La copertura mediatica dei femminicidi può indurre le vittime di violenza domestica a cercare aiuto. Uno studio documenta un forte aumento di chiamate al 1522 nella settimana successiva alla notizia nella provincia in cui si è verificato il crimine.
Il femminicidio come forma estrema di violenza di genere
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, una donna su tre subisce violenze fisiche o sessuali almeno una volta nel corso della sua vita. La maggioranza delle violenze è perpetrata da partner o ex partner e all’interno delle mura domestiche. La forma più estrema di violenza contro le donne è la loro uccisione per motivi di genere, o femminicidio. Purtroppo, non si tratta di un fenomeno raro: nel 2017 sono state assassinate nel mondo 87 mila donne; nel 58 per cento dei casi l’autore è stato un partner, un ex partner, o un membro della famiglia della vittima. In Italia nell’arco degli ultimi dieci anni è stato commesso un femminicidio ogni tre giorni.
Capire quali sono gli strumenti più adatti di prevenzione e protezione per chi subisce violenza è di primaria importanza nella lotta alla violenza di genere. Un nostro lavoro indaga perciò quali siano i fattori che spingono le donne a chiedere aiuto e a intraprendere un percorso di uscita dalla violenza. In particolare, studiamo se le notizie di femminicidio aumentano la propensione a chiamare una linea di assistenza dedicata.
Notizie di femminicidio e le chiamate al 1522
Nel nostro recente studio ci siamo chiesti se la notizia di un femminicidio possa alterare la percezione del rischio di violenza futura da parte delle vittime di violenza domestica, e se questo possa indurle a cercare aiuto.
Per rispondere alla domanda abbiamo combinato due tipi di dati. Il primo riguarda i dati settimanali provinciali relativi alle chiamate alla linea di assistenza 1522, che dal 2006 assiste e sostiene le vittime di violenza domestica, forniti dal Dipartimento per le Pari opportunità del governo italiano. Il secondo riguarda le notizie di femminicidio sulla stampa locale e nazionale, raccolti dalla Casa delle donne per non subire violenza, un’organizzazione non governativa italiana specializzata nel fornire sostegno e riparo alle donne vittime di violenza. Il periodo considerato va da gennaio a maggio per gli anni 2015-2019, e quindi copre periodi nei quali cui il Covid-19 non era ancora apparso.
Il riquadro (a) della figura 1 presenta la distribuzione geografica delle chiamate al 1522 (media settimanale provinciale per 100 mila abitanti), mentre il riquadro (b) mostra il numero totale di femminicidi in ciascuna provincia (ogni 100 mila abitanti).
Figura 1 – Chiamate al 1522 e femminicidi, gennaio-maggio 2015-2019

Mettendo a confronto le due tipologie di dati, nella nostra analisi empirica abbiamo studiato l’effetto di una notizia di femminicidio sulle chiamate al 1522. Chiedere aiuto chiamando il 1522 non sembra dipendere dall’efferatezza del reato o dalla tipologia di arma usata, né dall’interesse mediatico che l’evento potrebbe aver suscitato (misurato tramite l’intensità delle ricerche di Google), ma sembra dipendere dalla notizia in sé. I risultati infatti mostrano che nella settimana successiva alla notizia di femminicidio, e nella provincia in cui il fatto è avvenuto, le chiamate al 1522 aumentano di circa nove punti percentuali, che corrispondono a un aumento delle chiamate del 21 per cento.
Quali indicazioni?
I nostri risultati mostrano che la copertura mediatica sui femminicidi aumenta la generale propensione delle donne vittime di violenza a cercare un aiuto. Parlarne non è quindi solo funzionale al processo di sensibilizzazione sull’esistenza e sulla gravità del fenomeno, ma è anche estremamente rilevante nell’innescare il percorso di ricerca di aiuto, e quindi di uscita dalla violenza, da parte delle vittime stesse.
I risultati sono coerenti con l’ipotesi che le notizie sul femminicidio rendano più saliente nelle vittime la possibilità di un’escalation di violenza, e che la conseguente reazione sia una richiesta di aiuto. Tuttavia, la reazione svanisce rapidamente: dopo una settimana il numero delle chiamate ritorna ai valori precedenti alla notizia. Ciò suggerisce che la copertura mediatica delle notizie di femminicidio sia complementare ad altri tipi di intervento, quali, ad esempio, campagne di informazione continuative e ricorrenti, che permettano di mantenere un alto livello di attenzione nel dibattito pubblico sul tema della violenza domestica. Un recente studio, infatti, ha provato che la campagna di promozione del numero 1522 durante il primo lockdown del 2020 ha incoraggiato l’utilizzo del servizio in maniera sostanziale. Parallelamente, come dimostrato da un recente articolo basato su dati del Regno Unito, il potenziamento dei servizi locali di sostegno si rende necessario per rendere credibile che le richieste di aiuto possano effettivamente tradursi nel primo passo del percorso verso l’uscita dalla violenza domestica.
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Marco Colagrossi è ricercatore presso l'unità che si occupa di Monitoring, Indicators and Impact Evaluation del Joint Research Centre della Commissione Europa. Laureato in Economia alla Tilburg University (NL), ha conseguito il dottorato all'Università Cattolica del Sacro Cuore. Prima di lavorare per la Commissione Europea, è stato visiting researcher presso il dipartimento di economia a Chatham House, the Royal Institute of International Affairs (UK). Si occupa di microeconometria e economia del lavoro, con particolare interesse verso i temi di mobilità intergenerazionale e fairness.
Ricercatore (RTD-A) di Economia Politica presso l’Università di Cagliari. Ha conseguito il PhD in Economics presso la University of Essex (UK). Ha lavorato presso il DG Joint Research Centre della Commissione Europea. I suoi principali temi di ricerca riguardano la microeconomia applicata con particolare interesse per i temi di criminalità, sanità, conflitto e immigrazione.
Professore ordinario di economia politica all'Università di Bologna. Dopo la laurea in Discipline Economico e Sociali all’Università Bocconi ha conseguito un master in economia all'Universitat Pompeu Fabra e il dottorato di ricerca in economia presso l'Università di Bologna. È stato ricercatore e professore associato al Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università di Bologna. Nella sua attività di ricerca si è occupato di comportamenti e salute, scelte intertemporali, consumo di sostanze e dipendenze.
Ricercatore (RTD-A) in Economia Politica presso l’Università di Pavia. Ha conseguito il PhD in Economics presso la University of Essex. Ha lavorato come economista presso il Joint Research Centre della Commissione Europea e come post-doc per l’Institute for New Economic Thinking della University of Oxford. Si occupa principalmente di microeconometria applicata con particolare focus su policy evaluation, diseguaglianze e mobilità sociale, economia del lavoro.
Ricercatrice (RTD-A) in Politica Economica all’Università di Cagliari. Ha lavorato come economista per il Competence Centre on Microeconomic Evaluation presso il Joint Research Centre della Commissione Europea. Laureata in Scienze Economiche all'Università di Cagliari, ha conseguito il PhD in Economics alla University of Essex (UK). Si occupa di microeconomia applicata e valutazione di politiche pubbliche nell'ambito dell'economia del lavoro, con particolare interesse verso i temi dell'immigrazione e del welfare.
Ha conseguito il dottorato in Scienze Statistiche presso l’Università di Bologna dove lavora come assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari. Si occupa di valutazione di politiche pubbliche nell’ambito dell'economia comportamentale, in particolare sui modelli di prevenzione e riduzione dello spreco alimentare a livello individuale e famigliare. E’ volontaria presso la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna.
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