A primavera saremo chiamati a esprimerci su diversi referendum. È diventato troppo facile raccogliere le firme? Sono in molti a ritenere di sì e per questo chiedono una revisione della Costituzione. Che servirebbe, ma certo non per questa ragione.
Primavera di referendum
Ci stiamo preparando a una folta primavera referendaria. I quesiti più noti, tra quelli proposti, riguardano la legalizzazione della cannabis e la depenalizzazione dell’eutanasia. Tuttavia, i promotori stanno raccogliendo firme anche su altre proposte: riforma della giustizia (sei quesiti), abolizione della caccia (tre quesiti) e, se l’annuncio di queste ore non resterà solo propaganda, anche per l’abrogazione del green pass. Ma quali sono le norme che regolano il referendum abrogativo? E perché in tanti chiedono di rivederle?
L’articolo 75 della Costituzione e la legge 352/1970
In tema di referendum abrogativo, i riferimenti legislativi sono l’articolo 75 della Costituzione e il titolo II (articoli 27 – 40) della sua legge applicativa, la n. 352 del 1970. Il primo comma e il quarto comma dall’art. 75 sono quelli solitamente più discussi. Il comma uno prevede che possano richiedere un referendum abrogativo “cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali”; il comma quattro, invece, dice che il referendum è valido se “ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto” (il cosiddetto quorum). Non è molto chiaro come sia originata la scelta dell’Assemblea costituente. Dopo un certo dibattito, si decise di stabilire un numero fisso di sottoscrittori (500 mila, ma le proposte numeriche erano diverse) e non una soglia percentuale. La legge applicativa scandisce invece le tempistiche della richiesta e del procedimento, quelle del voto (dal 15 aprile al 15 giugno) e le competenze in materia di verifica delle firme e di accorpamento di eventuali quesiti simili.
Troppo facile raccogliere le firme?
La facilità con cui sono state raccolte le firme per alcuni referendum (solo pochi giorni) pone ora la questione del se, a causa delle nuove tecnologie, non sia diventato troppo semplice proporre referendum abrogativi.
Aumentare il numero delle sottoscrizioni necessarie appare auspicabile, ma non per questa ragione. Lo spirito della Costituente sembra essere infatti quello di verificare la diffusione dell’interesse per il quesito referendario all’interno del corpo elettorale (con le firme e con il quorum) ma non certo quello di rendere il percorso di raccolta particolarmente duro. Nemmeno la legge 352/1970 appare andare in questa direzione. Al contrario, esperienze positive di partecipazione dovrebbero incentivare la più ampia diffusione possibile dell’identità elettronica anche in sede elettorale (voto elettronico), quando ovviamente sarà possibile garantire adeguatamente personalità, uguaglianza, segretezza e libertà del voto.
Tuttavia, è evidente che l’ostacolo del numero di firme richieste (500 mila, appunto) si sia man mano indebolito nel tempo, in relazione al suo peso sia sulla dimensione della popolazione sia, più specificatamente, su quella del corpo elettorale. Entrambi sono aumentati parecchio.
Nel 1948, data di entrata in vigore dalla Costituzione, gli elettori erano circa 29 milioni mentre oggi sono oltre 50 milioni. Oltre all’invecchiamento della popolazione e alla sua crescita, ha contribuito anche l’abbassamento del diritto di elettorato attivo dai 21 ai 18 anni, introdotto nel 1975. Nel 1948, la soglia di 500 mila elettori ammontava quindi a circa l’1,7 per cento degli aventi diritto al voto per la Camera dei deputati; oggi (2020) è a poco meno dell’1 per cento.
È in questo senso che oggi è più semplice richiedere un referendum abrogativo. Un aumento del numero di firme che ristabilisca le proporzioni del 1948 sarebbe auspicabile. In assenza di una evidente “regola d’oro”, infatti, la nuova soglia di 800 mila firme potrebbe ristabilire la misura desiderata dai costituenti. Meglio ancora sarebbe sostituire direttamente una soglia numerica statica con una percentuale. Un’ultima possibilità sarebbe di collegare un aumento rilevante del numero di sottoscrizioni all’abbassamento o cancellazione del quorum, strumento che ha certo la sua logica, ma che troppo spesso, nel corso degli anni, è stato proditoriamente utilizzato come arma di sabotaggio dei referendum.
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Savino
Mezzo milione di clic non sono mezzo milione di firme ed il clic non è un voto.
Stefano Longano
Ricordo che la Commissione Diritti Umani dell’ONU ha stabilito che le modalità di raccolta delle firme previste dalla 352/70 configurano una violazione dei diritti politici dei cittadini italiani.
In sostanza in virtù della complessità delle modalità di raccolta che pongono un ostacolo irragionevole all’esercizio di un diritto costituzionalmente riconosciuto.
Lo stato italiano non ha ottemperato a nessuno dei rimedi, salvo questa disposizione ottenuta rocambolescamente.
Su questo punto non ho visto nulla.
E di fatto inficia tutto il ragionamento. Non si è reso più facile accedere ad un diritto. Si è rimediato, parzialmente, ad un ostacolo irragionevole.
Henri Schmit
Il tema non è il referendum ma l’iniziativa popolare che può condurre al referendum abrogativo (IPRA). Giusto, non esiste la regola d’oro per le condizioni di firma; ma la regola serve. Bisogna valutare la finalità. L’IP è una procedura che permette all’elettorato di stimolare (art. 71,2), di vincolare (Ref propositivo, non previsto) o di contraddire (RA) il legislatore. È quindi una procedura straordinaria che completa (1+2) o corregge (3) l’attività dell’assemblea legislativa eletta regolarmente. È esercitata da coloro che sono il mandante della rappresentanza democratica. Se non sono il costituente rispetto al potere costituito è solo perché il loro potere è esercitato belle forme e alle condizioni della C. Ma l’elettorato è il principale, il parlamento l’agente. Per i deputati selezionati bene è più facile decidere (concordare e votare una legge) che per l’elettorato. Sarebbe quindi un errore banalizzare l’IPR come procedura legislativa ordinaria. Peraltro usarla troppo spesso con troppa facilità stuferebbe gli elettori che non parteciperebbero più; difficilmente loro possono valutare ogni anno decine di proposte. È quindi giusto rendere l’esercizio dell’IPR difficile, proprio nell’interesse dei titolari di tale facoltà. Non mi scandalizzerebbero due milioni e mezzo di firme (5%). È trovo il quorum del 50% degli iscritti del tutto ragionevole e utile. L’abbassamento o cancellazione sarebbe un grave errore: se “lo, strumento, che ha certo la sua logica, è stato proditoriamente utilizzato come arma di sabotaggio dei referendum” ha risposto esattamente alla finalità per quale è stato concepito. Ci sono però altri i difetti dell’IPRA vigente. 1. Il controllo della CCost. Dovrebbe avvenire subito all’inizio dell’iniziativa; 2. permettere correzioni del quesito; 3. non aggiungere (come spesso accaduto) condizioni inutili, antidemocratiche. 4. Inoltre troverei giusto affiancate e l’IPRA con una procedura più complessa di IPRConfermativo. In quel caso -spesso difficile a distinguere dal precedente – dovrebbero essere definiti i diritti (e i tempi) di discussione e di controproposta del Parlamento in carica. 4bis. Servirebbe infine della modalità di voto adeguate (in presenza di due proposte alternative).
enzo de biasi
In argomento, vale sempre la pena di ricordare che i referendum sono un fatto positivo e di vitalità della società civile che batte un colpo , quando il parlamento benché richiamato a legiferare dalla Corte Costituzionale, non adempie al suo dovere (eutanasia) oppure è incapace di produrre una legge sull’utilizzo della cannabis, stante la voluta ignoranza da parte di tanta parte degli eletti a Roma (centro destra in primis) che equiparano questa erba , parificandola all’ eroina, all’lsd e via discorrendo . Alle due proposte citate, occorre aggiungere anche ‘abrogazione del reddito di cittadinanza e quello sul green pass, giusto per rendere più organico il ragionamento. Temi diversi che dovrebbero essere stati affrontati approfondendo innanzitutto il merito e che tranne l’ultimo causato dal Covid 19, sono questioni che giacciono sul tappeto da tempo . E’ stupefacente che, invece di rallegrarsi per questi segnali di cittadinanza attiva, a partire dai giuristi costituzionalisti a finire al precedente intervenuto, ciò che preoccupa è la celerità con la quale è stato raccolto il numero di adesioni minime ed indispensabili ! Fermo restando l’osservanza scrupolosa di tutti gli steps necessari per la identificazione e validazione di chi sottoscrive on line ed il controllo sulle modalità adoperate da parte di chi ne titolo per legge, non c’è motivo per dolersi del consenso raccolto. Piuttosto è dubbio che la tornata referendaria possa svolgersi al più presto, ovvero non nel 2022 e 2023 quanto nel 2024, cosi che il legislatore ha ancora tempo per legiferare sempre che sia in grado di farlo. Un’ultima annotazione , nel 1948 i 500mila rappresentavano l’1.7% del corpo elettorale del tempo ed applicando la medesima % si avrebbe un numero di sottoscrittori pari a 850.000. La predetta % , 1,7 % sostituisce nella Carta Costituzionale il numero 500.000, stesso comma, stesso articolo. Dove sta il problema ?
Dario
D’accordo sull’aumento del numero di firme per adeguarsi all’incremento del numero di elettori rispetto al 1947. Assolutamente d’accordo sull’abolizione del quorum costitutivo: se la consultazione è meramente abrogativa avrebbe più senso prevedere un quorum deliberativo (“Il referendum è approvato a maggioranza dei voti validamente espressi, non inferiore ad un quarto degli aventi diritto”) che oltretutto scoraggerebbe gli appelli all’astensione, fenomeno poco salutare per una democrazia. Ottima la facoltà di utilizzare l’identità digitale per sottoscrivere la richiesta; sarebbe opportuno anticipare il vaglio di ammissibilità della Consulta al raggiungimento di un determinato numero di firme (un terzo o la metà del minimo).
gabriel04
E’ vero che la popolazione italiana non è quella del 1948, ma come dice l’articolo, questo non c’entra niente con la firma digitale, che è comunque espressione di volontà del cittadino.
Non è pensabile che una norma debba prevedere non l’espressione della volontà, ma il complicare il modo per esprimerla.
Leggo oggi una intervista al costituzionalista Michele Ainis su Il Dubbio, in cui si dice contrario all’innalzamento della soglia delle 500.00 firme, portando come motivazione anche il fatto che in Europa l’iniziativa legislativa popolare richiede 1 milione di firme su 450 milioni di abitanti.
Cito dalla intervista ad Ainis:
“È altrettanto vero però, come detto, che l’iniziativa legislativa popolare europea si accontenta di un milione di firme su 450 milioni di cittadini. Non vorrei dunque che tutto questo ragionamento servisse a gettare acqua sul fuoco dei referendum. “
Henri Schmit
L’iniziativa “legislativa popolare” europea è una farce, da tutti i punti di vista. È ingannevole, un simulacro di democrazia. Il prof. Ainis spesso fa discorsi demagogici, per esempio sul sorteggio dei parlamentari, probabilmente per umana vanità. Non pesano le parole di qualcuno che non ha giudizio.
Piero Borla
Sono in linea di massima d’accordo con Henri Schmit. Aggiungo che la Costituzione disegna essenzialmente una democrazia parlamentare. A questa si associano anche strumenti di democrazia diretta; alcuni di questi nel tempo si sono rivelati inefficaci, il referendum abrogativo in particolare difficile da dirigere verso un obiettivo specifico e facile da contaminare con motivazioni estranee al punto. Ciò che oggi appare uno strumento di progresso può essere anche usato per cavalcare umori populisti con effetti regressivi: ultimo fra questi proprio il referendum per la riduzione del numero dei parlamentari. Ho votato in tutti i referendum a partire dal 1974; troppe volte ho visto referendum decisi non sul merito del quesito ma per esprimersi su una tendenza di politica generale; il più recente di questi il referendum del 2016 sulla modifica della costituzione. D’ora in poi mi recherò al voto solo quando intendo votare SI; in caso contrario mi asterrò dal voto, a costo di rifiutare alcune schede di una tornata plurima.
Luca Cigolini
C’è in ogni democrazia una percentuale fisiologica di astensione. Se i contrari ai referendum si appellano all’astensione ottengono quindi un vantaggio iniziale sui favorevoli: non devono convicere la maggioranza degli elettori a votare No, bensì una percentuale inferiore a 50, alla quale si somma comunque la percentuale fisiologica di astensioni.
Come non definire “proditoria”, cioè trsditrice della volontà popolare, questa pratica?
Piero Borla
Considero il referendum uno strumento utile in certi casi ma imperfetto perché esposto -più ancora delle normali elezioni – a giudizi approssimativi e moti umorali. La firma telematica può portare una inflazione di procedimenti referendari non padroneggiabili dall’elettore. Si è già visto in passato, quando venivano sottoposti a procedura referendaria, cumulativamente in una sola tornata, parecchi quesiti aventi oggetti del tutto eterogenei fra loro. Al conteggio, tutti i quesiti riportavano le stesse percentuali di voti favorevoli e contrari, con differenze di pochi decimi di punto. Questo è irrazionale. Non è ingiusto far pesare la quota degli astenuti. Chi non va a votare al referendum dimostra comunque una scarsa motivazione a cambiare la legge. Teniamo conto che le leggi sono GIA’ state approvate dal Parlamento, e per questo fatto non è sbagliato attribuire ad esse, in partenza, una presunzione di adesione alla volontà popolare.
Luca Cigolini
“Chi non va a votare al referendum dimostra comunque una scarsa motivazione a cambiare la legge”. Se parliamo della percentuale fisiologica di astensione, non dimostra neppure interesse a lasciarla com’è. Per i più vari motivi si disinteressa semplicemente della vita politica, o non può parteciparvi.
Per questo credo che non sia corretto che una parte (quella del NO, a prescindere dal quesito) si impadronisca, di fatto, del suo voto.
Se vogliamo salvaguardare la “presunzione di adesione alla volontà popolare” delle leggi approvate, dovremmo invece introdurre una maggioranza qualificata (60%, due terzi o altro). Ma la Costituzione non lo prevede.
Potremmo pensare che i Costituenti avessero in effetti inteso dare un vantaggio ai NO tramite il quorum, prevedendo e calcolando la tattica dell’astensionismo, ma mi pare un ragionamento difficilmente sostenibile, tanto più che questa tattica – se ben ricordo – è stata inaugurata assai più tardi, da un noto politico socialista che in occasione di un voto referendario dichiarò che sarebbe andato “al mare”.
Alberto Isoardo
Tutto vero quello che ha scritto, ma vorrei ricordare che noi abbiamo un Parlamento perso nelle beghe tra i partiti e quindi lontanissimo dalle esigenze dei cittadini, per cui il referendum è davvero l’unico strumento a loro disposizione per abrogare limitazioni ritenute ingiuste o cercare di combattere privilegi che la casta si garantisce con la fattiva collaborazione del Quirinale che si è trasformato in organo di garanzia di chi detiene il potere.
Se a questo aggiungiamo il fatto che negli ultimi anni ai cittadini è stato proibito votare e quindi esprimere i loro desideri, risulta ancora più evidente la necessità di disporre di uno strumento che, nonostante l’individualismo spinto che ci contraddistingue, non garantisce ma quantomeno consente di esprimere il proprio volere.
Volere che poi, spesso, viene annullato….vedi finanziamento pubblico dei partiti.
Henri Schmit
Giusto. Invece di concentrarci sul rimedio (le varie forme di iniziativa popolare legislativa) ,riformiamo innanzitutto la rappresentanza che comunque legifera! 1. Aboliamo il bicameralismo, 2. troviamo un altro ruolo a un nuovo Senato e 3. sistemiamo dopo 25 anni di abusi e forzature la L elettorale!
Piero Borla
Parliamo de legge elettorale ? Rispondiamo allora a questa preliminare domanda: vogliamo che gli elettori decidano direttamente sulla scelta del capo del governo (come avviene nei comuni e nelle regioni) o che demandino a dei rappresentanti eletti di fare e dispare in piena libertà ?
Henri Schmit
Questa non è una Q preliminare ma una Q DIVERSA che riguarda la forma e la designazione del governo . Contrariamente alle apparenze né in Germania né nel RU gli elettori eleggono il cancelliere o il primo ministro. In Francia eleggono il PdR ma non il PdC. Quindi il modello italico ducale, delle regioni e dei grandi comuni, NON esiste altrove nelle democrazie rappresentative. Perché? Perché cambierebbe la natura del regime, trasformando il Parlamento da organò centrale a cassa acustica del Capo dell’esecutivo eletto direttamente. In altre parole, il Parlamento non servirebbe più. Potremmo approvare direttamente tutto con un clic online. È la tendenza del nostro tempo. Il progetto di riforma costituzionale e elettorale Renzi-Boschi andava in quella direzione. Ne fanno parte anche le assemblee deliberative compose attraverso il sorteggio. C’è chi crede che questo possa funzionare. Io risolutamente no. Penso che la L debba essere discussa e votata in un Parlamento eletto e capace. Come selezionare deputati capaci di legiferare e di supportare un governo efficiente? La L elettorale può essere moderatamente proporzionale, per es. con elezione definitiva dei parlamentari in piccole circoscrizioni. Crea una forte competizione al centro. 100 anni fa era quello il modello sognato da liberali e democratici. In numerosi paesi funziona, più o meno.