Oggi quasi la metà delle famiglie in povertà assoluta non percepisce alcun trasferimento monetario. Mentre un quarto della spesa assistenziale nazionale va a nuclei familiari con redditi nettamente superiori. Serve dunque un nuovo sistema di politiche per chi è in difficoltà. Risorse e resistenze.
Autore: Daniela Mesini
Laureata in Economia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con master all'Università degli Studi di Trento, è vicedirettore dell’Area Politiche e Servizi Sociali dell'Irs (Istituto per la Ricerca Sociale). Si occupa di povertà, ISEE e politiche redistributive. E' anche vicedirettore di Welforum, forum dei dirigenti Regionali, delle Province Autonome e dei Comuni italiani in materia di politiche sociali e sociosanitarie, membro della redazione di Prospettive Sociali e Sanitarie, di 'Qualificare' (prima newsletter italiana sul lavoro privato di cura) e del gruppo di autori di 'Lombardia Sociale', sito di analisi e monitoraggio del welfare lombardo.
La sentenza del Consiglio di Stato stabilisce che le indennità di accompagnamento e di natura risarcitoria non vanno conteggiate come reddito nel nuovo Isee. Perché l’indicatore possa continuare a garantire l’equità non basterà qualche aggiustamento. Un complesso equilibrio di pesi e contrappesi.
L’introduzione di un reddito minimo è quanto mai urgente e necessaria. Ma come disegnare la misura? Universalismo selettivo e risorse da recuperare secondo una logica redistributiva sono i criteri guida. L’erogazione monetaria va affiancata da interventi di promozione sociale e lavorativa.
L’accordo sul nuovo Isee sembrava cosa fatta, ma la Lombardia lo ha bloccato. Motivo del contendere sono soprattutto la valutazione della ricchezza patrimoniale e le modalità di aiuto alle famiglie numerose. L’indicatore lombardo pone però problemi di equità, oltre che di sostenibilità finanziaria.