Nel dibattito sul reclutamento dei docenti universitari mi sembra si trascuri un tema importante e che incrocia quello del merito. I concorsi non sono, non dovrebbero, essere soltanto meccanismi di promozione, auspicabilmente sulla base del merito. Sono, dovrebbero essere, anche strumenti di reclutamento di docenti sulla base del fabbisogno di una determinata facoltà in specifiche discipline.
Si tratta di due esigenze distinte, rispetto alle quali anche le università e facoltà più universalistiche devono trovare un equilibrio tra aspettative legittime di chi ha ben lavorato ed esigenze didattiche. Ci sarebbero anche le esigenze di ricerca, ma sono le prime a essere sacrificate, perché nel nostro sistema organizzativo duale, uscito da una delle tante riforme, la ricerca si fa nei dipartimenti, ma sono le facoltà a reclutare. Anche se poi, giustamente, per la valutazione delle università ci si riferisce anche alla qualità della ricerca svolta nei dipartimenti.
IL PROBLEMA DEI SETTORI SCIENTIFICO-DISCIPLINARI
A far pendere la bilancia verso un utilizzo dei concorsi per associato e ordinario, ma ormai anche per ricercatore data la lunga gavetta di precariato mal pagato cui sono costretti i giovani, pressoché solo in chiave di promozione interna, non è solo la pressione dei docenti interni che aspirano a una promozione, unita al loro minor costo perché il loro stipendio è già nel bilancio della facoltà. Occorre anche considerare che con lattuale sistema di reclutamento le facoltà si trovano nellimpossibilità di scegliere la persona più adatta ai loro bisogni, anche solo didattici. Ѐuna impossibilità ulteriormente rafforzata dal sistema prefigurato dal decreto Gelmini e che si aggiunge ai problemi bene evidenziati da Daniele Checchi in questo sito.
Per capire la questione occorre sapere che i concorsi vengono fatti per settore scientifico-disciplinare. Nel nostro ordinamento universitario ogni disciplina, è suddivisa in quelli che sono chiamati settori scientifico disciplinari, in cui branche specializzate della disciplina sono raggruppate, spesso in base a logiche del tutto oscure. Ѐuna situazione che non ha riscontri nella maggior parte degli altri paesi. In alcuni casi i settori sembrano includere un solo tipo di specializzazione, ipercircoscritta, altri invece contengono di tutto. Comunque sia, lunica logica che sembra emergere è la relativa forza dei gruppi disciplinari: i più forti si sono ritagliati un settore, i più deboli sono stati raggruppati più o meno a caso. Basterebbe leggere le declaratorie (basta il nome) di alcuni di questi raggruppamenti per capire che non rispondono ad alcuna logica scientifica. Certamente, in parte il problema deriva dalla iperspecializzazione e anche da interessi corporativi che hanno spinto a moltiplicare le discipline di insegnamento e talvolta a inventarne di inesistenti, o dal dubbio corpus teorico e metodologico.
Ma gli effetti sul reclutamento sono in alcuni casi devastanti. Un ordinario di SPS07 può insegnare indifferentemente politiche sociali e metodologia della ricerca sociale, e uno di SPS08 sociologia della religione, o della famiglia, o della comunicazione. E in un concorso bandito per reclutare un docente in grado di insegnare sociologia della religione, una facoltà può invece trovarsi come vincitore una persona competente in tecniche di comunicazione di massa: non perché è stato fatto qualche pasticcio clientelare, ma perché le sue pubblicazioni, nel suo campo, erano migliori di quelle dei candidati che si occupano di sociologia della religione. Che cosa farà allora la facoltà che aveva bandito il posto? Il sistema pre-decreto Gelmini, per altro non modificato, mi sembra, su questo particolare punto, prevede una soluzione a metà: la facoltà che bandisce il posto ha la possibilità di definire il profilo delle competenze richieste, che però non vincola in nessun modo la commissione valutatrice e neppure serve da orientamento ai candidati. Tutti coloro le cui competenze rientrano quel raggruppamento hanno pieno diritto a partecipare e a essere giudicati in termini universalistici, ma verrebbe da dire anche generici. La facoltà ha solo il diritto di non chiamare nessuno dei vincitori nel caso nessuno risponda al profilo richiesto. Sostiene così un costo organizzativo e finanziario per un nulla di fatto. E con buona probabilità quella disciplina perde anche il posto per gli anni a venire. Bandire un concorso al buio si configura così come un rischio altissimo, da non prendere alla leggera. So bene che il meccanismo si è prestato a molti abusi. Ma il problema rimane: come si fa a reclutare non solo il più bravo in astratto, ma anche il più bravo rispetto alle necessità per cui è stato bandito il concorso?
DUE METODI DI RECLUTAMENTO
Un modo, non del tutto efficiente, ma certamente lo è più dellattuale e anche di quello prefigurato dal decreto Gelmini, è riprendere una delle proposte avanzate in questi anni, che prevede una valutazione nazionale per ottenere lidoneità ad associato o ordinario. La commissione, come per altro avveniva un tempo, potrebbe essere formata con il doppio meccanismo della elezione e della estrazione, senza tuttavia incorrere nei problemi evidenziati da Checchi. Si formerebbe così una lista di idonei, a validità limitata nel tempo, da cui le facoltà potrebbero pescare secondo le proprie necessità. Prima però bisognerebbe ripulire i settori, espungendone le materie che non esistono e accorpandoli con maggiore razionalità scientifica.
Un secondo modo, che esce del tutto dalla logica concorsuale e anche dei settori scientifico-disciplinari, è quello in vigore nella maggior parte dei paesi europei, negli Stati Uniti, nella Università europea di Firenze, in molti istituti di ricerca pubblici stranieri: la facoltà o listituto di ricerca o il dipartimento, bandisce il posto con la massima pubblicità possibile, inclusi i maggiori quotidiani, specificando le competenze richieste, non solo il livello di qualità. Sulla base delle domande, si definisce una short list dei candidati migliori, che vengono invitati a presentarsi alla facoltà, inclusi gli studenti, tenendo un seminario pubblico. Seguono colloqui con una commissione mista di interni ed esterni e selezione finale argomentata in forma pubblica.
Certo la cosa richiede che lintero sistema dei finanziamenti, del riconoscimento del valore dei titoli di studio premi le istituzioni che riescono ad attrarre i migliori. Richiede anche che esista controllo sociale entro la corporazione dei docenti, a livello della singola disciplina e tra le discipline, della singola facoltà e delluniversità nel suo complesso, così che comportamenti chiaramente clientelari o poco rigorosi vengano stigmatizzati perché ne va di mezzo lintera istituzione. In effetti, proprio la debolezza del controllo sociale entro la comunità scientifica, che indebolisce la capacità dei singoli di opporsi a logiche clientelari o localistiche, è il vero problema del reclutamento, insieme alla mancanza di sanzioni finanziarie per le università, le singole facoltà e dipartimenti che hanno una qualità inaccettabilmente bassa. Se non lo si affronta, ed è innanzitutto una responsabilità degli accademici, non cè riforma dei concorsi che tenga.