La mobilità intergenerazionale per reddito in Italia è superiore a quella degli Stati Uniti, anche se inferiore a quella dei paesi scandinavi. Si confermano i divari fra territori: il Nord è una terra di opportunità uguali e abbondanti, non così il Sud.
Autore: Gianluca Violante
Professor of Economics alla Princeton University. Research Associate del National Bureau of Economic Research (Nber), Research fellow del Centre for Economic Policy Research (Cepr) e dell'Institute for Labour Economics di Bonn (Iza), International Fellow dell'Institute for Fiscal Studies (Ifs) ed external research member del Center for Economic Behavior and Inequality dell'Università di Copenhagen (Beci). Membro dell'Econometric Society.
Ha ottenuto una laurea all'Università di Torino e il PhD in Economics all'Università della Pennsylvania. Ha insegnato anche all'University College di Londra (Ucl) e alla New York University (Nyu).
In Italia, quando la quasi totalità delle carriere lavorative si esaurisce, in politica si raggiunge l’apice: basta guardare l’età degli ultimi due presidenti del Consiglio. Unanomalia in Europa. E’ possibile che la nostra classe dirigente abbia conoscenze più datate, e perciò sia meno adatta a interpretare i rapidi processi di cambiamento della società contemporanea. E purtroppo, il mondo politico italiano è lo specchio fedele del mondo del lavoro: la mobilità sociale è bassissima e la carriera professionale si sviluppa soprattutto per anzianità.
Regole fisse: questo dovrebbero darsi i governi per la condotta della politica economica, secondo Finn Kydland e Edward Prescott, appena insigniti del premio Nobel. E tali sono ad esempio i parametri di Maastricht. Ma i due economisti hanno anche introdotto una rivoluzione metodologica nello studio sui cicli economici, con la cosiddetta “macroeconomia quantitativa”. Un approccio quasi dogmatico alla ricerca economica, fondato su tre caratteristiche ben definite.