Lo sciopero proclamato dall’associazione sindacale dei calciatori è una normale azione di lotta, messa in atto per protestare contro l’atteggiamento della controparte che vuole imporre nuove regole, ritenute contrarie agli interessi dei lavoratori del mondo del calcio.
NON SONO TUTTI ETO’O
Nonostante il tentativo di mediazione della Federazione, si sono rotte le trattative tra la Lega di serie A e l’Associazione italiana calciatori per il rinnovo del contratto di lavoro dei calciatori, da tempo scaduto. In particolare, il sindacato calciatori s’è rifiutato di trattare su due materie, ritenendo del tutto irricevibili le proposte avanzate dalla Lega.
Ora, al di là del merito della questione, va sottolineata l’assoluta normalità della vicenda se la si colloca sul giusto piano delle relazioni industriali e segnatamente del dialogo tra rappresentanze degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro. La risonanza mediatica di quest’avvenimento deriva dalla circostanza che il calcio rappresenta lo sport nazionale e televisivo per eccellenza, che genera un enorme business. Ma non va trascurato che i calciatori sono dei lavoratori subordinati come tutti gli altri e come tutti gli altri hanno il diritto di difendere le loro aspettative, anche con lo strumento dello sciopero. È pertanto erronea la posizione di chi sostiene che i calciatori, in quanto milionari, non dovrebbero scioperare. Anzitutto, va messo in evidenza che non tutti i calciatori professionisti hanno ingaggi particolarmente elevati, tali da giustificare appunto lappellativo di milionario. Peraltro, la lievitazione dei compensi dei calciatori è da imputare alle stesse società datrici di lavoro che, pur di accaparrarsi i soggetti più prestigiosi, non hanno badato a spese. E così è sorprendente che ora tanti presidenti di serie A gridino allo scandalo solo perché i calciatori non vogliono accettare regole ritenute peggiorative della loro condizione. Parafrasando la battuta di un celebre film, si potrebbe dire loro: è il mercato, bellezza, e tu non puoi farci niente.
Inoltre, non va trascurato che al di fuori dell’area professionistica, definita in modo autonomo dalla Federazione, operano i cosiddetti calciatori dilettanti che, in realtà, dilettanti non sono, ma sono bensì professionisti di fatto. Nell’area dilettantistica limitrofa a quella professionistica, gli sportivi svolgono l’attività alla stregua di un vero e proprio lavoro, come i colleghi della zona più elevata, anche se non hanno il riconoscimento del relativo status. E le tutele, per quanto limitate, di cui godono questi professionisti di fatto, sono state ottenute grazie alla pressione dell’Associazione italiana calciatori e quindi dei calciatori professionisti riconosciuti come tali. In sostanza, secondo una tradizione consolidata delle relazioni industriali, la maggiore forza contrattuale di alcuni lavoratori ha permesso di difendere anche quelli più deboli. Ciò dimostra quanto sia ancora importante l’azione collettiva e quindi il ruolo del sindacato per estendere e diffondere la solidarietà nel mondo del lavoro.