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È stato Professor of Macroeconomic Practice alla School of Management dell'Università Bocconi, dove insegnava Macroeconomics, Global Scenarios ed è stato direttore del Full-Time MBA. Ha insegnato in varie università come l’Università Cattolica (sede di Piacenza), Parma, Brescia, Monaco e Lugano. Ha svolto attività di consulenza presso il Ministero dell’Economia, la World Bank, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo. Le sue ricerche si sono concentrate sulla relazione tra le riforme economiche, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Ha collaborato con il Corriere della Sera e ha fatto parte del comitato di redazione de lavoce.info, di cui è stato Managing editor dal 2014 al 2020. Scomparso il 29 dicembre 2021.
Le elezioni in Francia, Grecia, Italia e Germania hanno messo in evidenza che nell’Europa in crisi gli elettori premiano chi si oppone ai tagli di bilancio. Ma la revisione delle politiche di rigore di bilancio auspicata dalla maggioranza degli elettori incontra un importante vincolo oggettivo: i governi a cui gli elettori oggi chiedono maggiore spesa pubblica sono quelli nei quali la spesa pubblica è salita di più negli ultimi dieci anni. Alle difficoltà di oggi non cè via di uscita alternativa a quella di praticare le riforme con anche maggiore decisione rispetto a quanto fatto in passato.
Il Documento di Economia e Finanza aggiorna al ribasso il quadro macroeconomico e di finanza pubblica 2012 e rinvia al futuro eventuali revisioni più cospicue della crescita 2013. Corregge anche al ribasso le stime degli effetti dei decreti concorrenza e semplificazione sulla crescita. Nel complesso è un utile bagno di realismo. Lincertezza sulle stime anche a breve suggerisce di non adottare nessuna manovra correttiva. Anche perché non è dallo sforamento del deficit che vengono i problemi di finanza pubblica dellItalia, ma dal debito pubblico. Ma sul debito il Def tace.
Mentre i dati congiunturali di fine 2011 e inizio 2012 certificano un peggioramento della congiuntura economica europea, il superindice Ocse suggerisce che le cose andranno meglio nel secondo semestre 2012. Non per tutti allo stesso modo. Per ora le prospettive di miglioramento riguardano Germania e Regno Unito, non Italia, Francia e Spagna. Ma le differenze di prospettive in Europa sono anche una sfida a cogliere le opportunità che la ripresa degli altri presenta anche a chi ancora non vede l’uscita dal tunnel.
Le stime preliminari della crescita del Pil del quarto trimestre certificano che l’economia europea è probabilmente entrata in recessione nel quarto trimestre 2011. Di sicuro, lo sono già Italia, Spagna, Portogallo e Grecia insieme a Belgio e Olanda. Il governo Monti è intervenuto con dure misure che forse hanno in parte contribuito nel brevissimo termine a peggiorare la recessione, ma raddrizzano una situazione che avrebbe portato al default. Ed è più chiaro perché Mario Draghi abbia inondato di liquidità i mercati monetari e finanziari europei prima di Natale.
La Grecia è davvero unica: per la lenta crescita pre-euro, per l’accelerazione drogata prima della crisi e per l’entità del declino post-crisi. Un’uscita dall’euro porterà nel migliore dei casi al ritorno alla crescita precedente al 1997. Se invece il paese intraprende le riforme a lungo rinviate potrà sperare in una vera modernizzazione dell’economia. A patto che l’Europa riconosca che, oltre al taglio dei salari, occorre anche migliorare le infrastrutture materiali e umane con il contributo fondamentale di aiuti europei e di una cancellazione parziale del debito.
Dopo ore di negoziati, 25 paesi dell’Unione Europea (tutti i 27 meno il Regno Unito e la Repubblica Ceca) hanno raggiunto un accordo sul cosiddetto Fiscal Compact, il patto volto a rafforzare le regole di bilancio e di controllo dei debiti pubblici all’interno dell’Unione Europea. E’ un accordo da firmare nel marzo 2012 che vincola i singoli paesi europei a raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio ma che esclude, pare, ulteriori aggravi e correzioni di bilancio per i paesi il cui debito pubblico superi il 60 per cento del Pil. Sarebbe stata una clausola suicida non solo per l’Italia ma anche per gli altri paesi europei dato che il rapporto debito pubblico-Pil medio UE 2011 sfiora il 90 per cento.
Sullaccordo pendono come spade di Damocle il fallimento di Grecia e Portogallo che i mercati finanziari stanno ormai contabilizzando come una probabilità molto concreta nei valori astronomici degli spread dei loro debiti rispetto al bund. Eppure laccordo è un buona base per il futuro dellUnione: se davvero si vuole andare verso unUnione Fiscale o unEuropa federale, la nuova creatura dovrebbe provare ad ispirarsi allesempio più ovvio che viene in mente, ovvero gli USA. Negli Stati Uniti i singoli stati dell’Unione hanno il divieto di fare deficit pubblici. Ed è solo in cambio di questa clausola che il governo federale può intervenire in situazioni di emergenza (come hanno fatto Bush e Obama durante la crisi) con fondi federali che sostengano leconomia senza creare rischi di default. In definitiva questo propone da mesi la signora Merkel: si oppone agli eurobond in unUnione di paesi egoisti che vogliono solo socializzare le perdite ma non hanno un progetto comune. Nello stesso tempo spinge per far avanzare un progetto comune, con un fondo salva stati potenziato (da luglio 2012) ma severe regole di bilancio nazionali (da marzo 2012), stretta tra un elettorato che vuole tornare al marco e il resto dellEuropa che vuole i soldi tedeschi, cash e subito. Ma la futura Unione dovrà assomigliare a quello ha in mente la signora Merkel. Se no, non saranno gli Stati Uniti di Europa, ma piuttosto l’Europa delle Mille Libertà e degli Zero Doveri. Qualcosa di cui potremmo e dovremmo fare a meno.
Link Utili
DICHIARAZIONE DEI MEMBRI DEL CONSIGLIO EUROPEO 30 GENNAIO 2012 – Verso un risanamento
STATEMENT of President Barroso following the Informal meeting of the European Council Joint press conference Brussels
PRESS REMARKS by the President of the European Council Herman Van Rompuy following the informal meeting of members of the European Council
L’obiettivo del decreto sulla concorrenza è aumentare l’efficienza e la crescita. Le riforme potranno ridurre il costo della bolletta energetica, delle assicurazioni o dei servizi notarili. Ma se ciò avverrà senza tradursi in un netto guadagno di efficienza e di possibilità di spesa per l’economia nel suo complesso, il “più” dell’utente sarà il “meno” del produttore che prima delle liberalizzazioni beneficiava di rendite monopolistiche. È l’effetto netto delle liberalizzazioni che fa salire il Pil: ottenere un “più 1 per cento” di crescita aggiuntiva non sarà facile.
Un buon andamento delle esportazioni italiane farebbe da argine alla presumibile ventata recessiva che colpirà i consumi nella prima metà del 2012. Se l’euro continua a deprezzarsi nel corso dell’anno, le aziende italiane che esportano guadagnano competitività. L’esperienza del 1993 suggerisce che un deprezzamento del 25 per cento sarebbe oggi associato ad una crescita aggiuntiva delle esportazioni per 2,5 punti percentuali e ad una crescita aggiuntiva del Pil di circa 0,6 punti. La recessione sarebbe dunque attenuata, ma probabilmente non eliminata.
Il Pil italiano è calato nel terzo trimestre 2011 dello 0,2 per cento. E le stime per il prossimo anno sono tutte negative. Ma è presto per fasciarsi la testa. Con l’euro che si deprezza, il quadro sarà grigio per il mercato interno e più roseo per l’estero, come già nel 2010 e 2011. E se l’aggiustamento fiscale sarà efficace e accompagnato da una svalutazione fiscale, già nel secondo semestre 2012 potrebbero arrivare sorprese positive da consumi e investimenti.
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