La portabilità del contributo datoriale è questione insidiosa sotto il profilo politico-sindacale e giuridico. Obiettivo esplicito della legge delega era la parità concorrenziale tra le diverse forme pensionistiche complementari. Ma così il principio di libera concorrenza impone di trasformare un obbligo contrattuale valevole nei rapporti tra le parti contraenti, in un obbligo a favore di qualunque fondo pensione. Ora si tratta di trovare una terza via tra la violazione dell’autonomia contrattuale delle parti sociali e l’infedeltà alla delega.
Autore: Armando Tursi
La dottrina sociale della Chiesa non interessa solo i credenti, ma offre una visione d’insieme dei problemi che rinvia a una dimensione fondativa di carattere teologico e antropologico-etico. I suoi cardini possono essere identificati nei principi della dignità della persona e della destinazione universale dei beni. Il “diritto del lavoro” non è riducibile al diritto della concorrenza e nemmeno al “diritto sociale”: è il diritto che tutela la dignità delle persone che lavorano, e solo in quanto tale promuove la giustizia sociale e l’eguaglianza nel mondo del lavoro.
La diversificazione dei modelli contrattuali non è riuscita a stimolare l’offerta di lavoro. Nella riforma gli strumenti di lotta allesclusione sociale si sono confusi con quelli finalizzati a conciliare la domanda di flessibilità delle imprese con la tutela dei lavoratori. Meglio sarebbe allora lasciare alla contrattazione collettiva la facoltà di decidere in quali casi, a quali condizioni e entro quali limiti è lecito, per i singoli lavoratori e per i singoli datori di lavoro, contrattare individualmente condizioni di lavoro adatte alla situazione specifica.
Nel decreto legislativo di riforma del lavoro tocca il suo culmine la tendenza a delegare funzioni paralegislative alle parti sociali. Ma quali sono le conseguenze dellormai inestricabile intreccio tra legge e contrattazione collettiva? Al di là di incoerenze ed equivoci, bisognerebbe distinguere tra concertazione, intesa come forma di cooperazione tra pubblico e privato-collettivo, e contrattazione collettiva, che è invece una manifestazione dellautonomia negoziale privata. E alla luce di questa distinzione andrebbe affrontato il problema della riforma delle regole della rappresentanza sindacale.
Da tempo sono state segnalate le incongruenze e le ambiguità delle nuove norme sulle collaborazioni coordinate e continuative. Ora, la circolare ministeriale riduce il cuore del provvedimento a una semplice presunzione di rapporto di lavoro subordinato, superabile con prova contraria. Mentre restano le contraddizioni, una riforma annunciata come radicale evapora in modo sostanziale alla prova dei fatti. Segno che qualcosa non va nella capacità del legislatore di calibrare obiettivi, strumenti e tecniche dei suoi interventi.