Possiamo affidare diritti fondamentali, sanciti dalla Costituzione, come il diritto al lavoro, alle pari opportunità, alla maternità, alla volontarietà e lungimiranza di amministrazioni locali, aziende, associazioni e sindacati? Le gravi e strutturali carenze del nostro sistema di welfare, che penalizzano l’ingresso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro, non possono ricadere completamente sulle imprese. La rimozione degli ostacoli alla realizzazione delle pari opportunità è compito della politica pubblica. E non bastano gli sgravi Irap.
Autore: Arianna Visentini
Dopo qualche anno di blocco, torna la norma che permette alle aziende di ottenere risorse a fondo perduto per attuare sperimentazioni che favoriscano la conciliazione famiglia-lavoro: per il 2011 sono 15 milioni di euro. Il nuovo bando cerca di risolvere alcuni problemi emersi con la vecchia normativa. Ora è più semplice proporre il progetto, così come sarà più veloce la risposta e migliori le modalità di erogazione del contributo. E possono partecipare anche gruppi o reti di imprese.
Rispondo ai gentili contributi dei lettori del mio post per condividere essenzialmente le osservazioni espresse. Attivare politiche di sviluppo a livello locale significa in effetti promuovere la sinergia tra strategie e interventi volti a raggiungere obiettivi condivisi tra più enti e portatori di interessi a livello locale.
E quindi naturale che premessa indispensabile alla realizzazione del processo sia l’acquisizione della consapevolezza del problema, delle sue manifestazioni e quindi una individuazione delle possibili soluzioni.
E’ vero come sottolinea la Sig.ra Daniela che tale consapevolezza non va data per scontata e che subiamo il retaggio di un sistema di welfare standardizzato che in parte ha inibito la capacità dei singoli e delle organizzazioni di vedere i problemi ed elaborare soluzioni e in parte ne ha spesso indotto una metabolizzazione o assuefazione per cui non si riconosce il problema dal momento che da troppo tempo ci si è abituati a risolverlo alla meno peggio e mi riferisco in particolare alla tendenza di madri e famiglie a sottovalutare il problema della lotta che, quotidianamente, ciascuno di noi combatte contro il tempo e contro il portafoglio per conciliare i propri oneri di cura e di lavoro.
Ma i tempi cambiano e a volte è proprio l’assenza preordinata di risposte e risorse che può modificare la domanda stessa. Ciò non significa che il bisogno non esistesse anche prima. Le donne oggi non sono più in grado, come lo sono state le loro madri e le loro nonne, di reggere il peso di un welfare deficitario che le considera ancora depositarie del senso di responsabilità e quindi deputate a prendersi cura degli altri ma nemmeno sono in grado di reggere il peso di un sistema economico che le vuole presenti, disponibili, competitive e flessibili.
Le donne, appunto, sono ancora poco capaci di rappresentarsi ed essere rappresentate. Ancora troppo impegnate nella gestione degli impegni quotidiani tendono ad essere trascurate dallo stesso sindacato al quale faticano ad appartenere e partecipare. La contrattazione sindacale e i relativi accordi raramente affrontano il problema della conciliazione famiglia-lavoro se non nelle grandi realtà aziendali. Servirebbero politiche di gestione del part-time, introduzione della flessibilità oraria, della personalizzazione degli orari di lavoro in base alle necessità dei singoli, benefit e voucher per le spese di istruzione e accudimento figli. Servirebbero accordi che definiscono gli impegni aziendali e i diritti dei lavoratori ma anche accordi che ristabiliscono l’alleanza tra datori di lavoro e lavoratrici al fine di abbattere il costo del lavoro e defiscalizzare le politiche di valorizzazione del capitale umano.
La conferenza Stato-Regioni ha finalmente dato il via libera alla nuova formulazione dell’articolo 9 della legge 53/2000 che prevede contributi a favore delle imprese per misure a sostegno della flessibilità e conciliazione famiglia-lavoro. Nei dieci anni passati dalla prima approvazione della norma i progetti presentati sono stati ben pochi. Non per questo è stata necessariamente un fallimento. Sarebbe meglio però lasciare alle autonomie locali le decisioni sullo sviluppo delle politiche di genere e per la famiglia. E su quali siano gli interventi più adeguati.
Tra i pochi interventi varati negli ultimi anni a sostegno delle famiglie che lavorano e hanno figli piccoli, figura la legge 53/2000. Prevede contributi a fondo perduto alle imprese che presentano progetti per facilitare la conciliazione lavoro-famiglia dei dipendenti. A pochi anni dalla sua entrata in vigore però si è già arenata tra ritardi e sospensioni. Si preclude così l’opportunità di costruire una convergenza di interessi tra le aziende e i lavoratori, tra interessi sociali ed economici. Adattare la misura alle piccole e medie imprese.