La globalizzazione ha trasformato mercati e imprese, frammentando le catene del valore. Con la pandemia è cambiato qualcosa? L’analisi di duecento manifatture lombarde sottolinea l’importanza dei rapporti di fornitura. E strategie che mutano poco.
Quattro strategie per le aziende
Il fenomeno della globalizzazione ha trasformato mercati e imprese, trasponendoli in un’ottica di relazioni globali. L’organizzazione del processo produttivo è cambiata in favore di una crescente frammentazione della catena del valore: se, in passato, le sue fasi erano concentrate in capo a poche imprese nel medesimo paese, oggi risultano spalmate su diverse imprese dislocate in diversi paesi.
Negli anni Novanta, i confini d’impresa erano scanditi dalla sola scelta proprietaria: l’approvvigionamento degli input (sourcing) poteva essere interno o esterno, a seconda che il produttore di beni finali li producesse da sé o li acquistasse da un fornitore indipendente, ma aveva una forte connotazione locale. In altre parole, la scelta proprietaria era declinata all’interno del solo paese in cui aveva sede il produttore di beni finali.
Nel nuovo millennio, il sourcing diventa globale poiché alla scelta proprietaria si aggiunge la scelta localizzativa. Oggi può essere interno o esterno, ma anche domestico o internazionale, a seconda che il produttore di beni finali utilizzi input prodotti localmente o importati. Dall’intersezione tra scelta proprietaria e localizzativa nascono le quattro strategie di sourcing che definiscono i confini d’impresa: integrazione domestica, integrazione internazionale, outsourcing domestico e outsourcing internazionale.
La ricerca su 200 imprese lombarde
Come si colloca l’Italia rispetto a questo scenario? Quali sono i confini delle nostre imprese oggi e come cambieranno a seguito della pandemia?
Una recente ricerca, condotta dall’Università degli studi di Milano-Bicocca con il patrocinio del CEfES, si propone di rispondere a quesiti di questo tipo, analizzando un campione di oltre 200 imprese manifatturiere lombarde, stratificato per dimensione, provincia e settore. Tutte le imprese del campione sono produttori di beni finali, per lo più indipendenti (94 per cento) e caratterizzati da partecipazione estera nel capitale nulla (90 per cento) o minoritaria (7 per cento). Interviste approfondite hanno consentito di raccogliere testimonianze uniche e di tracciare un quadro accurato e originale sui confini d’impresa, con particolare attenzione alle strategie di sourcing, al tipo di input impiegati e alle caratteristiche del rapporto di fornitura.
Per quanto concerne le strategie di approvvigionamento, la figura 1 illustra le scelte delle imprese intervistate. Sotto il profilo proprietario, emerge una netta preferenza per il sourcing esterno, poiché i produttori di beni finali tendono ad acquistare gli input da fornitori indipendenti anziché produrli da sé. Sotto il profilo localizzativo, risulta preponderante il sourcing domestico, dal momento che i produttori di beni finali preferiscono utilizzare input locali anziché importati. Ne segue un preciso ordinamento delle strategie di approvvigionamento, che vede al primo posto l’outsourcing domestico (54 per cento), seguito da outsourcing internazionale (31 per cento), integrazione domestica (13 per cento) e integrazione internazionale (2 per cento). I nostri dati suggeriscono che la scelta proprietaria dipende dal grado di standardizzazione degli input: più le imprese ne impiegano di specifici, disegnati appositamente per le esigenze del produttore finale e più si orientano verso il sourcing interno. Per contro, la scelta localizzativa risulta legata alla produttività: più le imprese sono produttive e più tendono a prediligere il sourcing internazionale.
Le conseguenze della pandemia
Nelle parole degli intervistati, la pandemia Covid-19 ha intaccato l’attività produttiva nell’89 per cento dei casi, operando sia direttamente sia indirettamente. Come riportato in figura 2, il canale indiretto—per lockdown dei clienti—è risultato molto importante (importante) per il 70 per cento (15 per cento) dei rispondenti; seguito dal canale diretto—per lockdown dell’impresa stessa—giudicato molto importante (importante) nel 58 per cento (14 per cento) dei casi e, da ultimo, dal canale indiretto—per lockdown dei fornitori—considerato molto importante (importante) dal 49 per cento (18 per cento) degli intervistati, senza differenze significative per tipologia di input o strategia di sourcing.
Con un elevato numero di imprese che opta per il sourcing esterno, la figura 3 evidenzia l’importanza del rapporto di fornitura nell’affrontare la pandemia Covid-19. Per le imprese intervistate, il rapporto di fornitura si è rivelato molto (abbastanza) utile nel far fronte alla pandemia nel 39 per cento (29 per cento) dei casi. Le stesse imprese ritengono di essere state di molto (abbastanza) supporto ai propri fornitori nel 36 per cento (29 per cento) dei casi. Evidentemente, le nostre imprese investono molto capitale relazionale nel forgiare i rapporti di fornitura, e tale investimento premia in caso di shock negativi.
Non stupisce, dunque, che i confini d’impresa manifestino una certa inerzia. Solo tredici imprese nel nostro campione dichiarano di voler cambiare la propria strategia di sourcing in futuro e, di queste, solo tre pianificano un cambiamento permanente a causa del Covid-19. Si tratta di imprese meno produttive e meno interessate all’impiego di input specifici rispetto alla media del campione. Sotto il profilo localizzativo, intendono rinunciare completamente al sourcing internazionale e, sotto il profilo proprietario, puntano a riconvertire parte del sourcing interno in esterno (figura 4).
Questo suggerisce che le imprese intervistate non temono di acquistare input da fornitori indipendenti al tempo del Covid-19, ma preferiscono impiegare input prodotti localmente anziché importati. Secondo la nostra ricerca, poco cambierà nei confini d’impresa a seguito del Covid-19: le catene del valore sopravvivranno alla pandemia, ma saranno meno globali.
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