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Ambiente pulito, un diritto umano universale

L’Assemblea generale dell’Onu ha riconosciuto come diritto umano l’accesso a un ambiente salubre. È un passo fondamentale per affrontare la crisi planetaria dovuta a cambiamento climatico, perdita della biodiversità e inquinamento degli ambienti naturali.

Una risoluzione storica

Con 161 voti favorevoli e 8 astensioni, lo scorso 26 luglio l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una storica risoluzione che dichiara l’accesso a un ambiente pulito, sano e sostenibile un diritto umano universale.

La risoluzione non è giuridicamente vincolante, ma stabilisce uno standard quantitativo e qualitativo che avrà, secondo gli esperti, implicazioni a catena per le politiche nazionali e per la legislazione futura.

Il diritto a un ambiente salubre si somma agli altri diritti umani fondamentali già riconosciuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. E modifica la natura stessa del diritto internazionale dei diritti umani: benché risoluzioni di questo tipo possano sembrare astratte, sono in realtà un catalizzatore per l’azione dei poteri pubblici e hanno il pregio di cambiare la prospettiva delle persone, in questo caso sul bene ambientale e sulle questioni che lo concernono.

Inoltre, la prospettiva del diritto all’ambiente come diritto umano si affianca a quella dell’ambiente come dovere in capo ai poteri pubblici, molto spesso seguita dalle corti internazionali per imporre azioni di tutela contro il cambiamento climatico – come ad esempio quando hanno affermato un duty of care dei governi (caso Urgenda) o di società private (caso Shell).

Uno strumento per affrontare la triplice crisi planetaria

La risoluzione dell’Assemblea generale arriva dopo anni di campagne di un gruppo di paesi, di migliaia di Ong e di esperti delle Nazioni Unite. I sostenitori auspicano che possa portare ad altre decisioni su questo solco, in modo che il nuovo diritto riconosciuto possa risultare fondamentale per affrontare la triplice crisi planetaria, cioè le tre principali minacce ambientali – tra loro interconnesse – che l’umanità si trova attualmente a fronteggiare: il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e l’inquinamento, tutte menzionate nel testo della risoluzione.

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Una spinta verso l’approvazione del reato di ecocidio?

Secondo gli esperti, affermare semplicemente il diritto a un ambiente sano non è sufficiente: gli stati devono attuare i propri impegni internazionali e intensificare i loro sforzi. Una spinta in tal senso potrebbe arrivare dalla criminalizzazione dell’ecocidio – ovvero il causare danni gravi e diffusi o a lungo termine all’ambiente – che rappresenterebbe il tassello mancante per catalizzare una rapida attuazione degli accordi ambientali multilaterali.

È dal 1972, quando si celebrò la Conferenza sullo sviluppo umano di Stoccolma, che la comunità internazionale discute del riconoscimento del reato di ecocidio nell’ambito del diritto internazionale. Nel 2015, il movimento End Ecocide on Earth ha proposto una modifica allo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale, per far riconoscere l’ecocidio come un crimine contro l’umanità, il che aprirebbe le porte a una giustizia preventiva, attraverso l’istituzione di meccanismi di controllo ambientale e sanitario su scala globale.

In sintesi, bisognerebbe criminalizzare i danni più gravi alla natura, al fine di proteggere il diritto – ormai universale – a un ambiente pulito e sano.

Le potenziali ripercussioni nei processi

Nel 2018, il depuratore pubblico del comune di Capaccio Paestum (Salerno) ha subito due incidenti consecutivi, a causa dei quali 126 milioni di biomateriali plastici sono stati rilasciati nel fiume Sele e sono arrivati nel Mar Tirreno: attualmente ne sono stati recuperati solo 5,5 milioni sulle spiagge italiane e francesi. Otto persone sono sottoposte a procedimento penale per quel disastro. Per il momento è difficile stabilire se la risoluzione potrà avere un impatto su questo processo, ma certamente aiuterà a evidenziare come i fatti contestati siano l’ennesimo gravissimo e non più tollerabile episodio di degrado ambientale da contrastare per il bene collettivo.

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  1. Savino

    Gli industriali non fanno il loro dovere mettendo in primo piano solo il profitto, e, oggi come oggi, abbandonando tanto l’ambiente quanto l’occupazione. Però non vedo in giro chi gli fa un tirata d’orecchie seria. Si va in galera e si viene rimbrottati pubblicamente per molto meno rispetto al deturpamento della natura.

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