L’appassionato commento di Anna Gerometta (del Comitato mamme antismog) merita una risposta e qualche chiarimento. Procediamo per punti.
1) Le misure di particolato e di PM10 possono essere in larga misura sovrapposte come è stato fatto nel grafico a cura di ARPA utilizzato nel nostro articolo criticato da Gerometta. Il PM10 rappresenta infatti la quota largamente maggioritaria del particolato, intorno all’85%. L’evoluzione nel medio periodo della concentrazione di questo inquinante risulta quindi essere assai positiva. C’è poi un problema che vale la pena chiarire usando l’aritmetica. Se – come dice Gerometta – il PM2,5 è a sua volta l’80% del PM10 e il PM1 è il 90% del PM2,5, ne segue che il PM1 è il 72% del PM10. Se prendiamo per buoni i dati dell’Arpa Lombardia circa il particolato totale a Milano, il PM10 trent’anni fa era circa 150μg/m3, mentre nel 2005 era circa un terzo (ma, come vedremo, oggi è anche meno). Ne segue che il PM1 era pari a circa 107 μg/m3 trent’anni fa, mentre oggi arriva a 36 μg/m3. Quindi, utilizzando le proporzioni menzionate da Gerometta, anche il PM1 è significativamente diminuito, a meno che trenta anni fa queste polveri sottilissime non fossero inferiori al 24% del PM10. Ma che oggi siano il 72% del PM10 e allora fossero meno del 24% appare del tutto implausibile.
2) Anche negli anni più recenti, contrariamente a quanto sostiene Gerometta, si registra una tendenza alla riduzione delle concentrazioni del PM10, come evidenziato nel seguente grafico (Fonte: Agenzia Mobilità Ambiente Territorio, Monitoraggio Ecopass Gennaio Settembre 2009)
3) Non è chiara l’affermazione di Gerometta secondo cui la qualità dell’aria è migliorata nel Nord Europa perché si è investito nella riduzione delle emissioni da traffico. E certamente non corrisponde alla realtà dei fatti se si intende dire che la qualità dell’aria è migliorata perché si è investito nel trasporto pubblico. Come evidenziato in un precedente intervento, l’evoluzione della domanda di mobilità e della ripartizione modale fra trasporto individuale e collettivo è sostanzialmente omogenea in tutta Europa. Non fanno eccezione i Paesi del Nord. Ad esempio, Svezia e Norvegia – paesi con livelli di concentrazione di PM10 tra i più bassi in Europa – presentano una ripartizione della domanda di mobilità del tutto simile a quella italiana: più precisamente, in Svezia la domanda soddisfatta dall’auto nel 2007 è risultata pari all’82,6%, in Norvegia all’87,7% (in Italia l’81,8%). Si noti che non è una questione di diversa densità della popolazione. L’Olanda (che ha una densità ancora più alta dell’Italia del nord) ha una ripartizione modale analoga a quella dell’Italia. Quanto alla ripartizione modale nelle aree urbane, la comparazione è difficile per la disomogeneità dei dati. Un’indicazione è quella che segue: a Milano gli spostamenti motorizzati interni alla città avvengono per il 50,2% con mezzi pubblici (compresa la metro), percentuale che scende al 32,3% per gli spostamenti in ingresso o uscita. A Stoccolma, gli spostamenti motorizzati interni alla città avvengono per il 64% con i mezzi pubblici. Anche in questo caso la percentuale scende (al 38,7%) per gli spostamenti all’interno dell’intera contea (compresi, quindi, quelli in entrata e uscita da Stoccolma). Guarda caso, nelle maggiori città norvegesi e in alcune svedesi, a partire dagli anni 90, è stata attuata proprio una politica basata sull’introduzione di sistemi di pedaggio e di potenziamento della rete stradale, analoga a quella delineata nel nostro intervento, mentre i sussidi al trasporto pubblico non sono certo aumentati.
4) Le condizioni relativamente peggiori dell’inquinamento atmosferico nel nord Italia non sono riconducibili ad emissioni più elevate ma a condizioni atmosferiche più sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti. In particolare, per quanto concerne il PM10 ed il PM2,5, secondo i dati forniti da ARPA Lombardia, le emissioni pro-capite nella Regione sono nettamente inferiori alla media europea. Il dato sulle emissioni non va peraltro confuso col dato che in aree più dense più persone respirano l’aria cattiva quando i livelli di concentrazione delle polveri sale oltre le soglie di allarme. Questo ha a che fare con il fatto che le concentrazioni sono un male pubblico, mentre il dato sulle emissioni pro-capite ha a che fare col contributo individuale medio alla produzione del suddetto male pubblico.
5) Quanto alla qualità delle misurazioni (messa in discussione da Gerometta), non essendo esperti del campo, rimandiamo al comunicato emesso in merito alcuni mesi fa da ARPA Lombardia.
6) Anche in materia di impatti sulla salute non siamo esperti. Ci pare utile, di nuovo, sottolineare che le conclusioni dello studio presentato all’Accademia Francese quanto ai rischi per la salute non sono molto dissimili da quelli contenuti in un precedente intervento pubblicato su lavoce.info (e che appariva molto preoccupato) e da quelli ottenuti dalla letteratura citata da Gerometta: il livello di rischio relativo attuale di contrarre un tumore al polmone è circa di 20:1 tra fumatori e non fumatori. I rischi correlati ai vari impatti sulla salute dell’inquinamento sono di 1,02-1,05:1. A ciò va aggiunto che il rischio relativo è diminuito (conseguenza necessaria, data la riduzione dell’inquinamento che abbiamo documentato) e che nelle città dove c’è più inquinamento si vive come se non più a lungo di dove ce n’è meno. Per esempio, nell’Italia del nord la speranza di vita è superiore a quella norvegese (identica per gli uomini e superiore di un anno per le donne) e se si raffrontano livelli di inquinamento e speranza di vita nelle diverse province italiane non c’è alcuna correlazione diretta. Il che non ci dice che l’inquinamento fa bene, ovviamente, ma solo che incide relativamente poco sulla speranza di vita.
7) In ogni caso, il nostro intervento non era finalizzato a dire che il livello di inquinamento nelle città italiane è giusto oppure è alto o è basso. Volevamo solo mostrare come (a) l’inquinamento urbano non sia aumentato (al contrario di quanto spesso si sente dire) e (b) non sia efficace combatterlo spendendo di più per il trasporto pubblico a parità di congestione. E quest’ultimo punto è tanto più vero se – come dice Gerometta – il traffico è responsabile del 60% delle emissioni dei principali inquinanti atmosferici locali. Una politica di decongestionamento – lo ribadiamo – è più efficace nell’abbattere gli inquinanti rispetto a un generico aumento della spesa il per trasporto pubblico. È una questione di logica, non di opinione.
8) Infine, alla domanda su come sia possibile potenziare il trasporto pubblico di superficie, a parità di spesa, con una efficace politica di decongestionamento crediamo di aver già risposto nella replica al dott. Harari, cui rinviamo. Ci dispiace che Anna Gerometta l’abbia ignorata.