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Quota 100: come uscirne

A fine anno scade “quota 100” e si riapre il tema della flessibilità in uscita dal mercato del lavoro. La scadenza potrebbe dare l’occasione per ridisegnare in modo coerente l’intero sistema. Facendo leva anche sulla transizione al sistema contributivo.

La fine di “quota 100” 

Il 31 dicembre 2021 si chiuderà la finestra triennale durante la quale, con “quota 100”, i lavoratori italiani hanno potuto sfruttare la possibilità di uscire dal mercato del lavoro in anticipo rispetto alle condizioni previste per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia (67 anni di età e 20 di contribuzione). Nel cantiere della previdenza ritorna quindi con forza il tema della flessibilità in uscita e su questo aspetto governo e Parlamento saranno chiamati, tra poco, a prendere una posizione.

A ben vedere potrebbe essere l’occasione per disegnare un sistema di uscite coerente con i principi e le possibilità offerte dal sistema contributivo e per provare a razionalizzare il coacervo di norme che attualmente consentono l’accesso al pensionamento senza una logica unica e lineare.

Cosa dicono i dati

Quali insegnamenti possiamo trarre da quanto accaduto fino a oggi? Guardando ai dati relativi alle scelte di pensionamento, le informazioni Inps ci dicono che nel corso degli ultimi decenni l’età media effettiva alla quale i lavoratori italiani sono andati in pensione è cresciuta di sei anni, passando dai 58 anni del 1995 ai 64 anni del 2020. Al tempo stesso è crollata la quota di coloro che esercitano il diritto di uscita prima dei 60 anni, passando dal 60 per cento del 1995 al 18 per cento del 2020 (si vedano su questo i dati e le considerazioni presentati in Etica economia).

L’analisi teorica e quella empirica ci hanno insegnato che il connubio di basse età di pensionamento e regole, come quella retributiva, poco attente alla corrispettività tra contributi versati e pensioni ricevute costituisce una combinazione assai pericolosa per la sostenibilità dei sistemi pensionistici così come per la loro equità. Anticipare il pensionamento in un sistema retributivo è vantaggioso per il lavoratore e costoso per il sistema.

Se l’anticipo, come spesso avvenuto in Italia, è principalmente fatto da uomini, lavoratori dipendenti, con redditi medio alti, allora possiamo dire che risorse in eccesso rispetto a quelle che manterrebbero in equilibrio i conti pensionistici nel medio-lungo termine sono utilizzate per sovvenzionare soggetti che stanno nella parte alta della distribuzione dei redditi: un chiaro indizio di regressività.

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Ci sono tuttavia due elementi di (moderato) ottimismo. Il primo deriva dall’osservazione dei dati passati, che testimoniano un cambiamento di tipo strutturale nelle scelte di pensionamento, confermato peraltro anche dall’adesione inferiore alle attese a “quota 100”: minori uscite a basse età significano una più ampia base imponibile su cui finanziare le pensioni. Ed è sicuramente una buona notizia.

La transizione verso il contributivo

Il secondo elemento riguarda la transizione al sistema contributivo: nel corso del prossimo decennio la quota retributiva nelle pensioni di chi uscirà dal mercato del lavoro diminuirà velocemente il suo peso a tutto vantaggio di quella contributiva. La seconda regola penalizza e incentiva, rispettivamente, le scelte di anticipo e di ritardo nel pensionamento in misura maggiore rispetto alla prima. Nel sistema contributivo, infatti, se si va in pensione presto, l’importo della prestazione si riduce non solo a causa della minore contribuzione, ma anche perché aumenta il numero di anni durante i quali si percepisce la pensione e viceversa.

Tutto ciò ha effetti importanti sul bilancio del sistema pensionistico perché riduce adeguatamente l’importo delle pensioni quando sono liquidate in anticipo e le accresce in maniera “corretta” quando vengono pagate in ritardo. In altri termini, anche con un’ipotetica “fuga” verso il pensionamento anticipato, l’adozione della regola contributiva offre adeguati correttivi automatici che salvaguardano meglio gli equilibri del bilancio pensionistico.

È utile a questo riguardo riflettere sui contenuti della figura seguente, dove viene riportato il risultato di una simulazione stocastica relativa agli effetti di una riduzione temporanea dell’età di pensionamento. In particolare, la simulazione studia cosa accade con una riduzione di tre anni nell’età media di pensionamento per un periodo di tre anni. Le due linee mostrano gli scostamenti dal valore di equilibrio del bilancio pensionistico in un sistema retributivo (linea continua) e in un sistema contributivo (linea spezzata). In entrambi i casi, assistiamo all’emergere di un disavanzo a cui segue una fase di avanzo nel bilancio pensionistico. Come si spiega questa dinamica?

Un abbassamento transitorio nell’età di pensionamento fa crescere il rapporto tra numero di pensionati e numero di occupati: l’impatto sul bilancio pensionistico non può che avere un segno negativo. Tuttavia, andare in pensione in anticipo determina un abbassamento delle nuove pensioni e il secondo effetto tende a controbilanciare il primo. In termini temporali, l’effetto della demografia ha inizialmente un impatto sul bilancio maggiore rispetto a quello causato dall’aggiustamento nel livello delle nuove pensioni. Viceversa, nella seconda fase, è il secondo effetto a prevalere sul primo.

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La differenza fondamentale nei due sistemi di calcolo va ricercata nell’intensità con cui la pensione si riduce per un’età di pensionamento più bassa: nel caso contributivo, a parità di ogni altra condizione, la riduzione è sempre maggiore rispetto a quanto accade nel sistema retributivo e ciò rende il primo metodo più attento alle compatibilità di bilancio durante tutta la lunga fase temporale in cui lo shock esercita i suoi effetti. Infatti, nel caso del sistema contributivo il disavanzo è più contenuto e l’avanzo è maggiore.

Figura 1 – Impatto sul bilancio pensionistico di una politica di riduzione temporanea dell’età di pensionamento

Delta_r: sistema retributivo
Delta_c: sistema contributivo
Valori espressi come medie di 1000 simulazioni ripetute

Lo scambio possibile

Quali sono gli insegnamenti che possiamo trarre dall’esercizio? La flessibilità nella gestione del bilancio pubblico riscoperta dalla politica fiscale in occasione della crisi economica innestata dalla pandemia ci ha ricordato che le leve fiscali possono essere manovrate in maniera intelligente e lontana da approcci di tipo ragionieristico, a patto che gli scostamenti non siano permanenti. La flessibilità del bilancio pubblico, insomma, non può andare in una sola direzione: la maggiore corrispettività tra disavanzi e avanzi del sistema contributivo indica che il metodo ha, anche da questo punto di vista, un’indubitabile superiorità rispetto a quello retributivo.

In questa ottica, per tornare al tema dell’imminente scadenza di “quota 100”, l’opzione di un ricalcolo della quota residua di pensione retributiva in cambio della possibilità di scegliere l’età di uscita, con un vincolo minimo attento alle esigenze di sostenibilità finanziaria e adeguatezza della prestazione, potrebbe essere uno scambio ragionevole. E, soprattutto, rispettoso nei confronti di quelle generazioni che, dopo il 2030 circa, andranno in pensione con una regola completamente contributiva.

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Il Punto

  1. Savino

    Solo chi fa mestieri comprovatamente duri può andare in pensione prima di quanto previsto dalla Legge Fornero. I dirigenti pubblici, i segretari comunali, gli statali e i parastatali che sono andati via con quota 100 dovrebbero subire una penalità ulteriore.

    • bumblebee

      Si, vadano prima in pensione i bidelli, che fanno un mestiere durissimo, secondo le statistiche INPS: infatti, sono sempre malati (forse per dedicarsi ad altre attività remunerative)? Il danno e la beffa, le persone oneste cornute e mazziate, secondo il costume italico.

  2. lorenzo

    Certo pubblicare oggi un articolo simile è scontato. Oggi che il singolo DEVE guardare al prevalere della società. Chissà perché tutti se ne infischiavano negli anni ’80 quando il debito schizzava e i baby pensionati andavano nelle TV a mostrare quanto erano bravi (per non parlare dei presidenti del consiglio che si tagliavano le tasse sulle successioni che stavano facendo in quel momento).

  3. Alex

    Articolo dai contenuti interessanti. Tuttavia, al di là dei tecnicismi (coefficienti, medie, sistemi…) comunque necessari per garantire la sostenibilità, mi pare che ci sia un silenzio tombale su un aspetto, a mio parere da non sottovalutare, giacchè presenta notevoli ricadute sul piano economico. Sulla gestione dell’Inps nel corso degli anni della sua ormai lunga storia, e degli eventi economici che hanno segnato, e segnano tuttora, la vita dell’istituto (es. gestione risorse patrimoniali, organizzative e umane…), non si sente alcuna voce, nessuno parla. Se ne deve dedurre che non ci siano margini di miglioramento e che tutto fili liscio? Una casualità o una scelta?

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