Con smisurato cinismo, Theresa May chiama il Regno Unito al voto. Il suo obiettivo è distruggere il partito laburista e quel che resta del cameronismo nei tory. Lo raggiungerà, ma il significato della Brexit non diventerà più chiaro.
Autore: Gianni De Fraja Pagina 5 di 7
Ha conseguito il dottorato a Siena nel 1987 e il DPhil a Oxford nel 1990; è attualmente professore ordinario di Economia a tempo parziale presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e presso l’University of Nottingham ed è Research Fellow al Cepr. In passato è stato professore ordinario a York e a Leicester, e visiting scholar a Tokyo, Bonn, e Barcellona. La sua recente ricerca si è soffermata sulle aree dell’economia dell’istruzione, economia del lavoro, economia industriale, coprendo sia aspetti teorici, sia applicazioni empiriche. La sua attività di ricerca si è concentrata sulla pubblicazione di articoli accademici in riviste internazionali. È stato direttore di dipartimento a Leicester, e co-ordinatore del dottorato a York, Leicester e Nottingham, e membro del GEV13 per la VQR 2016.
I tabloid esultano per il discorso apparentemente duro del primo ministro inglese, che però non ha chiarito su quali basi intende trattare con la Ue. La promessa del “risultato migliore” resta un mantra senza contenuto. E l’attuale buona salute dell’economia deve fare i conti con il medio periodo.
In Gran Bretagna l’incertezza economica creata dal voto del referendum di giugno è amplificata dalla totale mancanza di chiarezza nella politica del governo, che ha continuato a fare annunci contraddittori. Il partito laburista, diviso fra due anime, non riesce a condurre un’opposizione efficace.
Per ora la Brexit non sembra aver prodotto effetti negativi sull’economia britannica, al di là della svalutazione della sterlina. Problemi gravi possono derivare dalla posizione dura assunta dall’ala anti-europea dei conservatori sui temi del commercio e soprattutto su quelli dell’immigrazione.
Nel Regno Unito, la facilità di movimento da un’istituzione all’altra e il nesso diretto tra finanziamento e qualità della ricerca hanno creato un mercato del lavoro in cui le università competono per assicurarsi i docenti più produttivi. Con quali effetti sulla struttura salariale dei professori?
Dopo l’uscita del Regno Unito dalla Ue, si apre un periodo di grande incertezza, che coinvolge tutti i protagonisti del voto e tutti i paesi dell’Unione Europea. Su un solo punto sembra esserci quasi totale unanimità di vedute: i danni causati dal referendum saranno profondi e di lungo periodo.
Il voto pro Brexit ci consegna un Regno Unito molto diviso. È probabile che la Scozia torni a chiedere l’indipendenza. Anche le linee di reddito segnano una divisione: le aree ricche hanno scelto “remain”, quelle meno benestanti hanno optato per il “leave”. E si apre una questione generazionale.
Cosa sarà dell’Europa se vince la Brexit? Le differenze culturali, politiche ed economiche tra i diversi paesi membri potrebbero accentuarsi ancora di più, fino ad arrivare al dissolvimento dell’Unione e alla formazione di due blocchi in contrasto fra loro. Uno scenario immaginario, ma non troppo.
Chi è il nuovo sindaco di Londra? Appena eletto ha parlato di speranza e unità. È laburista, ma lontano dalla nuova dirigenza. È contro la Brexit, come il primo ministro conservatore. E il fatto che sia di religione islamica non ha influenzato gli elettori. Il nodo del sistema dei trasporti.
Scudetto da favola