La scarsità delle materie prime spinge l’inflazione. Una soluzione è ricorrere con più convinzione all’economia circolare. Ma occorrono impianti per il riciclaggio e lo sviluppo del processo di “simbiosi industriale”, in distretti produttivi circolari.
Inflazione ed economia circolare
La scarsità delle materie prime è uno dei fattori che determinano dinamiche inflazionistiche più elevate. Dovranno perciò guadagnare rilievo le misure per agevolare il recupero delle cosiddette “materie prime seconde”, o materiali “End of Waste” (articolo 184-ter del Testo unico ambientale), cioè i residui che hanno perso la qualifica di rifiuto dopo operazioni di recupero e possono essere reimmessi nel processo produttivo. Si tratta, in altri termini, di rafforzare l’attuazione del principio del “riciclo”, alla base dell’economia circolare.
Famiglie e imprese sono oggi più disposte a pagare per utilizzare beni durevoli senza doverli acquistare. Grazie alle tecnologie digitali e ai nuovi design, i prodotti possono essere manutenuti in modo efficiente, permettendo il prolungamento della loro vita utile, mentre le restrizioni normative su inquinamento e rifiuti si applicano lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti, rendendo vantaggioso riutilizzare le risorse più e più volte.
Il riuso di materie prime seconde ha un triplice vantaggio: i) maggiore sicurezza nell’approvvigionamento (di fronte a una domanda in continua crescita), ii) ambiente più pulito e sano (sia per il minor ricorso all’estrazione di risorse naturali, sia per la riduzione nella generazione di rifiuti) e iii) risparmi sugli acquisti di materie prime, che potranno riflettersi in prezzi finali più contenuti e soggetti a minori aumenti.
Alcuni anni fa, il rapporto Growth Within a Circular Economy: Vision for a Competitive Europe, curato dal McKinsey Center for Business and Environment e la Ellen MacArthur Foundation, in collaborazione con la Fondazione Deutsche Post, aveva stimato che con l’economia circolare, entro il 2050, l’Europa avrebbe potuto migliorare la propria produttività fino al 3 per cento, creando le premesse per un contenimento dell’aumento dei prezzi dal lato dell’offerta e sostenendo la crescita economica. Il miglioramento della produttività, entro il 2030, avrebbe altresì potuto generare risparmi sui costi fino a 600 miliardi di euro all’anno (si pensi, per esempio, al settore edile, con costi di costruzione dimezzabili, o al settore della mobilità, con costo riducibile del 75 per cento) e permesso un aumento del Pil fino a sette punti percentuali rispetto allo scenario di base.
Serve un impegno convinto
Oggi realizzare questi obiettivi è diventato imprescindibile. Il Piano d’azione sull’economia circolare, approvato dal Parlamento europeo nel 2021, può segnare un passaggio decisivo verso l’adozione di un modello produttivo circolare, con risparmi significativi in particolare in quegli ambiti nei quali la pressione sui prezzi è più intensa: elettronica, batterie e veicoli; imballaggi; plastica; tessile; edilizia; alimentare, acqua, nutrienti.
Vi sono fattori critici su cui sarà necessario intervenire:
- l’assenza di standard europei in materia di economia circolare, che comporta incertezze sulla qualità delle materie prime seconde e rende difficile verificare i livelli di impurità e la sostenibilità di alti gradi di riciclo;
- l’eterogeneità delle normative nazionali, che, insieme agli alti costi di trasporto, ostacola lo scambio di materie prime seconde tra paesi europei, impedendone la commercializzazione e la circolazione nell’Ue;
- l’inadeguatezza degli incentivi all’utilizzo di materiali riciclati nei prodotti e nelle infrastrutture, che attenua la domanda di materie prime seconde e impedisce lo sviluppo di un mercato.
Se poi si considera che oggi il 66 per cento delle emissioni industriali di CO2 è causata della produzione di acciaio, plastica, alluminio e cemento (Figura 1), per ridurle sensibilmente si dovrà insistere sul sistema di riciclo di queste materie. Dovrà perciò aumentare il ricorso all’ecodesign per ottenere materiali più facilmente “smontabili”, che facilitino il recupero materico altrimenti impossibile da eseguire (pur ricordando che, per quanto efficiente, anche il recupero comporta costi energetici ed emissioni di CO2). Si dovrà sviluppare l’impiantistica per il riciclaggio e promuovere il processo di “simbiosi industriale” – con la creazione di distretti produttivi circolari – attraverso cui i rifiuti prodotti dalle aziende vengono valorizzati come materie prime utili per altre aziende.
Figura 1 – Quattro principali categorie di materie critiche
In Italia, infine, andranno riviste le norme relative all’End of Waste – la disciplina giuridica che stabilisce la cessazione della qualifica di rifiuto al termine di un processo di recupero – che oggi ostacolano la circolarità dei materiali.
Gli effetti sulla transizione ecologica
Dare attuazione ai principi dell’economia circolare avrà effetti benefici diretti e indiretti sulla transizione ecologica, mitigando le tensioni inflazionistiche che genera e che le sono di ostacolo. Tuttavia, i benefici si vedranno soltanto al termine del processo, mentre la transizione, nel suo percorso, imporrà costi economici e sociali rilevanti.
Per questa ragione, politiche fiscali redistributive (che prelevino da chi dall’inflazione beneficia e compensino chi ne è penalizzato), insieme ai meccanismi europei per una “transizione giusta”, costituiranno strumenti indispensabili per garantire una transizione più veloce, che non lasci indietro nessuno. Dovranno essere impiegati in modo incisivo e tempestivo per affrontare squilibri già presenti e in ulteriore forte crescita.
*Le opinioni espresse in questo articolo sono personali degli autori e non implicano le istituzioni con cui essi sono affiliati.
I contenuti di quest’articolo (in due parti) derivano dal più ampio dossier predisposto dagli autori per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal titolo Energia, materie prime, inflazione: Le principali criticita del momento alla prova delle priorita di sviluppo sostenibile, da poco pubblicato sul sito della Presidenza.
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mauro
Trent’anni fa, nei Kombinat Russi, si cercava di utilizzare gli scarti di produzione per realizzare altri prodotti, indipendentemente dai costi marginali.
Ora nonostante tutti gli sviluppi tecnologici raggiunti, mi rattrista vedere che siamo di nuovo ai blocchi di partenza.
Abbiamo creato dei monopoli per nascondere i rifiuti come se il denaro coprisse tutto, dimenticandoci che in natura non esiste il concetto di rifiuto.