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Autore: Antonio Schizzerotto

Schermata 2014-07-10 alle 19.56.12 Antonio Schizzerotto insegna Sociologia presso l’Università di Trento e dirige, nella Fondazione Bruno Kessler, l’Istituto per la Ricerca Valutativa sulle Politiche Pubbliche. Si è occupato a lungo di disuguaglianze sociali con particolare attenzione alla mobilità sociale, alle opportunità di istruzione e ai fenomeni di povertà. Attualmente si occupa di valutazione delle politiche pubbliche. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca in ambito nazionale e internazionale. Ha fatto parte di organismi consultivi, a livello governativo, in ambito nazionale ed in ambito UE.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

La nostra nota sull’importanza dei test di competenza disciplinare  messi a punto dall’Invalsi e sull’insensatezza dell’opposizione manifestata da vari insegnanti e studenti, soprattutto delle  superiori conteneva un’inesattezza (dovuta a ristrette di tempi e di spazi), riprodotta, poi, anche nell’articolo di Tito Boeri apparso su La Repubblica di domenica 22 maggio. L’inesattezza è consistita nel sostenere che lo studio di Irvapp era basato sui test Invalsi. Avremmo, invece, dovuto dire – com’è chiaramente indicato nel sito web di Irvapp – che l’Istituto si era avvalso della collaborazione degli esperti dell’Invalsi per mettere a punto – utilizzando una serie di quesiti estratti da quelli presenti nel repertorio di Pisa, ma non mai precedentemente utilizzati in scuole secondarie superiori italiane –  tre test  di competenza (comprensione della lingua italiana, conoscenze matematiche  e conoscenze scientifiche). Questa precisazione non ha, tuttavia, alcuna incidenza sulla fondatezza delle argomentazioni presentate nella nostra nota, né in quelle presentate da Tito Boeri nell’articolo di Repubblica. Vediamo perché.
Va, in primo luogo, chiarito che esiste un corpo consolidato di teorie e di procedure tecniche che governano la costruzione dei test di competenza cognitiva e la loro validazione, così come il calcolo dei punteggi espressivi dei livelli di abilità posseduti dagli scolari e studenti oggetto di rilevazione. (si veda, ad esempio, L. Boncori, Teoria e tecniche dei test, Torino, Bollati Boringhieri). Naturalmente, come ogni branca della scienza anche queste teorie e queste procedure tecniche sono suscettibili di continui perfezionamenti. È, però, altrettanto certo che quelle al presente disponibili funzionino più che bene e che tutti paesi avanzati utilizzino test di competenza analoghi a quelli messi a punti dall’Invalsi per misurare la preparazione raggiunta dai singoli allievi e, con essa, i livelli di funzionalità delle singole classi, delle singole scuole e da interi sistemi scolastici. Né, a questo proposito vale obiettare che ogni allievo è diverso da ogni altro, né che ogni classe è diversa da ogni altra, né, infine, che ogni scuola è diversa da ogni altra. I test in questione sono costruiti in modo da limitare e da controllare gli effetti dei condizionamenti sociali e culturali extra-scolastici che possono influire sugli apprendimenti. E, in ogni caso, le analisi statistiche condotte sui risultati dei test sono in grado di fare emergere eventuali fattori strutturali (diverse dotazioni finanziarie, edilizie e didattiche delle singole scuole, ma anche diversa capacità e diverso impegno dei singoli docenti e diverse posizioni sociali e dotazioni culturali delle famiglie e degli alunni) in grado di produrre sistematiche variazioni nei rendimenti scolastici degli allievi. È per questo che nella nostra nota abbiamo affermato che i test dell’Invalsi sono importanti al fine di mettere a punto politiche capaci di garantire una maggiore equità delle chance di apprendimento disponibili ai bambini, agli adolescenti e ai giovani italiani e, con esse, di migliorare il funzionamento dell’intero sistema scolastico. Due ultime battute.
Non abbiamo mai pensato e non abbiamo scritto nella nostra nota che le competenze rilevate dai test esauriscano gli apprendimenti promossi dalla scuola, né che quest’ultima abbia solo funzioni di istruzione. Ma è certo che il compito principale della scuola – e la ragione per cui essa si configura come una vera e propria istituzione sociale – consista nella trasmissione di modelli e strategie di pensiero efficaci, di rigorose conoscenze teorico-disciplinari e di utili abilità pratiche. E i test sono ottimi strumenti per consentire se davvero la scuola assolva ai suoi compiti istituzionali. Una semplice ispezione dei test usati dall’Invalsi per la seconda classe delle secondarie superiori e dei test Pisa fa vedere a chiunque non sia ideologicamente prevenuto che tra i due esiste una piena corrispondenza di impianto. Bisognerebbe, dunque, chiedersi perché i test Pisa siano accettati dai sistemi scolastici di decine e decine di Paesi e perché, invece, il sistema scolastico italiano debbano rifiutare quelli dell’Invalsi. L’ipotesi che l’Italia e – il che è peggio –  i suoi insegnanti siano refrattari a misurazioni e valutazioni oggettive è pertanto una possibilità da non escludere.

CRISI ITALIANA, CRISI DELLA CONDIZIONE DEI GIOVANI

Il Rapporto annuale 2010 dell’Istat solleva molti motivi di preoccupazione sullo stato dell’Italia, ma quello sulla relazione dei giovani con la sfera lavorativa pare particolarmente grave. Il tasso di disoccupazione dei giovani italiani è al 20,2 per cento, superiore di 3,7 punti rispetto alla media Unione Europea. Ma anche per chi lavora, le prospettive sono tutt’altro che esaltanti. E cresce la quota di chi emigra all’estero in cerca di prospettive migliori. Se la condizione giovanile è lo specchio del futuro del paese, ci aspettano tempi davvero grami.

L’INVALSI È DEMOCRATICO

La raccolta sistematica di basi informative sulle competenze scolastiche non si configura come una forma di soffocamento della ricchezza culturale della scuola con ignobili quiz. Né come un tentativo di limitare la libertà di insegnamento. Al contrario, è uno strumento necessario per mettere a punto politiche scolastiche in grado di utilizzare nel modo migliore il denaro pubblico e garantire una maggiore efficacia dei processi di apprendimento, una più equa distribuzione delle risorse educative e una riduzione delle disuguaglianze sociali. Di scuola e università si parlerà a Trento nei giorni del Festival dell’economia.

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