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Autore: Andrea Goldstein Pagina 4 di 5

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Andrea Goldstein è Senior Economist al Dipartimento economico dell’OCSE e dirige il desk India/Indonesia (ma le opinioni espresse nei suoi interventi sono personali). In precedenza è stato è Managing Director e Chief Economist di Nomisma, Vice Direttore UNESCAP e Heiligendamm-L’Aquila Process Support Unit e consulente IADB, DfID e Esteri. Andrea collabora regolarmente con Sole 24 Ore e Aspen Institute Italia e ha pubblicato libri sulle economie emergenti (Il miracolo coreano, 2013, L’économie des BRIC, 2013, L’economia del Brasile, 2012 e Bric, 2011), l’Italia (The Italian Economy after COVID-19, 2020 e Agenda Italia 2023, 2018) e le multinazionali emergenti (Multinational Companies from Emerging Economies, 2007). Il suo ultimo libro è Il potere del pallone (2022, ed. spagnola 2023). È Past President di BAA Parigi e insegna regolarmente in Cattolica, UNIBO e ISTAO.

IL COMMENTO DI GOLDSTEIN E BONAGLIA ALL’ARTICOLO DI PERSICO E PUEBLITA – TECHNOCRACY IN GRECIA*

In un recente contributo su questo sito (1), Nicola Persico e José Carlos Pueblita hanno mostrato come in Messico la maggioranza dei ministri economici siano “cervelli” con PhD in materie economiche conseguito negli Stati Uniti e che non hanno mai partecipato a una elezione. Gli autori notano la particolarità del caso del Messico – una repubblica presidenziale dove il capo dell’esecutivo ha la possibilità di nominare direttamente i membri del governo senza sottoporsi allo stillicidio dei veti incrociati di correnti e correntine. Alcuni lettori hanno obbiettato che la tecnocrazia è anti-democratica, visto che permette a tecnici non eletti di esercitare grande potere politico senza la sanzione delle urne. Si potrebbe aggiungere che la tequila technocracy si è consolidata in un periodo in cui si sono succeduti governi di centro-destra, in particolare quelli panistas di Fox e Calderón.
Le recentissimi elezioni in Grecia offrono, con le dovute cautele, il materiale per testare questi argomenti. Dalle urne è uscito vincitore il PASOK, il partito socialista, e George Papandreou ha nominato in posizioni chiave dei tecnocrati che hanno passato all’estero periodi estesi di formazione e lavoro. Per essere più precisi, su 18 ministri otto hanno un dottorato e altri otto un Master. L’età media è bassa – poco più di 51 anni, 50 se si esclude il vice Primo Ministro Theodore Pangalos). Ad avere un dottorato sono i Ministri delle Finanze e dell’Economia – rispettivamente George Papaconsatinou e Louka Katseli – ma anche il titolare di un dicastero più politico come la Difesa. Anche i Vice-Ministri degli Esteri sono giovani tecnocrati: un 41enne ex-professore di diritto europeo all’Università di Vienna ed un 45enne con un M.Sc. in Environmental Economics dell’Università di Reading. Il nuovo Primo Ministro ha fortemente puntato su questi profili anche in campagna elettorale, definendoli “i migliori”, “coloro che non hanno interessi acquisiti” e che quindi possono fare avanzare le riforme necessarie alla modernizzazione del paese.
Se il nuovo è un governo molto tecnocratico, non è il primo nella recente storia greca. Nel 1989 per esempio, a seguito del risultato inconclusivo delle elezioni ed in un contesto di crisi economica, i tre maggiori partiti nominarono Primo Ministro Xenophon Zolotas, ottantacinquenne ex-governatore della Banca di Grecia e autore di un importante libro di economia del benessere (2). Ma soprattutto, i Primi Ministri che si sono succeduti al potere dal 1993 hanno impressionanti credenziali accademiche. Andreas Papandreou aveva un Ph.D. ad Harvard e insegnò lì ed in altre prestigiose università americane prima di tornare in Grecia; Costas Simitis ha studiato diritto a Marburgo ed economia alla London School of Economics; e Kostas Karamanlis ha un PhD. alla Fletcher School of Law and Diplomacy di Tufts.
Come si arriva allora ad affidare il potere a un gruppo di persone con competenze nel campo economico? Nel caso messicano, il potere era saldamente nelle mano del PRI e la cooptazione era semplice – il termine dedazo indicava la pratica con cui il presidente “additava” il suo successore. In Grecia invece ci sono vere e proprie dinastie politiche. L’attuale Primo Ministro è figlio di Andreas Papandreu che a sua volta era figlio di un Georgios Papandreu tre volte a capo del governo tra il 1944 e il 1965; il suo predecessore è nipote di Konstantinos Karamanlis, già Primo Ministro e Presidente; Konstantinos Mitsotakis, a capo del governo nel 1990-93, il cui padre e nonno erano parlamentari, aveva come zio Eleftherios Venizelos, una delle figure maggiori della politica greca del XX secolo. Non a caso in tutte queste famiglie così importanti i figli erano inviati a studiare all’estero – Spiros, il fratello di Simitis, è per esempio professore alla Goethe di Francoforte ed uno dei maggiori esperti europei di diritto di privacy and security.
Persico e Pueblita identificano altri fattori che hanno contribuito ad alimentare la rivoluzione tecnocratica in Messico. Alcuni, ma non tutti, sembrano importanti anche in Grecia. I tre membri del consiglio della Banca di Grecia, in particolare, hanno tutti ricevuto un dottorato all’estero, sono tornati per insegnare all’Università di Atene e poi hanno integrato la banca centrale. Molto simile il profilo dei due precedenti governatori (Lucas Papademos e Nicholas C. Garganas). Come in Messico, anche in Grecia le assunzioni nel settore pubblico – almeno nel passato recente – incoraggiano i concorrenti esterni e quindi solleticano l’interesse dei numerosi economisti greci sparsi in Nord America ed Europa. Dopo aver passato otto anni all’OCSE, George Papaconstantinou tornò in patria nel 1998 come consigliere del Primo Ministro per la società dell’informazione.
Un altro fattore importante nel caso messicano è la possibilità per i burocrati di usare l’impiego nell’amministrazione come trampolino di lancio per lucrosi impieghi privati. Abbiamo guardato ad un piccolo campione – i 70 amministratori di cinque delle sei principali società greche (3) – trovando che soltanto quattro corrispondono alla definizione di tecnocrate. Per esempio Michalis G. Sallas, Chairman di Piraeus Bank, che ha un PhD ad Heidelberg ed è stato professore di econometria all’Università Panteion, Segretario Generale del Ministero del Commercio e Chairman del primo comitato per la modernizzazione del settore bancario; oppure Panagis Vourloumis, Managing Director di OTE, che ha studiato alla London School of Economics ed ha diretto la divisione Southeast Asia dell’International Finance Corporation. Né possiamo dire che la rapida progressione di carriera sia una sicurezza per un tecnocrate ellenico. Un’altra differenza è che mentre i ministri messicani sono veri e propri tecnocrati, che raramente sono stati eletti e hanno seduto in Parlamento, i loro colleghi greci hanno spesso una considerevole esperienza politica, ad Atene oppure a Strasburgo e Bruxelles.
Per concludere, i motivi che portano i tecnocrati al potere sono molti e diversi. Al di là della criticità dei problemi – ma, del resto, quale paese non ne ha! – non sono moltissimi gli elementi in comune tra Grecia e Messico, eppure ambedue i paesi si contraddistinguono per il rilievo delle posizioni di responsabilità coperte da individui con elevato grado di educazione ricevuta all’estero in materie socio-economiche. C’è cioè in ambedue i paesi la consapevolezza che un certo grado di conoscenza formale è utile per esercitare il potere. Ovviamente la tecnocrazia non è garanzia di risultati brillanti – pochi detentori di obbligazioni argentine si sentirebbero di sottoscrivere l’affermazione che “Domingo Cavallo merits our admiration for his great achievements to date and for his indomitable courage” (4) – ma quello che abbiamo cercato di dimostrare è che essa è compatibile con differenti orientamenti politici e strutture istituzionali. Poi ovviamente rendere conto dell’operato agli elettori rimane la miglior garanzia per il buon funzionamento della democrazia.

(1) “Là dove tornano i cervelli”, 1 settembre 2009.
(2) Economic growth and declining social welfare (New York: New York University Press, 1981).
(3) cioè National Bank of Greece, Alpha Bank, OTE, Piraeus Bank e Coca-Cola (Hellenic Bottling). I dati prosopografici dei membri del consiglio d’amministrazione di Eurobank EFG non sono disponibili sul sito della società.
(4) Arnold C Harberger, “Secrets of Success: A Handful of Heroes”, American Economic Review, 1993, vol. 83, issue 2, pages 343-50.

* Le posizioni espresse nell’articolo sono attribuibili esclusivamente agli autori e non coinvolgono in nessun modo gli Enti per cui lavorano.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio i lettori che hanno mandato dei commenti al mio intervento. Per quanto riguarda l’impatto della diversità sui risultati aziendali, rimando a "Women Directors on Corporate Boards: A Review and Research Agenda" di Siri Terjesen, Ruth Sealy e Val Singh (in Corporate Governance: An International Review, 2009, 17(3): 320-337). Il motivo per cui una grande quantità di studi empirici dimostra che la diversità migliora la corporate governance è abbastanza semplice — essa (che sia di genere, di nazionalità o di background professionale) permette di meglio esaminare i problemi e quindi di trovare in media soluzioni più efficaci.
Per quanto riguarda la questione più vasta del merito, come suggerisco alla fine del mio intervento i meccanismi di selezione delle elite (di cui gli amministratori di società quotate sono un esempio) si basa su dinamiche di cooptazione. Gli insiders selezionano per entrare in questa elite altre persone con caratteristiche simili, tra cui in particolare un vissuto comune. Se ci sono tanti bocconiani, tanto per fare un esempio pratico, non è solo perché la Bocconi è un’ottima università, ma anche perché più bocconiani ci sono in un consiglio più aumentano le chance che un altro venga cooptato. In queste dinamiche ci sono effetti di soglia — per le donne in particolare fino a che sono poche (o addirittura fino a che le poche che sono presenti lo sono per "tokenism") è difficile che possano suggerire agli altri amministratori un potenziale candidato per il consiglio.
Il punto sui consigli delle banche è molto interessante. In effetti ci sono ben 20 amministratori stranieri nelle banche del MIB30 (di cui 8 in Unicredit e 6 in Mediobanca) e altri 8 in Generali. È molto positivo che gli stranieri possano fare carriera nella seconda banca e nella prima società assicuratrice italiane e questo serve a sfatare in parte il pregiudizio di un capitalismo completamente bloccato. Ma per l’appunto sono pochi gli indipendenti. Speriamo che la presenza di una donna nel direttorio di Via Nazionale sia un incitazione. Del resto la dott.ssa Tarantola ha dichiarato in un intervento: "ritengo che gli stereotipi facciano parte di una
cultura d’azienda desueta, non in linea con i canoni di trasparenza ai quali le imprese sono chiamate ad attenersi sui diversi fronti, da quello contabile a quello della corporate governance. Non consentendo il pieno sviluppo della competizione interna e l’affermazione del merito, limitano l’efficace impiego di tutte le risorse".

CDA PROIBITO PER DONNE E STRANIERI*

Emma Marcegaglia e Diana Bracco entrano nella classifica delle cinquanta donne-manager più potenti nel mondo stilata dal Financial Times. Basta questo per sostenere che la situazione delle dirigenti d’azienda è migliorata in Italia? Non proprio, perché nei consigli di amministrazione italiani il numero delle donne resta desolatamente basso. E non solo: anche i consiglieri stranieri sono molto pochi. Eppure, gli studi empirici indicano una relazione positiva significativa tra diversità del board e performance societaria. E allora ben vengano le quote rosa.

CINA: UNA GRANDE OPPORTUNITÀ PER L’AFRICA?

La globalizzazione dei mercati sembra aver raggiunto per la prima volta anche l’Africa. Grazie al traino della locomotiva cinese, alla domanda crescente di materie prime sui mercati mondiali e all’aumento dei relativi prezzi internazionali, l’economia africana è cresciuta in media di oltre il 4 per cento nel periodo 2001-06. La Cina ha un vantaggio nella costruzione di infrastrutture e l’Europa nella costruzione delle istituzioni, soprattutto quelle regionali. L’importante è che i tre attori dialoghino per garantire la coerenza dei diversi interventi.

QUOTE ROSA A PIAZZA AFFARI

Sono davvero pochissime le donne nei consigli di amministrazione delle società italiane. E così si riduce per definizione l’ambito di risorse e di talento a cui il paese può attingere per il proprio sviluppo. Se si vuole contribuire a risolvere il problema della mancanza di ricambio della classe dirigente, in politica come negli affari, bisogna dunque guardare anche alle questioni di genere. Magari seguendo l’esempio della Norvegia. Che la presenza femminile ai posti di comando l’ha imposta per legge, ottenendo risultati più che soddisfacenti.

PALLA AVANTI ED EMIGRARE

Sempre più spesso i talenti dello sport si spostano da un paese all’altro. Ma anche la circolazione dei campioni richiede misure di policy per garantire equità nella globalizzazione. La segmentazione del mercato del lavoro che accompagna le migrazioni dei calciatori rischia di aumentare il divario tra squadre e di indebolire l’equilibrio competitivo dei campionati. L’Uefa pensa di imporre un limite ai giocatori stranieri. Ma sarebbe più efficace obbligare i club delle maggiori leghe europee a riversare parte dei diritti televisivi alle squadre che hanno formato i campioni.

Come Air France sorvolò la crisi

Il fallimento della procedura d’asta di Alitalia rilancia l’interesse per l’esperienza di Air France. Non solo perché il vettore transalpino ritorna in auge come il partner più probabile per rilevare la nostra compagnia di bandiera. Ma soprattutto perché più di dieci anni fa ai francesi riuscì il colpo d’ala per uscire dalla crisi. Grazie a una strategia fatta di soppressione di rotte, riduzione dei costi e miglioramento della produttività. E forte di un sistema di tariffe diversificate secondo le condizioni del mercato e della scommessa su un unico hub.

Conglomerati alla riscossa

I conglomerati sembrano avere il vento in poppa. A Wall Street e soprattutto sui mercati emergenti. Eppure analisti finanziari e accademici sostengono che solo la specializzazione nel core business crea valore. In realtà, non c’è nulla di intimamente sbagliato nella diversificazione. E quando il sistema di incentivi è chiaro e stimola la cultura imprenditoriale, un numero elevato di gruppi dalle attività disparate ottiene risultati superiori a quelli del mercato. Tuttavia in economia il determinismo non paga e molto dipende dal contesto e delle circostanze.

Sud chiama Sud

La cooperazione economica Sud-Sud acquista un rilievo nuovo. La Cina si è impegnata a sostenere lo sviluppo dell’Africa attraverso prestiti, doni e investimenti di varia natura per un ammontare superiore ai 5 miliardi di dollari. In cambio chiede che i beneficiari vendano le proprie materie prime e utilizzino i fondi per acquistare beni e servizi da società cinesi. I paesi africani sono così considerati partner paritari, di cui per esempio è opportuno sottolineare l’attrattività come destinazione turistica. Un approccio ben diverso da quello adottato dai paesi del Nord.

Le coalizioni e la cooperazione allo sviluppo

Le politiche di cooperazione allo sviluppo sono uno strumento importante per promuovere una globalizzazione etica. Nonostante il forte sostegno della società civile, l’Italia ha fin qui seguito un approccio che privilegia la risposta a emergenze umanitarie o politiche, piuttosto che interventi di lungo periodo. Nei programmi elettorali delle due coalizioni non ci sono impegni precisi. Anzi sembra prevalere una certa miopia. La Cdl non affronta neanche il tema. E l’Unione non cita fonti di finanziamento alternative né l’eventualità di creare un ministero.

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