Gli aspetti negativi del Titolo V derivano più che altro dal fatto che non è mai stato attuato con le necessarie leggi ordinarie. Riformarlo nel breve tempo che resta alla legislatura è possibile solo se c’è un largo consenso politico. Il principio ispiratore del disegno di legge costituzionale sembra quello di potenziare il centro, approfittando degli scandali verificatisi in varie Regioni. La sua approvazione dovrebbe essere accompagnata dalla creazione di una Camera delle Regioni, per tenere conto delle ragioni della differenziazione, oltre che di quelle della unitarietà.
Autore: Enzo Balboni
Enzo Balboni e' professore ordinario di Diritto pubblico nell'Universita' Cattolica del S. Cuore, dove tiene i corsi di Istituzioni di Diritto pubblico e Diritto costituzionale. Ha partecipato alla Commissione paritetica Stato-Valle d'Aosta ed ha presieduto la Commissione ministeriale di studio per la riforma della legge elettorale del CSM. E' autore di numerosi saggi e monografie, soprattutto in materia di amministrazione pubblica e di autonomie.
Circolano molte voci, soprattutto sul web, sull’espressione del voto di protesta e sulle sue conseguenze nella ripartizione dei seggi. Facciamo chiarezza. Il voto nullo, il “voto in bianco”, la mancata consegna della scheda o il suo mancato ritiro, nonché l’astensione hanno esattamente lo stesso peso nella determinazione dei seggi spettanti a ciascuna lista: nessuno. E nessun presidente o segretario di seggio potrà mai verbalizzare una espressione di voto, qualunque essa sia.
La proposta da Vassallo ha indubbi vantaggi rispetto alla legge elettorale attuale. Il meccanismo delle liste bloccate e il potere dei partiti nello scegliere l’ordine degli eletti rimangono, ma sono ridimensionati a favore del potere di scelta degli elettori. Mentre le dimensioni ridotte delle circoscrizioni dovrebbero determinare un certo effetto di sbarramento, la cosiddetta soglia implicita. Non ha però l’effetto di forte semplificazione del sistema partitico che, almeno in linea teorica, discenderebbe dall’adozione del modello maggioritario a doppio turno.
La proposta del Governo chiude la riforma costituzionale italiana introducendo la Camera delle Regioni. Ma lo fa in modo sbagliato. Le regole sulla rappresentanza indicano che il nuovo Senato di federale ha solo il nome, tantè che mantiene poteri incompatibili con una vera Camera regionale. Inoltre, crea problemi di attribuzione di competenze tra le due assemblee legislative non facilmente risolvibili. Ambiguo anche il procedimento per lo scioglimento da parte del Presidente della Repubblica in caso di prolungata impossibilità di funzionamento.