa di dati. Il nostro sistema (storia recentissima, attuale) é risultato quasi subito inadeguato, quindi a cosa sarebbero serviti milioni di download di Immuni ? Se non serve perché dovrei correre dei rischi alla mia privacy ? E’ vero, concediamo i dati ai “social” senza problema e poi siamo restii a concederli per il “bene pubblico”, però la consapevolezza di tali comportamenti é limitata a pochi utenti informati, non certo alla generalità delle persone…

  18. oskar blauman

    L’autore di quest’articolo forse non ha notato che Jacinda Harden e’ stata rieletta e Trump no

  19. tommaso

    Nella quasi totalita’ delle analisi sulla risposta alla pandemia in Italia manca qualsiasi riferimento al livello culturale della popolazione. Si cerca di razionalizzare le “scelte” dei cittadini sulla base di assunti a mio modo di vedere troppo elaborati, stante lo stato culturale della societa’: sulla base di molteplici indagini (per es. vedasi OCSE-PIAAC 2013), la literacy italiana e’ inferiore non di poco a quella di moltissimi paesi sviluppati. Accampare motivazioni di convenienza, timori per la privacy, ecc ecc mi pare cozzi con la realta’ assodata da questi studi. Anche il congenito e in questo caso autolesionistico egoismo che contraddistingue molti comportamenti puo’ essere alla fine ricondotto alla difficolta’ di capire ragionamenti elaborati. (Il primo lockdown vedeva una buona adesione per lo piu’ per motivi emozionali.) Solo in questo senso il tema dell’articolo centra il bersaglio. Una popolazione di questo livello puo’ essere obbligata, pagata/incentivata allo scarico della app, oppure puo’ essere fatta una operazione indipendente dalla volonta’ dei singoli, con il ricorso ai metadati dei grandi operatori. Probabilmente la terza via e’ la piu’ eticamente scorretta, come fatto notare in alcuni commenti, ma la piu’ funzionale e perseguibile politicamente.

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