La valutazione della qualità della ricerca 2004-2010 determina la ripartizione di una parte dei fondi tra i vari atenei. Ma l’approccio seguito per valutare i lavori dei ricercatori suscita qualche dubbio. E un metodo alternativo dà una “classifica” molto diversa. I programmi per il futuro.
Autore: Ciriaco Andrea D'Angelo
Professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa dell’Università di Roma “Tor Vergata”, nel settore Ingegneria Economico-Gestionale. Ha co-fondato il Laboratorio di Studi sulla Ricerca e il Trasferimento Tecnologico dove svolge attività di ricerca sui temi della valutazione della ricerca. È autore di oltre settanta pubblicazioni su autorevoli riviste scientifiche internazionali peer reviewed; membro della International Society for Scientometrics and Infometrics (ISSI) e dell’editorial board di Scientomestrics.
Si è diffusa la convinzione che un qualsiasi legame di parentela all’interno di un’università sia da etichettare come forma di nepotismo. Tanto che per limitare il fenomeno è stata anche approvata una legge. Ma è una norma discriminatoria perché l’evidenza empirica non giustifica i pregiudizi.
I finanziamenti alle università saranno assegnati sempre più sulla base degli esercizi di valutazione. Che però continuano a considerare gli atenei nel loro complesso e non riescono dunque a raggiungere gli obiettivi di una allocazione efficiente delle risorse e dell’incremento di produttività. La soluzione passa inevitabilmente attraverso la valutazione individuale dei docenti, in modo da legare una parte della retribuzione al merito. Solo così si possono disincentivare i comportamenti opportunistici di chi antepone l’utilità personale a quella pubblica e premiare i migliori.