La nostra nota sullimportanza dei test di competenza disciplinare messi a punto dallInvalsi e sullinsensatezza dellopposizione manifestata da vari insegnanti e studenti, soprattutto delle superiori conteneva uninesattezza (dovuta a ristrette di tempi e di spazi), riprodotta, poi, anche nellarticolo di Tito Boeri apparso su La Repubblica di domenica 22 maggio. Linesattezza è consistita nel sostenere che lo studio di Irvapp era basato sui test Invalsi. Avremmo, invece, dovuto dire comè chiaramente indicato nel sito web di Irvapp – che lIstituto si era avvalso della collaborazione degli esperti dellInvalsi per mettere a punto – utilizzando una serie di quesiti estratti da quelli presenti nel repertorio di Pisa, ma non mai precedentemente utilizzati in scuole secondarie superiori italiane tre test di competenza (comprensione della lingua italiana, conoscenze matematiche e conoscenze scientifiche). Questa precisazione non ha, tuttavia, alcuna incidenza sulla fondatezza delle argomentazioni presentate nella nostra nota, né in quelle presentate da Tito Boeri nell’articolo di Repubblica. Vediamo perché.
Va, in primo luogo, chiarito che esiste un corpo consolidato di teorie e di procedure tecniche che governano la costruzione dei test di competenza cognitiva e la loro validazione, così come il calcolo dei punteggi espressivi dei livelli di abilità posseduti dagli scolari e studenti oggetto di rilevazione. (si veda, ad esempio, L. Boncori, Teoria e tecniche dei test, Torino, Bollati Boringhieri). Naturalmente, come ogni branca della scienza anche queste teorie e queste procedure tecniche sono suscettibili di continui perfezionamenti. È, però, altrettanto certo che quelle al presente disponibili funzionino più che bene e che tutti paesi avanzati utilizzino test di competenza analoghi a quelli messi a punti dallInvalsi per misurare la preparazione raggiunta dai singoli allievi e, con essa, i livelli di funzionalità delle singole classi, delle singole scuole e da interi sistemi scolastici. Né, a questo proposito vale obiettare che ogni allievo è diverso da ogni altro, né che ogni classe è diversa da ogni altra, né, infine, che ogni scuola è diversa da ogni altra. I test in questione sono costruiti in modo da limitare e da controllare gli effetti dei condizionamenti sociali e culturali extra-scolastici che possono influire sugli apprendimenti. E, in ogni caso, le analisi statistiche condotte sui risultati dei test sono in grado di fare emergere eventuali fattori strutturali (diverse dotazioni finanziarie, edilizie e didattiche delle singole scuole, ma anche diversa capacità e diverso impegno dei singoli docenti e diverse posizioni sociali e dotazioni culturali delle famiglie e degli alunni) in grado di produrre sistematiche variazioni nei rendimenti scolastici degli allievi. È per questo che nella nostra nota abbiamo affermato che i test dellInvalsi sono importanti al fine di mettere a punto politiche capaci di garantire una maggiore equità delle chance di apprendimento disponibili ai bambini, agli adolescenti e ai giovani italiani e, con esse, di migliorare il funzionamento dellintero sistema scolastico. Due ultime battute.
Non abbiamo mai pensato e non abbiamo scritto nella nostra nota che le competenze rilevate dai test esauriscano gli apprendimenti promossi dalla scuola, né che questultima abbia solo funzioni di istruzione. Ma è certo che il compito principale della scuola e la ragione per cui essa si configura come una vera e propria istituzione sociale consista nella trasmissione di modelli e strategie di pensiero efficaci, di rigorose conoscenze teorico-disciplinari e di utili abilità pratiche. E i test sono ottimi strumenti per consentire se davvero la scuola assolva ai suoi compiti istituzionali. Una semplice ispezione dei test usati dallInvalsi per la seconda classe delle secondarie superiori e dei test Pisa fa vedere a chiunque non sia ideologicamente prevenuto che tra i due esiste una piena corrispondenza di impianto. Bisognerebbe, dunque, chiedersi perché i test Pisa siano accettati dai sistemi scolastici di decine e decine di Paesi e perché, invece, il sistema scolastico italiano debbano rifiutare quelli dellInvalsi. Lipotesi che lItalia e il che è peggio i suoi insegnanti siano refrattari a misurazioni e valutazioni oggettive è pertanto una possibilità da non escludere.