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Autore: Fausto Panunzi Pagina 12 di 15

panunzi Ha conseguito il PhD presso il Massachusetts Institute of Technology. Attualmente insegna Economia Politica presso l'Università Bocconi. In precedenza ha insegnato presso l'Università di Bologna, l'Università di Pavia, Lecturer all´University College London, Research Fellow presso IDEI (Toulouse ) e IGIER. Le sue aree di interesse scientifico sono la teoria dell'impresa, finanza d'impresa e teoria dei contratti. Redattore de lavoce.info.

TREMONTI, DOPO LO SCI IL CALCIO

Il Ministro Tremonti non è nuovo a cambiamenti di opinione improvvisi. Pochi mesi dopo aver introdotto la Robin Hood tax per tassare le banche per i loro eccessivi profitti è stato costretto ad approntare i Tremonti-bonds per ricapitalizzare alcune di esse (rimanendo peraltro assai offeso dal fatto che le due principali banche italiane abbiano snobbato i T-bonds). Dopo avere accusato la Unione Europea di essere -con la sua eccessiva burocrazia, l’invadente regolamentazione e l’euro troppo forte- la causa del declino economico italiano e la quinta colonna di una presunta invasione cinese di merci e persone, adesso il Ministro Tremonti ha scoperto un grande amore per l’UE. E ha proposto di creare una Nazionale della UE. “Dopo l’Erasmus sarebbe fantastico avere una squadra di calcio comune” (Corriere della Sera, 2 febbraio 2010). Il Ministro è certamente a suo agio con lo sci ma di calcio ne mastica evidentemente poco. Nel calcio la tradizione è (quasi) tutto. E’ per la tradizione che il Regno Unito conserva ancora gelosamente il privilegio di avere 4 squadre “nazionali” che competono separatamente a Europei e Mondiali. Senza che nessuno abbia mai sentito il bisogno di avere la squadra del regno Unito. Nel calcio le identità nazionali sono tuttora fortissime e siamo certi che le partite della nazionale UE sarebbero come un All-Star game: non se le filerebbe nessuno. Ma c’è una cosa che ci incuriosisce: che ne pensa della proposta Tremonti il neo-candidato alle elezioni provinciali di Brescia, Renzo Bossi, indimenticato Team Manager della Nazionale Padana?

I GIORNI DELL’ABBANDONO

Roberto Mancini non dimenticherà facilmente il Natale 2009. Passato in ritiro con la sua nuova squadra, Il Manchester City, per preparare la partita vittoriosa contro lo Stoke City nel giorno di Santo Stefano, il Boxing Day inglese. Successo bissato da un successo in casa degli Wolves due giorni dopo. Giusto il tempo di godersi il Capodanno e poi il 2 gennaio sarà impegnato in FA Cup. Lo stesso giorno il Barcellona tornerà a giocare nella Liga. Da noi invece dovremo aspettare il 6 gennaio per sapere, all’ora di pranzo, se la befana avrà preparato del carbone per José Mourinho. In quelli che Beppe Severgnini sul Corriere ha ribattezzato “i giorni del divano”, quei giorni di vacanza o semi-vacanza per molti italiani che vanno da Natale a Capodanno, il calcio italiano ha pensato bene di seguire le recenti tradizioni e chiudere bottega per tre settimane. Proprio quando la domanda di intrattenimento è al massimo, come mostrano i record di incasso dei film di Natale. Chi ama il calcio e ha il satellite si è facilmente consolato con la Premier che ha programmato partite per tutti i giorni compresi tra il 26 e il 30 dicembre. Se il calcio italiano nuotasse nell’oro si potrebbe anche capire questa sua noncuranza verso gli spettatori. Solo che le squadre sono piene di debiti, giocano in stadi fatiscenti e non di loro proprietà, con le televisioni come fonte principale di incassi. Inseguire la domanda è essenziale per tutte le imprese, a maggior ragione per quelle che sono in grave difficoltà. Ma il calcio italiano sembra voler scrivere nuove leggi economiche. Ai giorni del divano fa corrispondere i giorni dell’abbandono.
Certo, le autorità del calcio diranno che la pausa invernale è essenziale per tutelare i giocatori, che i campi ghiacciati sono pericolosi e che vedere partite con un freddo polare non è bello neanche per gli spettatori. Solo che tutte queste obiezioni cadono di fronte a questa semplice constatazione: a gennaio fa più freddo che a dicembre. Se si può giocare a fine gennaio, lo si può fare a maggior ragione a fine dicembre. E se c’è bisogno di una pausa, la si può fare a gennaio. Perché allora ci troviamo a reiterare queste ovvie considerazioni ogni fine anno? Il Presidente del Napoli, De Laurentiis, produttore dei film di Natale, si opporrà alla variazione di calendario temendo di vedere una riduzione degli incassi cinematografici. Lo capiamo. Ma gli altri Presidenti cosa hanno da perdere? E perché il Presidente della Lega Calcio non si è mai espresso su questo tema?
Ma forse ho esagerato: in realtà gli spettatori italiani il 2 gennaio potranno vedere l’Inter. In programma c’è un’amichevole contro l’Al Hilal, squadra saudita. Mentre i poveri tifosi inglesi dovranno accontentarsi di 26 partite di FA Cup. Vita dura, Oltremanica.

FEDERCALCIO IN FUORIGIOCO

Fabio Capello, allenatore della Nazionale inglese di calcio, ospite ieri dell’associazione della stampa sportiva italiana, ha fatto la sua diagnosi dei mali che affliggono il calcio italiano. Due sono i punti principali toccati da Capello. Il primo riguarda gli stadi. In Italia appartengono ai Comuni che li affittano alle squadre. In Inghilterra o in Spagna, invece, appartengono alle società, che non solo gestiscono la sicurezza con i loro steward, ma hanno anche l’incentivo ad adattarli alle esigenze dei tifosi, con ristoranti, bar, visite guidate. Il secondo riguarda il potere eccessivo degli ultras. Essi hanno, secondo Capello, la libertà di intimidire i giocatori con striscioni, cori razzisti. Possono sfasciare treni e restare impuniti.Sconcertanti le reazioni dei dirigenti sportivi italiani alle dichiarazioni di Capello. Il Presidente del Coni, Petrucci: "Troppo facile parlare dall’alto. Dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano. Non mi piace chi va all’estero e dà giudizi sull’Italia". Pescante, Vicepresidente del Cio "Capello dia un’occhiata agli hooligans inglesi". Abete, Presidente della Federcalcio: "Non corrisponde alla realtà" quanto dichiarato da Capello. 
Non si capisce perché chi sia all’estero non possa dare giudizi sull’Italia. Specie se è italiano e conosce bene la realtà italiana. Se Capello predicasse la riduzione degli ingaggi degli allenatori sarebbe forse poco credibile, ma perché non dovrebbe esserlo se parla di sicurezza? Gli hooligans inglesi erano una tremenda piaga del calcio negli anni ’80. Nessuno ha scordato la strage dell’Heysel, ma oggi sono stati quasi completamente debellati, grazie a leggi severissime e alla loro stretta applicazione. E in ogni caso, anche se gli hooligans fossero ancora un problema, non si capisce perché questo toglierebbe valore alle parole di Capello. Non si capisce neanche cosa non corrisponda alla realtà. E’ vero o no che le squadre italiane non possiedono lo stadio e che solo la Juventus ha un piano serio per averne uno in pochi anni? E vero o no che in conseguenza di ciò la struttura dei ricavi del club italiani è sbilanciata, rispetto a quelli inglesi, sul lato dei diritti televisivi? E’ vero o no che ogni domenica lo Stato italiano sussidia i club garantendo la sicurezza delle partite con le forze dell’ordine? E’ vero o no che gli ultras hanno spesso accampato richieste assurde e vessatorie alle società chiedendo biglietti gratis da vendere sul mercato nero o la gestione di alcuni rami del merchandising? E’ vero o no che gli ultras spesso hanno treni speciali per le trasferte (sui quali molti non pagano il biglietto) e che tali treni vengono a volte distrutti? Ma soprattutto: che futuro ha il calcio italiano se i massimi dirigenti sportivi, posti di fronte ad una diagnosi più o meno plausibile dei problemi del calcio italiano, preferiscono prendersela con chi denuncia tali problemi invece che fare proposte per la loro risoluzione? 

VOODOO ECONOMICS E TREMONTI

Tremonti fa bene a puntare i piedi quando ricorda che l’Europa ci chiede di avere conti pubblici in ordine. L’oggetto del contendere all’interno del governo è l’abolizione dell’Irap e, più in generale, la riduzione della pressione fiscale. Per compensare la perdita di introiti Irap, si parla di possibili riduzioni di spesa, ma di tagli ai cosiddetti consumi intermedi sono lastricate le strade di molte Finanziarie. E l’llusione più pericolosa è quella secondo cui i tagli fiscali non avrebbero conseguenze sul debito o addirittura potrebbero migliorare i conti pubblici.

QUALCHE VOLTA RITORNANO: I BANCHIERI DI STATO

A quali esigenze risponde la Banca del Mezzogiorno? Se il problema sono le banche italiane incapaci o non interessate a valutare il merito di credito delle piccole imprese, la soluzione è nell’apertura alla concorrenza, non nella creazione di un nuovo istituto di credito. Il sospetto è che la Banca del Mezzogiorno non avrà come bussola della sua attività la redditività degli impieghi. Ma allora quali saranno i criteri con cui allocherà i fondi? Di solito, in questi casi, prevalgono i criteri politici. Un’esperienza che abbiamo già vissuto e che ci è costata cara.

OLIVER WILLIAMSON: COSTI E BENEFICI DELL’AUTORITA’

Il Nobel per l’Economia 2009 è stato assegnato a Elinor Ostrom e a Oliver Williamson. La parola chiave comune è governance. Che per Williamson significa lo studio dei confini delle imprese. E se le organizzazioni gerarchiche sono preferibili quando le transazioni sono complesse e quando le parti sono mutuamente dipendenti, va considerato che anche l’autorità ha un costo: il suo abuso. Un lato oscuro a cui si può far risalire lo studio della corporate governance, ovvero delle istituzioni e dei meccanismi che minimizzino la possibilità che dell’autorità si faccia un uso improprio.

DEI PREFETTI NON SI SA NIENTE

Nella settimana passata è emerso. in tutta la sua evidenza, l’attrito tra il Ministro dell’Economia e alcune banche, quali Intesa SanPaolo e Unicredit, relativamente ai Tremonti Bonds. I T-bonds sono strumenti finanziari predisposti nei giorni più caldi della crisi finanziaria dal Ministero dell’Economia per far fronte alla mancanza di adeguata capitalizzazione delle banche italiane. Avere banche con una solida capitalizzazione è importante non solo per la stabilità del sistema bancario stesso, ma anche perché dal livello di capitalizzazione dipende la capacità delle banche di fornire credito a imprese e famiglie. È per tale ragione che anche in altri Paesi si sono predisposti strumenti finanziari simili ai T-bonds. Il costo di sottoscrizione dei T-bonds è dell’8.5%, con maggiorazioni in caso di rimborso ritardato. La gestazione dei T-bonds è stata piuttosto lunga e oggi, passata l’emergenza le banche italiane hanno scoperto che è possibile, data la nuova situazione di mercato, ricapitalizzarsi con altri strumenti meno onerosi dei T-bonds. Per tale ragione molte banche, incluse le due principali, Unicredit e Intesa, hanno deciso di non sottoscrivere i Tremonti bonds. Il Ministro si è molto risentito, ribattendo che tali strumenti non erano stati pensati per le banche, ma per le imprese, affinché esse non si trovassero nell’impossibilità di ottenere finanziamenti dal sistema bancario. Le banche hanno replicato che già adesso non vi è alcuna restrizione al credito per le imprese sane. Viene da domandarsi se sia compito del Ministro dell’Economia dire quale sia il livello ottimale di credito nell’economia italiana, ma lasciamo da parte questa questione per il momento. Ha ragione il Ministro o hanno ragione le banche? C’è o non c’è un significativo razionamento del credito a famiglie e imprese?
Nel decreto che istituiva i Tremonti bonds, il Ministro affidava ai prefetti il monitoraggio delle condizioni del credito verso famiglie e imprese. I prefetti dovevano essere delle cassette postali nelle quali imprenditori e cittadini potevano riversare le loro lamentele in caso di comportamenti “opportunistici” delle banche.
Chi meglio di loro può allora dirimere oggi la controversia tra banche e Ministro? Le cassette postali dei prefetti sono piene, quasi piene o desolatamente vuote? Oggi che le loro parole potrebbero portare chiarezza, dei prefetti (e dai prefetti) non si sa niente. Non pretendiamo “la parola che squadri da ogni lato”. Ci basterebbe solo qualche storta sillaba. Almeno per dissipare il dubbio che l’operazione prefetti fosse in realtà solo un dispetto verso la Banca d’Italia.

INGEGNERIA CONCORSUALE

Ripartono i concorsi universitari con nuove regole per la formazione delle commissioni: dalle elezioni si è passati al sorteggio dei commissari. Dovrebbe servire a evitare di privilegiare i candidati interni e gli scambi di favori. Ma le polemiche riguardano anche i profili scientifici e il numero di pubblicazioni ammesse. In definitiva, ogni norma presta il fianco a critiche plausibili. E allora non sarebbe meglio abolire i concorsi e lasciare le università libere di promuovere chi vogliono, assumendosi l’onere delle proprie decisioni?

DIAMO A DIEGO QUELLO CHE È DI DIEGO

Al Meeting di Rimini il Ministro Tremonti ha invitato ancora una volta gli economisti a tacere, data la loro incapacità di prevedere il futuro. "Certi economisti sono come il mago Otelma". E no, caro Ministro, qui si sbaglia. Il mago con difficoltà a prevedere il futuro non è il Divino Otelma, ma il mago di Segrate interpretato dal mitico Diego Abatantuono. E’ proprio lui che dice."Io vedo, prevedo e stravedo per una squadra di calcio. Impegnandomi molto sono molto forte sul passato, cioè sul passato sono fortissimo; forse impegnandomi anche il presente, il futuro riesco un po’ meno. Ecco, per esempio, se mi concentro riesco a stabilire che ieri era mercoledì, oggi è giovedì, domani non posso sbilanciarmi [..] Prevedo catastrofi, viulenza, pestilenza, guerra atomica, pezzi tanto di siluro che svolazzeranno, schegge di grana, schegge di parmigiano…". Ma Abatantuono non ha solo incarnato il personaggio che il Ministro Tremonti associa agli economisti. E’ riuscito anche a dare vita al personaggio che evoca il Ministro Tremonti nella mente degli economisti. Chi è? Per saperlo basta cliccare qui.

SALARI, UTILI E PRODUTTIVITÀ

Torna in auge la partecipazione agli utili. Mentre per i manager una retribuzione collegata agli utili appare ragionevole, per i lavoratori di livello inferiore è molto meglio legarla alla produttività o a variabili che dipendono direttamente dal loro comportamento sul lavoro. In estate si è cominciato a parlare seriamente di decentramento contrattuale e di legame tra salario e produttività, con importanti aperture di tutti i sindacati. Ora la proposta governativa di partecipazione agli utili rischia di creare solo confusione.

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