Sono ora disponibili i numeri definitivi del ddl 2111, la legge di stabilità 2016, arrivata per la discussione in Senato. Eccone un riassunto per il solo anno 2016 in una tabella che distingue tra le risorse e gli impieghi (gli interventi finanziati dalle risorse predisposte allo scopo dalla legge di stabilità).
Autore: Francesco Daveri Pagina 12 di 28
È stato Professor of Macroeconomic Practice alla School of Management dell'Università Bocconi, dove insegnava Macroeconomics, Global Scenarios ed è stato direttore del Full-Time MBA. Ha insegnato in varie università come l’Università Cattolica (sede di Piacenza), Parma, Brescia, Monaco e Lugano. Ha svolto attività di consulenza presso il Ministero dell’Economia, la World Bank, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo. Le sue ricerche si sono concentrate sulla relazione tra le riforme economiche, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Ha collaborato con il Corriere della Sera e ha fatto parte del comitato di redazione de lavoce.info, di cui è stato Managing editor dal 2014 al 2020. Scomparso il 29 dicembre 2021.
Le riduzioni di imposta della legge di stabilità 2016 derivano soprattutto dall’eliminazione di clausole di salvaguardia. Ma ne restano ancora per 15 miliardi per il 2017. Da disattivare domani, forse con nuove salvaguardie. Una partita di giro non entusiasmante che per ora non interessa ai mercati.
Con la legge di Stabilità il governo taglia le tasse, con l’intento di dare un sostegno all’economia. E lo fa in deficit. Ma più che ridurre imposte in vigore, la manovra evita che scattino le clausole di salvaguardia previste dalle passate finanziarie. Finzioni contabili e (poca) spending review.
La legge di stabilità 2016 è espansiva, almeno rispetto a quanto previsto nel Def. Cercare di sostenere la fiducia quando la crescita è ancora debole va bene. Ma l’Italia può permetterselo visto lo stato delle finanze pubbliche? Lo spazio fiscale a cui rinunciamo ora, potremmo rimpiangerlo domani.
I paesi emergenti rallentano. E anche l’Fmi certifica il ritorno al passato, con la crescita economica mondiale trainata dagli Stati Uniti. Per evitare i rischi di stagnazione, allora, i paesi che possono dovrebbero investire in infrastrutture. Un ruolo che in Europa dovrebbe assumere la Germania.
La revisione al rialzo delle stime di crescita per il 2015 non toglie che l’Italia cresce meno degli altri grandi paesi europei. Sta finalmente ritornando la voglia di spendere e investire. Ma in Italia consumi e investimenti sono soddisfatti da prodotti importati molto più che altrove.
Molti attribuiscono la bassa crescita del Pil alla carenza di domanda. Non è così. L’Istat dice che nel secondo trimestre i consumi si sono risvegliati con una crescita dello 0,4 per cento. Il guaio è che la maggiore domanda è soddisfatta più dalla produzione estera (le importazioni) che da quella interna.
Il ritorno alla crescita dell’Italia si consolida nel secondo trimestre 2015. Ma il recupero del Pil è oggi più lento e graduale che nelle riprese del passato. Per irrobustire la ripresa serve approvare e attuare rapidamente le riforme che aiutino l’economia.
Da marzo 2010 a oggi la mappa dei creditori della Grecia è significativamente cambiata. Primo paese che si è disimpegnato dal debito ellenico è la Francia. Tra quelli che hanno aumentato abbondantemente l’esposizione: Germania, Italia e Spagna. Per questo si trovano d’accordo su una linea severa.
La crisi ha mandato in frantumi il tradizionale modello di sviluppo europeo. Anche quando la crescita c’è, avviene con un aumento delle disuguaglianze e non si traduce più automaticamente in una diminuzione della povertà. Preservare l’assistenza a chi ha davvero bisogno, pur riducendo la spesa.