I soli dati su occupati, disoccupati e inattivi della rilevazione sulle forze di lavoro non consentono di valutare appieno gli effetti dell’emergenza sanitaria sul mercato del lavoro. Un quadro più chiaro emerge se si considera l’indicatore mensile sulle ore effettivamente lavorate.

Nuovi indicatori per misurare l’effetto del Covid sull’economia

La diffusione del Covid-19 ha avuto effetti dirompenti sulle economie internazionali, determinando crolli dei ritmi produttivi e forti differenze tra i settori economici, che hanno risentito in misura significativamente diversa delle misure di contenimento sociale. Il monitoraggio di una dinamica senza precedenti ha evidenziato la necessità di indicatori nuovi e tempestivi.

L’andamento dell’occupazione risulta solo parzialmente in grado di cogliere le conseguenze dell’emergenza sanitaria e delle conseguenti azioni politiche. Per definizione, infatti, tra gli occupati sono compresi anche coloro che si trovano in regime di cassa integrazione o che hanno interrotto la propria attività lavorativa parzialmente o totalmente.

L’informazione relativa al numero di ore settimanali pro-capite effettivamente lavorate e ai tassi di assenza dal lavoro è un utile complemento agli indicatori sul mercato del lavoro – riferiti a occupati, disoccupati e inattivi – tradizionalmente diffusi dall’Istat a partire dai dati della rilevazione sulle forze di lavoro.

L’andamento delle ore lavorate pro-capite

Il numero di ore pro-capite effettivamente lavorate è ottenuto come rapporto tra il monte ore effettivamente lavorate dal totale degli occupati e il numero di occupati nella settimana di riferimento (che include anche chi, per diversi motivi, nella settimana di riferimento non ha lavorato) e rappresenta una misura dell’input di lavoro.

La disponibilità dell’indicatore permette di leggere in maniera più accurata l’evoluzione del mercato del lavoro, profondamente influenzato dai provvedimenti governativi che hanno determinato la chiusura parziale di alcune attività e fortemente limitato la mobilità territoriale, ma influenzato anche dal massiccio passaggio al lavoro da remoto e dalle misure di sostegno ai redditi.

Il dato sulle ore pro-capite effettivamente lavorate fornisce un’utile informazione anche e soprattutto se sottoposto a destagionalizzazione. Il calo delle ore lavorate, normalmente, tende infatti a concentrarsi nei mesi estivi (in particolare ad agosto) e in quelli con le principali festività nazionali (dicembre-gennaio e periodo pasquale). Inoltre, il dettaglio delle ore lavorate pro-capite per posizione professionale consente di approfondire la diversa reattività alla crisi dei dipendenti – a termine o a tempo indeterminato – e degli autonomi.

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A partire dal 2004, il numero medio annuo di ore effettivamente lavorate ha avuto andamenti coerenti con le fasi economiche (figura 1). Sia nel 2009 sia nel 2012, ci sono stati cali tendenziali di circa 1 ora lavorata, solo parzialmente bilanciati dall’aumento di 0,5 ore registrato nel 2010. Tra il 2008 e il 2014 il numero di ore si è ridotto di quasi 1,5 ore passando da 35,1 a 33,3 ore a settimana. Dopo la ripresa avvenuta nel 2016, fino al 2019, il numero di ore pro-capite effettivamente lavorate risulta sostanzialmente stabile (circa 34 ore a settimana). In tutto il periodo osservato, il livello tra gli autonomi è costantemente superiore a quello dei dipendenti: sempre oltre le 38 ore settimanali contro valori mai superiori a 33,5 ore. Nel 2020, il valore dell’indicatore si riduce fortemente soprattutto tra gli autonomi.

Figura 1 – Ore lavorate pro-capite nella settimana di riferimento per posizione professionale. Anni 2004-2020 (dati grezzi, valori assoluti).

L’utilizzo del dato destagionalizzato permette di cogliere l’andamento mensile (figura 2) e, quindi, di condurre un’analisi più articolata dell’impatto dell’emergenza sanitaria sulle ore lavorate per una corretta lettura della dinamica congiunturale. Se si è avuta una sostanziale stabilità fino a febbraio 2020, nel mese di marzo le ore settimanali effettivamente lavorate sono drasticamente diminuite. Sul totale degli occupati il calo risulta di 10,8 ore rispetto al mese precedente e tra gli autonomi raggiunge le 17,7 ore, mentre si ferma a 8,8 ore tra i dipendenti. Per la prima volta, il numero di ore effettivamente lavorate dai lavoratori non dipendenti è inferiore a quello dei dipendenti.

Ad aprile l’intensità lavorativa è diminuita di ulteriori -0,8 ore, anche in questo caso soprattutto per la componente non dipendente, che ha registrato un calo di 2,7 ore rispetto a marzo (per i dipendenti la diminuzione è stata “solamente” di 0,3 ore). L’inversione di tendenza si è registrata a partire da maggio: in un solo mese l’indicatore è aumentato di quasi 6 ore per gli occupati nel complesso e di 11,6 ore per gli autonomi, che sono tornati ad avere un’intensità lavorativa superiore a quella dei dipendenti.

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Figura 2 – Ore lavorate pro-capite nella settimana di riferimento per posizione professionale. Gennaio 2019 – dicembre 2020 (dati destagionalizzati, valori assoluti).

Il numero di ore è progressivamente cresciuto fino ad agosto quando i livelli dell’indicatore, seppur ancora lievemente inferiori, si sono molto avvicinati a quelli che caratterizzavano il mercato del lavoro prima dell’emergenza sanitaria: rispetto a febbraio 2020 la variazione risultava di 0,9 ore sul totale degli occupati, di -0,7 ore per i dipendenti e -1,5 ore per gli autonomi. A settembre e ottobre il numero di ore pro-capite lavorate è rimasto sostanzialmente stabile, ma da novembre, a causa dell’acuirsi dell’emergenza sanitaria, torna a diminuire (-0,8 ore rispetto a ottobre) coinvolgendo soprattutto gli autonomi.

Le evidenze riportate consentono di valutare gli effetti dell’emergenza sanitaria sul mercato del lavoro da un nuovo punto di vista, integrando quanto di solito viene analizzato utilizzando i dati della rilevazione sulle forze di lavoro. Si può osservare, ad esempio, come al forte calo dell’occupazione registrato tra febbraio e aprile (-2,1 per cento pari a quasi mezzo milione di occupati) si associ un vero e proprio crollo delle ore lavorate pro-capite (-34,1 per cento pari a -11,6 ore in meno).

Il numero di occupati risulta solo parzialmente in grado di cogliere le dinamiche conseguenti le azioni politiche introdotte dai vari Dpcm, proprio perché per definizione tra gli occupati sono compresi anche coloro che si trovano in regime di cassa integrazione. Al contrario, il numero di ore lavorate, sia come ammontare totale sia come misura pro-capite, consente di valutare puntualmente l’intensità del lavoro svolto e, se destagionalizzato, di cogliere con tempestività le dinamiche congiunturali dell’input di lavoro effettivamente disponibile al sistema produttivo.

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