Le necessarie misure di contrasto al cambiamento climatico incideranno sulla spesa delle famiglie. Per evitare un aumento dei casi di povertà energetica servono precise azioni di compensazione per i nuclei più fragili. Come suggerisce l’Oipe.

I rischi della transizione energetica

La comunità globale si trova ad affrontare due grandi crisi in contemporanea: la pandemia, con oltre 2,3 milioni di morti, e la crisi climatica. Se per la prima si intravvede l’inizio della fine, lo stesso non si può dire della seconda. Gli impegni nazionali presi alla luce della Cop 21 di Parigi sono insufficienti e rischiano di non essere rispettati. È necessaria un’incisiva azione globale per prevenire quella che non è solo una crisi ambientale senza precedenti – anche se la crescita delle temperature rimanesse entro i 2°C – ma anche una “crisi etica, sociale, economica e politica” per gli effetti che i cambiamenti climatici hanno innanzitutto “sulla vita dei più poveri e fragili”.

La riduzione delle emissioni e le altre misure di contrasto al cambiamento climatico richiedono la mobilitazione di risorse ingenti (secondo Irena 4.400 miliardi di dollari l’anno tra oggi e il 2050 per raggiungere la neutralità climatica). Ciò non potrà non avere un effetto sulla spesa delle famiglie: si registrerà un aumento significativo del costo delle bollette energetiche e dunque una probabile crescita del numero di quelle in povertà energetica.

Come ci ha insegnato la vicenda dei gilet jaunes, misure che riscuotono il pressoché unanime consenso fra i tecnici, come l’introduzione di meccanismi per dare un prezzo alle emissioni (con tasse o sistemi di scambio di permessi di emissione), possono fallire se non hanno il consenso sociale necessario a farle funzionare e persistere nel tempo. In questo senso, la transizione oltreché energetica deve essere anche “giusta”, pena il suo fallimento.

La povertà energetica nel secondo Rapporto Oipe

Il tema è da tempo all’attenzione dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica (Oipe), un network interdisciplinare che studia appunto il fenomeno della povertà energetica, le sue determinanti e le politiche per il suo contrasto. Il secondo Rapporto, presentato a dicembre 2020, contiene una stima aggiornata della quota di famiglie in povertà energetica (in crescita al’8,8 per cento contro una media dell’ultimo decennio dell’8 per cento) e un inquadramento nel confronto europeo (l’Italia risulta nella media Ue) e nei divari regionali (ampi, con le regioni meridionali che fanno registrare la maggiore incidenza del fenomeno).

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L’abitazione e il trasporto

Il Rapporto conferma quanto l’efficienza energetica delle abitazioni, la loro vetustà e la disponibilità di gas naturale siano associati alla diffusione della povertà energetica. Il tema della qualità del costruito va considerato non solo per i costi di riscaldamento, ma anche per i costi di raffrescamento, che ci si aspetta cresceranno in futuro per il progressivo aumento delle temperature legato ai cambiamenti climatici.

Un’analisi completa del fenomeno, inoltre, necessita di prendere in considerazione anche la spesa per i mezzi di trasporto privati. Il Rapporto offre una prima valutazione da cui emerge che i comuni del Mezzogiorno (o, con indicatore diverso, le aree periurbane e rurali del Centro Nord) risultano essere quelli maggiormente esposti al rischio di povertà energetica.

Le politiche

Il Rapporto offre anche spunti sulle politiche di contrasto alla povertà energetica, di “protezione” e di “promozione”.

Le prime mirano a consentire un livello minimo di energia e includono i bonus gas ed elettricità presenti in Italia. Le politiche di promozione hanno invece un orizzonte più lungo: includono, per esempio, gli interventi di efficientamento energetico e le azioni che accrescono la consapevolezza dei consumi energetici delle famiglie vulnerabili.

Il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) contiene obiettivi e strumenti per raggiungere i target climatici assegnati e prevede per il periodo 2021-2030 investimenti di poco inferiori a 1.200 miliardi di euro, dei quali circa 186 addizionali rispetto allo scenario inerziale. Lo stimolo a tali investimenti dovrebbe venire da strumenti già sperimentati nel passato, ma ora da utilizzare con maggiore intensità: detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, incentivi monetari per l’acquisto di veicoli a zero emissioni, sussidi per la realizzazione di nuovi impianti rinnovabili, per esempio.

L’uso di questi strumenti ha mostrato che il loro finanziamento impone usualmente costi più alti per le fasce vulnerabili, così come accadrebbe in caso di tassazione delle emissioni, e richiede quindi precise azioni di compensazione.

Conoscere per pianificare

Il disegno delle politiche per una transizione energetica giusta – ovvero una transizione che non generi nuove forme di povertà e disuguaglianze, ma, al contrario, rappresenti un’opportunità di progresso per tutta la popolazione – si scontra in Italia con l’assenza di una misura ufficiale di povertà energetica (il governo ha adottato la misura proposta in questo lavoro per la Sen-Strategia energetica nazionale e il Pniec, ma l’Istat non si è ancora pronunciata) e di un attento sistema di monitoraggio che permetta di sviluppare le analisi necessarie per orientare le azioni da intraprendere.

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Capire come coniugare le politiche per la decarbonizzazione con la protezione dei soggetti più vulnerabili è ora essenziale. Ci auguriamo perciò che l’assenza di una menzione dei possibili effetti redistributivi delle politiche per la transizione nei recenti interventi del ministro della Transizione ecologica sia frutto di mera dimenticanza.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori, e non coinvolgono la responsabilità dell’Istituto di appartenenza

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