Il ministro dell’Economia sostiene che aumentare l’Iva per finanziare una riduzione dell’Irpef potrebbe essere una buona idea. Il ragionamento non considera però la possibile crescita dell’evasione Iva. Mentre non si avrebbero effetti sul costo del lavoro.
Autore: Alessandro Santoro Pagina 3 di 5
Ha conseguito il MSc. in Economics presso l’Università di York nel 1997 e il dottorato in economia politica presso l’Università Cattolica nel 2001. È attualmente professore ordinario di scienza delle finanze presso il Dems dell’Università di Milano-Bicocca, ed è affiliato dei centri CEFES, Datalab e Dondena . È stato esperto tributario presso il Secit (Ministero delle finanze) dal 1999 al 2004, consigliere del vice-ministro all’economia e alle finanze dal 2006 al 2008, consigliere economico del Presidente del consiglio dei ministri dal settembre 2014 al dicembre 2016 e consigliere del Ministro dell'Economia da febbraio 2020 a ottobre 2022. Da luglio 2021 è presidente della Commissione per la redazione della relazione sull'economia non osservata e l'evasione fiscale. Le sue principali pubblicazioni riguardano l’impatto delle misure di contrasto dell’evasione fiscale, gli studi di settore, i diversi modelli di tassazione familiare e la misura della disuguaglianza.
Per contrastare l’evasione fiscale, l’Agenzia delle entrate dovrebbe poter utilizzare tutte le informazioni a sua disposizione. Ma è necessario trovare il giusto equilibrio tra tutela della privacy e i potenziali benefici dell’uso massiccio dei dati.
L’Italia ha alti livelli di evasione, in particolare dell’Iva e, a cascata, dell’Irpef e dell’Ires. La fattura elettronica consegna al fisco informazioni che aiutano a contrastarla. Ma solo se l’amministrazione è effettivamente capace di utilizzarle.
Il decreto fiscale annulla i debiti col fisco sotto i mille euro del periodo 2000-2010. Servirà forse a ridurre in via transitoria il carico delle agenzie di riscossione. Ma non risolve il problema generale della scarsa efficienza del sistema.
Ogni condono fiscale comporta importanti costi sociali. In genere però dà almeno un aumento di gettito, seppure una tantum e di breve periodo. Quello prefigurato dal decreto fiscale ottiene il risultato paradossale di non aumentare neanche le entrate.
Sulle politiche fiscali la prima manovra del governo Conte rivela una sostanziale continuità con il passato. Non affronta i nodi strutturali del nostro sistema fiscale, mentre ignora del tutto i temi del futuro dei rapporti tra fisco e contribuente.
Far scattare la clausola di salvaguardia sull’Iva non sembra una buona idea. Meglio forse introdurre una nuova aliquota unica. Ma qualunque sia la scelta, va sfruttato il patrimonio di informazioni ottenuto dalla trasmissione elettronica delle fatture.
Le pubbliche amministrazioni versano direttamente al fisco l’Iva per l’acquisto di beni e servizi da privati. È lo split payment e ha garantito un buon recupero dell’evasione, senza troppi costi per i contribuenti onesti. Ora il governo vuole eliminarlo.
Nel contratto di governo la riduzione dell’evasione fiscale è affidata solo alla “quasi” flat tax. Ma si prevede anche una riduzione degli accertamenti presuntivi e un provvedimento “salda e stralcia” (un condono?). Senza alcuna attenzione al recupero di efficienza dell’amministrazione fiscale.
Un legame a doppio filo tra split payment e lotta all’evasione
Di Alessandro Santoro
il 29/06/2018
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