Ringrazio tutti i lettori per i commenti anche duri ma sempre civili. C’è una chiara spaccatura tra chi "sta" con Marchionne, vedendo il problema del declino italiano come prioritario, e chi contro, ritenendo inammissibile ridurre le tutele dei lavoratori a prescindere. E’ chiaro che queste posizioni, come anche la mia analisi, riflettono dei giudizi di valore, sui quali non ho nulla da dire. Ci sono dei dati di fatto che comunque è importante aver presente e con cui è inevitabile confrontarsi.. Rispondo alle questioni più rappresentative.
· Un punto che emerge spesso in questa discussione è che il problema della Fiat sia principalmente di modelli e di scarsa R&D. Non sono in grado di giudicare a fondo questa parte della strategia industriale, ma non credo che questo punto colga il segno. Fare modelli che vendono è condizione necessaria perché le fabbriche poi abbiamo qualcosa da produrre. Ma non sufficiente: se un impianto ha costi troppo alti, non sarà comunque competitivo. In altre parole, il problema dell’efficienza degli impianti si pone indipendentemente da quello dei modelli. E’ sbagliato pensare di sostituire innovazione di processo (efficienza produttiva) con innovazione di prodotto (modelli): le due cose sono complementari. Il mercato dell’auto è troppo competitivo per poter pensare di scaricare sui modelli le inefficienze produttive. Per sopravvivere, Fiat ha bisogno sia di modelli di successo che di impianti efficienti. Mi sembra che questa strategia sia coerente e non abbia alternative.
· Un altro punto ricorrente nei commenti è che non è colpa degli operai ma delle inefficienze del sistema paese. Concordo pienamente. Sostengo da tempo che il paese è a rischio declino, che il contesto in cui si opera a tutti i livelli è sfavorevole e continua a peggiorare relativamente a quello degli altri paesi. Proprio per questo mi aveva stupito il lancio del progetto Fabbrica Italia. Quello che sta succedendo è che, visto che il paese non si muove, Marchionne cerca di "riformare in proprio" una parte delle "infrastrutture immateriali", cioè le regole che governano gli impianti. In un paese con una classe dirigente adeguata queste riforme sarebbero discusse e portate avanti a livello nazionale. Invece, qui vengono demandate a singoli contratti aziendali, che assumono una valenza sia simbolica che pratica nazionale. E’ chiaro che in questo momento sulle spalle dei cinquemila lavoratori che stanno partecipando al referendum cè molto di più di ciò che loro dovrebbero portare. Credo che questo spieghi anche l’atteggiamento della FIOM.
· Un altro punto riguarda l’esigibilità: bastano le norme contrattuali? Che limiti esatti impongono al diritto di sciopero? Valeva la pena alzare il tono dello scontro aumentando la conflittualità come ha fatto Marchionne? Su questi aspetti ho seri dubbi anch’io. In un paese in cui il sistema giudiziario funziona male (si torna sempre all’inefficienza generale di contesto), non è chiaro che un contratto sia sufficiente a garantire la governabilità, particolarmente quando viene firmato in un’atmosfera così incandescente, in buona parte dovuta alle recenti dichiarazioni di Marchionne.