Secondo le stime, alle blockchain va attribuito lo 0,59 per cento del consumo totale annuo di elettricità nel mondo. Giudicare se si tratta di uno spreco o di energia ben spesa dipende anche dall’opinione che si ha sull’utilità di queste tecnologie.
Perché le blockchain consumano energia
Negli ultimi tempi, il tema del consumo di elettricità e dell’impronta ambientale di blockchain come Bitcoin ed Ethereum è stato al centro di veementi dibattiti. Le discussioni non sono però esenti da cliché, preconcetti, fraintendimenti e trappole.
Il consumo di energia di una blockchain basata sul metodo di consenso proof-of-work è essenzialmente dovuto al lavoro svolto dai miner (minatori) nel risolvere un puzzle crittografico. Si tratta di un compito che può essere affrontato solo con un approccio di forza bruta (cioè, provando tutte le possibilità), così che conti solo la pura potenza di calcolo dei minatori. Il miner che risolve per primo il puzzle conia il blocco e riceve una ricompensa in criptovaluta. L’energia consumata per eseguire le transazioni quando il blocco viene coniato è invece trascurabile rispetto a quella usata dal proof-of-work. In altri termini, coniare un blocco vuoto consuma pressoché la stessa quantità di energia di coniare un blocco pieno.
I miner sostengono due tipi di costi finanziari: spese di capitale, che sono costi fissi una tantum come l’acquisto di hardware specializzati (Asic) per risolvere il proof-of-work, e spese operative, ossia costi variabili continui dominati dal costo dell’elettricità per far funzionare l’hardware specifico per l’applicazione.
È fondamentale capire l’importanza del meccanismo di proof-of-work nella tecnologia blockchain. I miner sostengono volontariamente e in anticipo i costi nell’aspettativa di una potenziale ricompensa futura. È un modo intelligente per garantire la consistenza e la sicurezza della blockchain, poiché la ricompensa viene distribuita solo se il miner si comporta onestamente secondo le regole del protocollo della blockchain.
Supponendo che i miner siano agenti economici che massimizzano il profitto, l’onestà è la strategia più razionale. Di conseguenza, Bitcoin potrebbe essere considerato non tanto un’innovazione tecnica quanto un sistema socio-economico attentamente calibrato, che conta su una combinazione complessa di incentivi economici, teoria dei giochi e una solida base tecnologica.
Detto questo, il consumo di energia delle blockchain proof-of-work non è trascurabile. Poiché tutte le blockchain funzionano in modo simile, ci concentriamo su quella principale, cioè Bitcoin.
Il driver principale del consumo di elettricità di Bitcoin è la redditività attesa dei miner (ossia le loro entrate previste meno i costi).
Le entrate derivanti dal mining sono altamente volatili e dipendono principalmente dal prezzo dei Bitcoin (che è, essenzialmente, imprevedibile). I costi operativi sono più prevedibili e sono determinati principalmente dal costo dell’elettricità. L’aumento del prezzo dei Bitcoin o la diminuzione dei costi dell’elettricità portano generalmente a un incremento del consumo di elettricità, data la maggiore redditività e l’impiego di più hardware (in particolare di macchine meno efficienti).
Il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index (Cbeci) è un progetto creato presso il Cambridge Centre for Alternative Finance, un istituto di ricerca indipendente con sede presso la Judge Business School dell’Università di Cambridge. Secondo il Cbeci, oggi (8 febbraio 2022), la blockchain Bitcoin utilizza 14,27 gigawatt (GW) di energia elettrica, che corrisponde a un consumo totale annuo di elettricità di 125,10 terawatt-ore (TWh). La cifra è una misura annualizzata che presuppone un uso continuo di energia al tasso sopra menzionato per un periodo di un anno. Si tratta dello 0,59 per cento del consumo totale annuale di elettricità nel mondo.
Per mettere queste cifre in prospettiva, Cbeci offre alcuni paragoni interessanti, come per esempio:
- l’analogo del mondo reale più vicino di Bitcoin è l’oro. È interessante notare come l’estrazione dell’oro consumi 131 TWh, un po’ più della sua controparte digitale;
- l’aria condizionata globale consuma 2199 TWh (sedici volte più del Bitcoin), le reti globali di trasmissione dati consumano 250 TWh e i centri dati globali consumano 200 TWh;
- i televisori e l’illuminazione negli Stati Uniti consumano 60 TWh ciascuno, mentre i frigoriferi negli Stati Uniti utilizzano 104 TWh.
Figura 1 – Confronto tra il consumo annuo per l’estrazione dei Bitcoin e dell’oro
Tuttavia, il consumo di elettricità e l’impronta ambientale non sono necessariamente correlati. Anzi, è essenziale distinguerli: il primo riguarda la quantità totale di elettricità utilizzata dal processo di estrazione di Bitcoin. La seconda riguarda le implicazioni ambientali dell’estrazione di Bitcoin. Ciò che alla fine conta per l’ambiente non è il livello di consumo di elettricità di per sé, ma l’intensità di carbonio delle fonti di energia utilizzate per generare quella elettricità.
Che tipo di mix energetico usano i miner? Secondo il Cbeci, una quota pari al 76 per cento dei miner dichiara di usare energie rinnovabili come parte del loro mix e il 39 per cento del consumo totale di energia delle attività di estrazione proviene dalle rinnovabili.
Nel peggiore dei casi, supponendo che tutta l’energia utilizzata dai minatori provenga esclusivamente dal carbone (il combustibile fossile più inquinante), la rete Bitcoin sarebbe responsabile di circa lo 0,35 per cento delle emissioni totali annuali di anidride carbonica del mondo, come stimato dal Cbeci.
Inoltre, i miner sono attori economici che vogliono massimizzare i loro profitti. A differenza di quasi tutta l’energia usata nel mondo, che deve essere prodotta relativamente vicino ai suoi utenti finali, le attività di mining possono avvenire ovunque.
I miner sono nomadi dell’energia, attratti dalle energie rinnovabili e di scarto che non possono essere distribuite o utilizzate in un modo economicamente vantaggioso.
C’è un metodo di consenso alternativo, sicuro come il proof-of-work e che consuma meno energia? Un candidato popolare è il proof-of-stake.
Nel proof-of-stake, l’elettricità è sostituita da un capitale in criptovaluta (stake) che viene bloccato nel protocollo blockchain. Quindi, invece di dimostrare di aver fatto del lavoro (spendendo in hardware ed elettricità, quindi investendo una somma di denaro), dimostriamo semplicemente di aver puntato una ingente quantità di denaro nel protocollo blockchain, senza calcolare alcunché.
Molte blockchain vengono create con questo meccanismo di consenso alternativo, per esempio la blockchain Tezos. L’uso del metodo proof-of-stake riduce drasticamente il consumo energetico e l’impronta ambientale della blockchain, come confermato nell’attento rapporto preparato da PwC in collaborazione con Nomadic Labs. Ethereum, la seconda blockchain più importante dopo Bitcoin per capitalizzazione di mercato della sua moneta Ether, sta lentamente passando al meccanismo di consenso proof-of-stake. Il lungo processo di aggiornamento è iniziato nel dicembre 2020 e si stima che terminerà alla fine del 2022.
Ad ogni modo, non è finora chiaro se gli algoritmi di consenso alternativo come il proof-of-stake possano replicare le stesse garanzie di sicurezza del proof-of-work e con quali compromessi.
Per il momento, il metodo proof-of-work si è empiricamente dimostrato il più sicuro: anche se si possiede il 100 per cento della potenza computazionale della rete non si può riscrivere la storia della blockchain senza dare una prova di lavoro, cioè senza spendere una quantità enorme di energia e risorse per riscrivere il registro. È un fatto che le principali blockchain proof-of-work (Bitcoin ed Ethereum) finora non siano mai state attaccate con successo (Bitcoin è nata nel gennaio 2009, Ethereum nel luglio 2015).
Ma quanta energia dovrebbe consumare una blockchain? La risposta alla domanda dipende probabilmente da come si percepisce la blockchain e da quanto valore si pensa che essa crei per la società. Se pensate che le blockchain non offrano alcuna utilità se non servire come tecnologia per creare schemi di Ponzi finanziari, per riciclare denaro o commettere altri crimini, per supportare la diffusione di terrificante arte digitale e fastidiose immagini di profilo, allora l’unica conclusione logica sarebbe che consumare qualsiasi quantità di energia è uno spreco. Se, invece, credete che la blockchain costruirà un nuovo web decentralizzato, in cui gli utenti finalmente possiedono e controllano i propri dati, la propria identità e il proprio denaro, molto probabilmente pensate che l’energia consumata sia estremamente ben spesa.
*Tradotto dall’inglese da Federica Testi. Il testo originale, di cui si propone qui una versione ridotta, è disponibile a questo link.
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Andreas
Ottimo articolo!
Guido
Ringrazio per l’articolo, molto utile e approfondito al massimo livello possibile per questo prestigioso sito di divulgazione.
Scrivo per fare presente che un giudizio sull’utilità di questo consumo di energia dovrebbe necessariamente includere la fonte di energia (un esempio estremo: se fosse tutta green non ci sarebbero problemi) e l’energia risparmiata: in altre parole, se si scopre un nuovo modo di fare qualcosa, va giudicato il delta di costi, non il nuovo totale. In questo caso si potrebbe persino scoprire che nel fare la transazione di una casa via blockchain (senza viaggi dal notaio, spostamento di scartoffie, stampe, inchiostri, ecc) sia più ecologica. Ho scelto un esempio in cui è semplice ipotizzare un risparmio netto di energia, ma per gli altri usi non saprei proprio.
Stefano
Il paragone con l’oro mi sembra improprio: l’oro ha altri utilizzi in gioielleria e elettronica. Anche se fosse così comune da non poter essere usato come moneta, verrebbe comunque estratto.
I bitcoin sono meglio paragonabili alla raccolta di francobolli o di figurine.
Facendo un’analisi di costi e benefici, bisogna parlare di entrambi, se i bitcoin consumano più che tutti i frigoriferi degli USA, quanto sono paragonabili i loro benefici rispetto a quello di conservare in modo igienico il cibo (evitando molti sprechi e salvando vite umane) ?
L’ultimo paragrafo è poi la classica falsa dicotomia: o pensi che i bitcoin sono inutili, oppure devi ammettere che sono l’ultimo baluardo della libertà e dell’umanità, e quindi da difendere a qualsiasi prezzo.
Davvero non esistono posizioni intermedie?
zipperle
Tutto questo sforzo titanico per fare una transazione al secondo contro 240 fatte con Visa o 715 fatte con Mastercard e con fees più alte di quelle chieste da Visa e MC.
E poi non è vero che non conta la quota di possesso della capacità computazionale, tanto che stanno sorgendo delle forme di “pooling” per sfruttare rendimenti di scala crescenti e che potrebbero tentare di condizionare il meccanismo di validazione
Antonio Puertas Gallardo
Ringrazio Lavoce per proporci questi argomenti e l’autore per lo sforzo di sviscerare un argomento molto rilevante in questo periodo in cui il costo della l’energia e tutt’altro che banale, sia per famiglie, imprese e soprattutto per il futuro del Green deal.
Tuttavia, ritengo che le seguenti frasi lasciano un amaro in bocca perché dopo una analisi molto tecnico se banalizzano le conclusioni dicendo:
“La risposta alla domanda dipende probabilmente da come si percepisce la blockchain”
Allora e una questione di percezione ? di feeling ?
“Se, invece, credete che la blockchain…”
In questo caso mi sembra più un credo religioso…
E necessario affrontare questi argomenti senza banalizzarli con parole di credo o di come percepiamo le cose… I nostri sensi potrebbero ingannarci.
Antonio Puertas Gallardo