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Giustizia, il pregio dell’imposta patrimoniale

Una patrimoniale ben concepita sarebbe non solo un innegabile progresso sul piano dell’equità generale, ma anche un grande miglioramento rispetto alle irrazionalità del sistema. Serve un progetto a medio termine per realizzare valori di lungo periodo.

Le disuguaglianze risolte dalla patrimoniale

Tommaso Di Tanno e Rony Hamaui concludono l’articolo Qual è il problema dell’imposta patrimoniale riconoscendo che la patrimoniale è giusta, ma il problema è l’accertamento. Si può fare, allora, un passo in avanti e ponderare l’incremento di giustizia con le difficoltà dell’accertamento.

Prima ancora, però, occorre intendersi. Se si parla seriamente della “patrimoniale” ci si deve riferire a un’imposta: globale (tutte le attività significative), netta (con deduzione delle passività inerenti), sulle persone fisiche (senza tassare gli stabilimenti industriali), sostitutiva delle patrimoniali e parapatrimoniali periodiche (Imu, bollo sui depositi, iscrizione al Pra, canone Rai e così via), fortemente coordinata con le patrimoniali e parapatrimoniali saltuarie (per esempio, forse l’annullamento dell’imposta sulle successioni e il ridimensionamento del registro sui trasferimenti immobiliari).

Se non è questa l’imposta patrimoniale di cui si ragiona, non vale la pena proseguire il discorso e possiamo tranquillamente tenerci tutte quelle che già ci sono, così come sono. Tutti riconosco che sul piano dell’equità generale – quella che riguarda la generica diseguaglianza fra ricchi e poveri – un’imposta patrimoniale costituirebbe un innegabile progresso.

Il punto è che si tratterebbe anche di un grande miglioramento rispetto a diseguaglianze e irrazionalità sul piano fiscale più specifiche e altrettanto (o forse più) pregnanti. Pensiamo alla diseguaglianza fra generazioni. Se una coppia giovane con buone prospettive di reddito compra una villetta al mare con un mutuo, è equo che venga tassata come chi l’ha ricevuta in donazione (quasi sempre esente) o comunque non ha contratto alcun debito per acquistarla?

Pensiamo alla diseguaglianza, dal punto di vista fiscale, fra chi si avvantaggia di un patrimonio ricevuto per eredità e chi può contare solo sul reddito (oggi sempre più aleatorio) da lavoro. Il tutto con un prelievo successorio ormai divenuto l’imposta sulla dabbenaggine. La pagano solo gli sprovveduti grazie all’esclusione delle donazioni indirette e dei patti di famiglia nonché per le generose franchigie di cui si può beneficiare almeno due volte per effetto dell’inapplicabilità del coacervo garantita dalla Cassazione.

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Vi è poi la diseguaglianza territoriale fra le imprese: avere uno stabilimento in Italia, anziché all’estero, costa automaticamente di più. Per non parlare poi di quello che potrebbe chiamarsi lo “scandalo delle aree edificabili”. Da un lato, nel periodo che va dall’acquisto al termine dei lavori i real estate developer pagano annualmente poco di più dell’1 per cento del valore venale (ossia più o meno il 30 per cento del rendimento nozionale del capitale investito) con un chiaro svantaggio rispetto ad altre forme di attività d’impresa; dall’altro, la frequenza con la quale moltissimi comuni che “promuovono” al rango di aree edificabili le zone più improbabili del loro territorio al solo fine di aumentare il gettito (e questo riguarda anche le persone fisiche). E l’elenco potrebbe continuare.

Patti chiari tra stato e contribuenti

Più in generale, per ragionare di imposta patrimoniale si devono riconoscere essenzialmente tre cose: 1) le imposte patrimoniali ci sono già con un peso nient’affatto trascurabile; 2) il sistema è caotico; 3) ha solo il pregio dell’illusione fiscale, cioè di quel carattere molto apprezzato dagli economisti forgiati alle dure scuole delle banche centrali per i quali il miglior patto fra stato e cittadini-contribuenti è quello in cui lo stato tiene le carte coperte.

Potrebbero anche avere ragione: ci si guadagna certamente in consenso e forse anche in rispetto delle regole. Tuttavia, è legittimo avere una diversa idea della fiscalità e ritenere che la base del patto sociale fra stato e contribuenti è da individuarsi nella credibilità, nell’equità e nella razionalità del sistema fiscale. Ci sono poi i problemi dell’accertamento e pure su questo punto Di Tanno e Hamaui hanno ragione. Dobbiamo però anche qui chiarire. Ci sarà anche un problema di occultamento della ricchezza. Ma dopo la Beps, la Convenzione multilaterale, la Fatca, il Crs, la Dac6, dovrebbe essere relativamente contenuto.

Più rilevante è il tema, richiamato dagli autori, della determinazione della base imponibile. Ma si tratta di problemi tendenzialmente risolvibili, sia pure con qualche approssimazione. Comunque, in un’ottica di medio termine, l’esperienza operativa consentirà di ridimensionarli. Il che ci porta alla triste considerazione di fondo. Una vera imposta patrimoniale si inserisce in un progetto a medio termine per realizzare valori di lungo periodo (la razionalità, l’eguaglianza, la solidarietà anche intergenerazionale). In questa prospettiva, lo scambio fra giustizia e difficoltà di accertamento segnalato da Di Tanno e Hamaui è chiaramente a vantaggio del primo termine. Ma chi è, ormai, che concepisce la politica (anche fiscale) se non nell’ottica del brevissimo periodo?

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12 commenti

  1. Savino

    Una volta la chiamavano leva fiscale quella che garantiva il riequilibrio.

  2. PURICELLI BRUNO

    Provocazione:
    un amico imprenditore mi chiede perché a nessuno viene a mente una disposizione un tempo in uso nei paesi socialisti nei quali, al lavoratore, si chiedeva di lavorare un sabato al mese per lo Stato? Gli sembrava più giusto che togliere, con una patrimoniale, una parte di quel che già era tassato!
    Certo, la cosiddetta verità è legata ai numeri e non alla voglia di lavorare e guadagnare che s’è persa principalmente a partire dai tardi ’60. Ma la patrimoniale demotiva chi produce e chi risparmia e riduce il Pil, comunque! Se si ripete diventerà presto sistemica e consoliderà le carenze gestionali dei governi incoraggiando i lavoratori a mantenere le stesse preoccupazioni vicino a zero perché, tanto, ci penserà lo Stato. A mio avviso avremmo un bel risultato ma non sarà strano perché dall’orientamento socialisteggiante da 50 anni abbiamo imparato che a faticare devono essere i produttori e gli operai ma a preoccuparsi saranno solo le imprese, manifattura in testa.
    Quanto si potrebbe scremare con una patrimoniale “intelligente” (non quelle di re e principi nel Medio Evo) , forse 2-3 mld? Ebbene, se uno dei 10 mln di lavoratori (tutti) che percepisce oltre 15000 eu/a regalasse allo Stato, al suo Stato, al nostro Stato mezza giornata di lavoro ogni 2 mesi, non ci sarebbero polemiche, saremmo tutti uguali e lo Stato otterrebbe 10 volte tanto! Già ma.. chi li voterebbe più?

  3. Pietro Brogi

    Pensiamo alle priorità: tassare i redditi da capitale insieme a quelli da lavoro, reintrodurre imposta di successione, aumentare di qualche punto la tassazione Irpef oltre certi ammontare. Proprio in ultima ‘ratio’ pensare a tasse patrimoniali che comunque sono già presenti…..

    • Marco C.

      I redditi da capitale sono già tassati in modo gravoso (il 26% senza alcuna progressività). Senza contare altri tributi che incidono sulla tassazione complessiva (imposta sul deposito titoli e tobin tax).

  4. Enrico D'Elia

    L’articolo ha, prima di tutto, il merito di essere pragmatico ed evitare la retorica della “doppia tassazione” dei risparmi (come se i consumi con fossero tassati almeno due volte: prima come reddito, poi con iva e accise e alcuni anche con imposte annuali). La verità è che è opportuno tassare ciò che è difficile da nascondere, a meno di non voler colpire l’onestà e la “dabbenaggine”. Infatti, in quasi tutti i regimi fiscali esistono imposte patrimoniali e para-patrimoniali su valori (teoricamente) facili da determinare come quelli dei beni immobili e delle attività finanziarie più tradizionali. Un altro merito dell’articolo è quello di non considerare nemmeno le proposte di imposte progressive sulla ricchezza, ancora in nome del pragmatismo. L’unico aspetto che mi sembra trascurato è il legame tra la ricchezza, che dovrebbe essere la base imponibile di qualsiasi tassazione patrimoniale, e il reddito, che invece è la risorsa liquida da cui attingere per pagare qualsiasi imposta periodica (non occasionale, come quelle di successione) senza intaccare la ricchezza accumulata. Una imposta patrimoniale ben concepita non deve creare seri problemi di liquidità ai contribuenti, altrimenti mette a rischio la stabilità finanziaria, con svantaggi molto peggiori della disuguaglianza e dell’adeguatezza delle entrate fiscali. E’ dunque indispensabile un coordinamento delle imposte patrimoniali e di quelle su redditi e consumi.

  5. enzo de biasi

    Davvero un articolo apprezzabile ed in tema. I punti focali sono due. Il primo, chiarire all’interlocutore da subito, cosa si intende per patrimoniale e suo perimetro d’azione. A proposito perchè non si fa cenno al patrimonio mobiliare ? Azioni. obbligazioni e titoli di stato danno rendita , oltre la tassazione propria già gravante , dovrebbero essere inclusi nella patrimoniale anzidetta in quanto riferibili alla persona fisica che li possiede. Per non proletarizzare eccessivamente i “ricchi”, ma sovente sconosciuti al fisco nella loro reale entità di capitale posseduto, potrebbe essere prevista una franchigia fino a 200mila €, al di sotto della quale la patrimoniale -qui concepita- non incide. Il secondo punto, trattasi di un progetto a medio termine 5-10 anni, data la ovvia e graduale “mutazione” dai regimi legali vigenti a quello in arrivo e giusto per non creare panico tra i “benpensanti”; compresi i piccoli-medi imprenditori italiani che sono la spina dorsale dell’Italia che “lavora e produce” Data la durata media dei governi italiani dalla nascita della repubblica ad oggi, mediamente poco più di un (1) anno; questo è il maggior ostacolo che si frappone alla realizzazione di qualsiasi azione seriamente riformista . Conseguentemente a ciò , altra condizione minimale, è che la patrimoniale qui immaginata deve (deve) essere approvata da gran parte delle forze politiche rappresentate in Parlamento, pena la non sua attuazione. Già visto in tante altre occasioni. .

  6. ugo

    Condivido al 100%. A corollario: la patrimoniale recupererebbe in parte gli effetti dell’evasione delle imposte sul reddito prodotta dalla riforma del 1971; una sorta di azione di restituzione del maltolto. Come contrappeso, aggiungerei che la progressività erroneamente applicata all’imposta sui ai redditi dovrebbe essere applicata alla patrimoniale globale di cui all’articolo, per la vera realizzazione del precetto costituzionale. Infine, per quanto riguarda l’accertamento, previa costruzione di una piattaforma informatica mirata alla emersione di TUTTI i patrimoni, l’accertamento su questi ultimi si dimostrerebbe molto più easy di quello sui redditi.

  7. Renzo Tavoni

    nell’articolo si accenna ad un ipotetico annullamento della tassa di successione. A mio parere è invece questa tassa che andrebbe aumentata per avvicinarsi alla media europea che è molto meno generosa di noi.

  8. Henri Schmit

    Non capisco perché l’eredità sarebbe un elemento patrimoniale. Non è piuttosto una variazione patrimoniale e quindi assimilabile a un flusso reddituale?

  9. AurelGen

    Con la patrimoniale il paese e il popolo di fatto si impoveriscono sempre di più aldilà delle teorie dei grandi oratori. Il patrimonio immobiliare, vero e quasi unico volano di economia in italia sia nel breve e lungo termine, si svaluta sempre di più a favore di gruppi finanziari etc. La patrimoniale è un attacco al ceto medio nella sua più ampia dimensione che va distrutta per limitare libertà intellettuale, autonomia economica, spirito di discernimento, etc.
    Le crisi economiche hanno osservato crolli immobiliari mentre situazioni floride si associano a mercati immobiliari attivi e grandi generatori di ricchezza e volano di economia ad ogni scala.
    Il patrimonio è frutto di investimento e risparmio, e chi crede nel valore della proprieta privata conosce altresì bene cosa voglia dire mandare avanti una azienda o attivitá che sia…in tv tutti coloro che sparlano disinvoltamente di patrimoniale sono tutte persone stipendiate che al massimo mantengono una colf a ore..

  10. Attilio Pandini

    Ecco l’esempio svizzero. A Ginevra come a Zurigo la dichiarazione è doppia: il contribuente dichiara da una parte i redditi e dall’altra la consistenza del proprio patrimonio: immobili, terreni, conti bancari, titoli, auto, preziosi, ecc. L’imposta patrimoniale si regge su esenzioni sociali di base ed è intesa come uno strumento di ridistribuzione del reddito. Le aliquote sono basse e quindi non generano forti entrate fiscali. (Alte, invece, le pene per chi sgarra). In realtà lo scopo essenziale della tassa è un altro. Ogni aumento notevole del patrimonio del contribuente corrisponde, di solito, a un aumento sostanziale del suo reddito: quindi la patrimoniale si rivela un termometro sensibile della capacità contributiva di ogni cittadino. Diventa così difficile, e molto penalizzante, per esempio, trasmettere agli eredi un bene se non figura nell’ultima dichiarazione del defunto. Un’ultima precisazione per l’imposta sul reddito. In Svizzera essa si applica sulla somma di tutti i redditi del contribuente, con aliquote proporzionali e progressive. Non esistono, come da noi, quelle “imposte secche” (per es. sulle rendite finanziarie o immobiliari) troppo pesanti per i piccoli risparmiatori e al contrario una specie di condono perpetuo per finanzieri e grossi proprietari edili. I quali in questo modo eludono, con la benedizione dei nostri governi, quella progressività dell’imposta che secondo la Costituzione dovrebbe corrispondere alla loro capacità contributiva.

  11. Giovanni Putoto

    Gentile redazione, ho trovato questa notizia ansa. È possibile saperne di più.
    Grazie. Cordialità Giovanni Putoto
    Il sistema fiscale italiano è “fortemente sbilanciato” su individui e famiglie, mentre nei confronti delle imprese l’Italia è “il terzo paese per imposizione fiscale più bassa dopo Lettonia ed Estonia”. Così Gian Paolo Oneto dell’Istat nel corso di un’audizione in commissione Finanze alla Camera.

    “Le imposte sui redditi di individui e famiglie pesano per il 27,5% delle entrate totali, mentre quelle sui redditi delle imprese si fermano al 4,6%” ha detto. “Questo sbilanciamento è condiviso con la totalità dei paesi europei (eccetto Cipro),ma un gap superiore a 20 punti si registra, oltre che in Italia, solo in Danimarca, Finlandia, Svezia e Lettonia”

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