L’inadeguatezza del modello Cara non significa che sia giusto spostare i rifugiati come pacchi verso destinazioni sconosciute e lontane. Perché comunque possono essere attuate forme di integrazione nella società locale, come a Castelnuovo di Porto.
Autore: Chiara Marchetti
Chiara Marchetti è docente di sociologia delle relazioni interculturali presso l’Università degli Studi di Milano. Conduce attività di ricerca sui temi delle migrazioni internazionali e della cittadinanza, con particolare attenzione al diritto d’asilo, al ruolo del terzo settore nell’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati, alle seconde generazioni e alla riformulazione del concetto di cittadinanza nelle società multiculturali. Dal 2014 svolge inoltre attività di progettazione e ricerca presso l'Associazione CIAC di Parma.
Regna una discreta confusione nell’opinione pubblica sui compiti dei diversi centri destinati alla prima accoglienza dei migranti. Ma è tutto il sistema a presentare gravi lacune. Coabitazioni difficili in strutture costruite sulla base delle emergenze, troppo grandi e lontane dai centri abitati.
Cda, Cie, Cara: sono tante le sigle utilizzate per indicare i diversi centri che accolgono gli immigrati in Italia. Vediamo quando sono stati istituiti e quali sono le finalità e la capienza delle diverse strutture.