Perché non esiste più la classe media? La tecnologia rivoluziona i modi di produrre. Ma i profitti vanno solo ai leader di mercato. La sfida è trovare meccanismi istituzionali per frenare l’aumento delle disuguaglianze senza scoraggiare l’innovazione.
Autore: Francesco Daveri Pagina 13 di 28
È stato Professor of Macroeconomic Practice alla School of Management dell'Università Bocconi, dove insegnava Macroeconomics, Global Scenarios ed è stato direttore del Full-Time MBA. Ha insegnato in varie università come l’Università Cattolica (sede di Piacenza), Parma, Brescia, Monaco e Lugano. Ha svolto attività di consulenza presso il Ministero dell’Economia, la World Bank, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo. Le sue ricerche si sono concentrate sulla relazione tra le riforme economiche, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Ha collaborato con il Corriere della Sera e ha fatto parte del comitato di redazione de lavoce.info, di cui è stato Managing editor dal 2014 al 2020. Scomparso il 29 dicembre 2021.
Con il Disegno di legge sulla scuola arrivano anche nuovi poteri per i presidi e criteri che, al contempo, ne delimitano parzialmente i poteri. La questione di fondo da affrontare è se la scuola debba essere intesa come un’azienda (seppure senza scopo di lucro) oppure no.
La sentenza della Consulta sulla rivalutazione delle pensioni si richiama a principi che impediscono la discriminazione fra cittadini. Principi che però sembrano valere solo per i pensionati di oggi. Difficile poi garantire qualsiasi tipo di diritto acquisito se lo Stato fallisce.
Alcune critiche a Expo erano legittime, soprattutto per quanto riguarda l’irrealistica analisi costi-benefici. Ora che è iniziato però, la principale preoccupazione deve essere impegnarsi per arrivare in fondo nel migliore dei modi. Il corteo del 1 maggio e il vizio culturale di dire sempre no.
Il Documento di economia e finanzia 2015 alza le stime di crescita ma conferma gli obiettivi di deficit pubblico nel triennio 2015-17. Per questo Renzi promette niente nuove tasse né tagli alle prestazioni. Una lunga lista di riforme intraprese e da fare. Manca però la riforma del welfare.
Finalmente sono state pubblicate le relazioni dei venti gruppi di lavoro sulla spending review del commissario Cottarelli. Sono documenti molto diversi fra loro per impianto e stesura. Ma per ridurre davvero la spesa pubblica va prima risolta la questione dei rapporti tra politica e tecnici.
Con l’avvio del Quantitative easing lo spread Btp-bund è sceso a 84 punti. Per lo stato italiano significa un risparmio di spesa in interessi di diversi miliardi. Va però evitato un errore: interpretarlo come un bonus che elimina la necessità di ridurre in modo permanente la spesa pubblica.
Parlando dell’inadeguato riconoscimento economico del contributo delle donne alla società italiana, spesso si dimentica di ricordare che il divario di genere sul mercato del lavoro è significativamente diminuito negli ultimi anni.
I numeri dicono che il divario c’è ma oggi è più piccolo di ieri. Nel 2007 – prima della crisi – erano attivi sul mercato del lavoro (perché occupati o perché disoccupati ma attivamente alla ricerca di un lavoro) 75 uomini su cento. Le donne attive erano invece solo il 51 per cento, poco più della metà del totale delle donne. Il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro era dunque di 24 punti percentuali. Nel 2014 le cose sono cambiate. Gli uomini attivi sul mercato del lavoro sono scesi a 73,5 su cento, mentre la quota delle donne attive è salita al 53,5 per cento. Così il divario è sceso a 19 punti percentuali. Meno cinque punti in sette anni.
E’ vero che la percentuale di donne occupate rimane nel 2014 inchiodata al 46,5 per cento, tale e quale al numero registrato nel 2007. Un deludente stop rispetto ai trend positivi degli ultimi vent’anni. Ma agli uomini è andata molto peggio: la percentuale di occupati uomini è scesa dal 70,5 al 64 per cento. E le donne che oggi vorrebbero entrare nel mercato del lavoro e invece rimangono disoccupate, fino al 2007 nemmeno provavano a cercarne uno. Una disoccupata spera di vincere la lotteria del lavoro, un’inattiva ha smesso o non ha mai cominciato a sperare.
Nella crisi le donne si sono difese meglio degli uomini, forse perché è scomparso un quarto del manifatturiero dove le donne sono meno rappresentate. Ma forse si può ben sperare per il futuro del divario di genere. La nuova occupazione sarà più spesso creata nei servizi che non nel manifatturiero. E le misure per ridurre il divario hanno appena cominciato a dare risultati misurabili. C’è ancora un soffitto di cristallo nelle posizioni di vertice in grandi aziende, università, media. Ma i dati di oggi sul mercato del lavoro suggeriscono più ottimismo rispetto al passato.
In un anno di governo, Renzi ha avuto la possibilità di mettere in pratica una delle sue parole d’ordine vincenti: la rottamazione della vecchia classe dirigente. Quanto lo ha fatto davvero? Esaminando gli organigrammi al vertice dei ministeri, solo in piccola parte: meno di un quinto del totale.
Le stime preliminari del Pil del quarto trimestre indicano che nell’ultimo scorcio del 2014 la ripresa si è complessivamente consolidata in Europa. Per l’Italia le notizie non sono altrettanto buone. Perché il Governo rimanda l’attuazione della delega fiscale, che potrebbe aiutare la crescita?