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Carry back delle perdite fiscali per sostenere le imprese

La Commissione europea si fa promotrice di un intervento coordinato dei paesi membri che consente di utilizzare la leva fiscale per immettere rapidamente liquidità nelle Pmi. Lo strumento è il meccanismo di riporto “all’indietro” delle perdite fiscali.

Chi può avere perdite fiscali

Il sistema tributario italiano contempla le perdite fiscali solo per determinate categorie reddituali. Delle sei categorie – tassative, secondo l’articolo 6 del Dpr n. 917/1986 – rappresentate dai redditi fondiari, dai redditi di capitale, dal reddito di lavoro dipendente, dal reddito di autonomo, dal reddito di impresa e dai redditi diversi, solo quelle riferite ai redditi di impresa, di lavoro autonomo e diversi possono “registrare” una perdita fiscale. 

La motivazione è da ricercarsi nel fatto che per le altre categorie reddituali è espressamente esclusa qualsiasi deduzione rispetto all’ammontare effettivamente percepito o risultante dall’applicazione dei dati catastali. 

Va premesso che un meccanismo volto a considerare le perdite fiscali rappresenta un “tassello irrinunciabile” di un tributo sul reddito conforme al principio di capacità contributiva indicato dall’articolo 53 della Costituzione, in quanto la frammentazione in periodi di imposta altro non rappresenta che un bilanciamento dei contrapposti interessi in campo: quello erariale a un prelievo periodico e quello del contribuente a un giusto prelievo atteggiato su un indice di effettiva capacità e forza economica.

Ciò posto, il legislatore italiano ha sempre tenuto conto di tale aspetto e in particolare per chi produce o, più correttamente, possiede un reddito di impresa è consentito il riporto in avanti – agli esercizi futuri – di una perdita fiscale al fine di scomputarla con eventuali utili al fine di ridurre la base imponibile di detti, futuri, periodi di imposta. 

L’Italia quindi, come la quasi totalità degli ordinamenti consente oggi (solo) la compensazione delle perdite di un determinato anno con gli (eventuali) redditi imponibili degli anni successivi (cosiddetta loss carry forward), riducendo così il reddito imponibile di tali periodi d’imposta. Il (solo) meccanismo di riporto al futuro è pertanto anelastico e poco rispettoso del principio di capacità contributiva, ma incontra l’esigenza statuale di programmazione delle entrate pubbliche e di certezza del diritto.

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L’utilità del carry back in tempo di crisi

Taluni paesi – anche unionali – consentono, in via ordinaria, di compensare le perdite di un esercizio con i redditi conseguiti in uno o più degli esercizi precedenti (cosiddetta loss carry back), dal che consegue il diritto di ottenere il rimborso delle imposte a suo tempo pagate per tali esercizi. È il caso della Germania e dell’Irlanda – ove il carry backè consentito sino all’esercizio precedente – e dei Paesi Bassi e della Francia – ove si estende sino al triennio precedente. Tutti i regimi di carry back già presenti, ante pandemia, negli ordinamenti sono caratterizzati da precisi limiti temporali.

Di fronte alla crisi economico-finanziaria che ha colpito le imprese per effetto della pandemia Sars Cov-2, molti paesi (Regno Unito) hanno esteso il regime di loss carry backgià vigente oppure lo hanno introdotto ex novo – come l’Australia – quale misura di sostegno finanziario alle imprese. Infatti, mentre il mero riporto in avanti delle perdite a compensazione di imponibili futuri consente di conseguire un risparmio di imposte, e quindi un supporto in termini di liquidità, solo negli anni a venire, paradossalmente quando le imprese saranno nuovamente redditizie e ne avranno meno bisogno, consentire il “riporto all’indietro” delle perdite rappresenta uno strumento di sostegno finanziario forte e immediato. In Europa, solo alcuni paesi (Belgio, Repubblica Ceca, Irlanda e Austria) hanno autonomamente introdotto l’istituto del carry back.

La raccomandazione della Commissione

Di grande rilievo appare pertanto la presa di posizione, chiara e concisa, della Commissione europea nella raccomandazione (Ue) 2021/801 del 18 maggio: evidenziando come il riporto “all’indietro” abbia il vantaggio di agevolare le imprese con redditi imponibili positivi ante-pandemia – ha identificato nelle perdite fiscali realizzate e realizzande negli esercizi 2020 e 2021 quelle da sottoporre a una (possibile) maggior tutela.

In particolare, la Commissione raccomanda agli stati membri l’introduzione di misure temporanee volte a consentire alle imprese il riporto all’indietro delle perdite degli esercizi 2020 e 2021 almeno sino all’esercizio 2019. Di più, si spinge a suggerire una estensione sino all’anno 2017. In caso di estensione pluriennale, però, la raccomandazione suggerisce l’accesso al meccanismo di loss carry back alle sole imprese che – in ogni singolo anno del triennio 2017-2019 – non abbiano realizzato perdite fiscali. 

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Dal punto di vista degli stati membri, di fatto viene loro raccomandato di rinunciare ora al gettito fiscale a suo tempo incassato – in altre parole, di rimborsarlo ora – per riceverlo in futuro dalle imprese che rimarranno attive e (si auspica) torneranno a essere redditizie. Infatti, il riporto delle perdite a esercizi precedenti ridurrà i riporti (in avanti) delle perdite attuali, il che attenuerà l’impatto sul gettito fiscale futuro. 

Ulteriore limite proposto è il plafond massimo di perdita attuale riportabile all’indietro, che viene determinato nella misura di 3 milioni di euro per impresa, posto che l’obiettivo dichiarato è quello di venir incontro, in particolare, alle piccole imprese.

Il recepimento in modo disomogeneo della raccomandazione tra i diversi paesi dell’Unione europea potrebbe però comportare l’insorgere di condizioni di disparità. È dunque opportuno un pronto recepimento delle indicazioni unionali da parte del legislatore nazionale affinché il meccanismo, seppur con orizzonte di applicazione temporalmente limitato, trovi cittadinanza in ambito domestico. 

Il “costo” della misura temporanea sul bilancio dello stato potrebbe essere mitigato adottando un plafond inferiore a quello massimo individuato dalla Commissione. Ciò sarebbe anche coerente con la piccola e piccolissima impresa che caratterizza e distingue il tessuto produttivo italiano da quello europeo.

La misura – insieme alle altre numerose già adottate per fronteggiare gli effetti economico-finanziari della pandemia – avrebbe senz’altro un impatto importante, anche perché l’impostazione è volutamente selettiva e volta a premiare oggi, concedendo loro liquidità, le imprese sane che esprimevano risultati positivi prima della pandemia. 

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Il Punto

  1. Daniele Cane'

    Gentile Dottore, il problema si collega, come rileva, al principio dell’autonomia dei periodi di imposta, che non è rinunciabile nei moderni ordinamenti – da noi esiste da sempre – e ha ben più gravi conseguenze per il contribuente (si pensi alle contestazioni di evasione per costi e ricavi imputati al periodo sbagliato).
    Si potrebbe però discutere se effettivamente la mancata previsione del carry back comporti la tassazione di una capacità contributiva non effettiva (cioè, un reddito non netto). Il sistema prevede infatti correttivi, pur limitati, che danno rilevanza alla perdita prima che si realizzi (es., deduzioni per svalutazioni e accantonamenti) e che dovrebbero tra l’altro essere eliminati, se fosse introdotto il carry back. Il problema esiste, ma nella misura in cui i correttivi non sono effettivi.
    La scelta dipende da un bilanciamento, su cui pesano in maniera decisiva le esigenze amministrative (il fisco è uno, i contribuenti centinaia di migliaia) ed anche finanziarie.
    Il carry back comporta in effetti complicazioni amministrative (correzione delle dichiarazioni) e di gestione dei rimborsi, oltre, soprattutto, ad esborsi finanziari per l’erario. Immagino sia proprio il sistema di finanziamento della spesa pubblica corrente, basata sulle entrate del periodo e non sull’accumulazione, a giocare contro (sicuramente ha pesato l’anno scorso, quando il Tesoro non poteva permettersi rimborsi di massa, come dimostra il largo ricorso ai crediti d’imposta agevolativi per finanziare gli aiuti, in molti casi equivalenti a sovvenzioni dirette ma che non implicano esborsi monetari).
    Certo, si potrebbero riconoscere crediti d’imposta, in luogo dei rimborsi. Ma anche questa è vera spesa pubblica, come la Commissione, che suggerisce il carry back, sa bene.
    Cordialmente,
    D. Canè

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