Negli ultimi due anni, lo smart working è entrato prepotentemente delle nostre vite. Persisterà anche in futuro? Quali sono gli effetti su produttività e benessere dei lavoratori? Cosa possono fare le imprese? Alcune risposte in uno studio dell’Ocse.
Autore: Chiara Criscuolo
Capo divisione presso il Direttorato per la Scienza, la Tecnologia e l’Innovazione (STI) dell’OCSE e ricercatrice associata presso il Centro per la Performance Economica (CEP) della London School of Economics (LSE). Si occupa principalmente di imprenditorialità, dinamiche aziendali, produttività, e valutazione delle politiche pubbliche in questo ambito. In qualità di capo divisione, è stata responsabile di importanti pubblicazioni OCSE fra cui “The Future of Productivity”, “New sources of growth: Knowledge Based Capital”, e “OECD Innovation Strategy”. Cogestisce il Forum Globale della Produttività (GFP), ed è membro del Consiglio Nazionale della Produttività Francese e Portoghese. Prima di entrare all’OCSE, è stata ricercatrice al CEP. Ha ottenuto il Dottorato in Economia presso l’University College London (UCL) ed ha insegnato presso l’Università di Siena, UCL, l’Università di Cambridge, e LSE.
In Italia le imprese medio-grandi e grandi sono produttive e competitive. Il problema è che sono poche rispetto agli altri paesi. E quelle più produttive impiegano in media circa un terzo degli addetti occupati nelle corrispondenti aziende europee.
I nuovi dati Ocse permettono di confrontare le dinamiche occupazionali aziendali, tenendo conto dell’età delle imprese. In tutti i paesi sono quelle giovani a contribuire di più alla creazione di posti di lavoro. La “questione italiana” rimanda ad aziende piccole e vecchie.