Mario Draghi ha mandato un messaggio chiaro ai governi europei. La maggiore fiducia nella stabilità del sistema argina le crisi e riduce così la necessità di interventi pubblici di emergenza. Si deve partire da qui perché l’Unione monetaria funzioni.
Autore: Andrea Terzi Pagina 2 di 4
Andrea Terzi si è laureato in economia politica presso l’Università Bocconi di Milano e ha conseguito il Ph.D in economics presso Rutgers University. È professore di economia nella Franklin University Switzerland, ricercatore associato del Levy Economics Institute del Bard College (NY), e insegna Economia Monetaria nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È autore di La Moneta (Farsi un'idea, il Mulino, 2002) e Salviamo l'Europa dall'austerità (2014, Vita e Pensiero). È coautore e coeditore di Euroland and the World Economy: Global Player or Global Drag? (Palgrave Macmillan, 2007).
La Fed aumenta i tassi, ma con cautela. E avverte che stime e previsioni sono oggi caratterizzate da incertezza. È la stessa prudenza usata dalla Bce. Perché ciò che accade alle monete non dipende soltanto dalle banche centrali, ma anche dai governi.
L’ultimo Consiglio direttivo della Bce non segna alcun cambio di rotta sulla politica accomodante. D’altra parte, la posizione dell’amministrazione Usa a favore di un dollaro debole allontana le tre condizioni per mettere fine al Quantitative easing.
Dalla riunione della Bce esce un messaggio chiaro: c’è una ricalibratura del programma di acquisto dei titoli, ma non è indicata alcuna data per la fine del Quantitative easing. Così la Banca centrale continua a essere il più forte collante dell’Eurozona.
La premessa è che l’unione economica e monetaria è ancora incompleta. È in questo quadro che la Bce si muove e prende decisioni. A partire dal proseguimento della politica straordinariamente accomodante in virtù del mandato sulla stabilità dei prezzi.
Il discorso di Mario Draghi nel tradizionale incontro dei banchieri centrali a Jackson Hole ha deluso molti commentatori. Che si aspettavano indicazioni precise sulla fine del Qe. Ma a ben vedere, qualcosa di importante a riguardo è stato detto.
Uno degli effetti del Quantitative easing è aver tenuto basso il valore dell’euro. Che ora invece torna ad apprezzarsi verso il dollaro. Le conseguenze potrebbero farsi sentire su obiettivo di inflazione, avanzo commerciale e tasso di crescita dell’area.
Produrre le monetine da 1 e 2 centesimi costa più del valore facciale. Si pensa perciò di eliminarle. E in attesa di una decisione europea, l’Italia propone la sospensione della loro circolazione. Perché la novità deve essere spiegata bene ai cittadini.
Mario Draghi ha elencato tre condizioni per rialzare i tassi di interesse. Nessuna delle quali sembra prossima a realizzarsi in Europa. Perché la Banca centrale europea è sola nell’affrontare la lunga crisi, ancora e sempre orfana della politica fiscale.
Gran parte dell’allargamento del saldo Target2 della Banca d’Italia si spiega con gli effetti del Quantitative easing. Non nasconde dunque una fuga dal debito italiano. Se uscissimo dall’euro dovremmo ripagarlo? I problemi da affrontare sarebbero ben più complessi di quelli legati al suo rimborso.