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Autore: Giuseppe Pisauro Pagina 4 di 9

pisauro Si è laureato in Scienze Statistiche all'Università "La Sapienza" di Roma e ha proseguito gli studi di Economia presso la London School of Economics. Professore di Scienza delle Finanze presso l'Università "La Sapienza" di Roma (in precedenza ha insegnato all'Università di Campobasso, alla LUISS di Roma, alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e all'Università di Perugia). Si occupa prevalentemente di temi di finanza pubblica. Ha svolto attività di consulenza per istituzioni italiane e internazionali (IMF, Camera dei Deputati, Presidenza della Repubblica). Ha fatto parte della Commissione tecnica per la spesa pubblica (Ministero del Tesoro) dal 1991 fino al suo scioglimento nel 2003. Dal luglio 2006 dirige la Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze. Redattore de lavoce.info.
È stato Presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio dal 2014 al 2022.

SU CHI CALA LA SCURE

Da qui al 2014 le spese locali resteranno sostanzialmente invariate mentre quelle delle amministrazioni centrali diminuiranno dell’8 per cento. In ogni caso discutere sull’equità della distribuzione dei tagli tra centro e periferia non ha senso. Il trade-off non è tra spesa centrale e spesa locale, quanto tra spese per sanità e previdenza e tutte le altre. La politica di bilancio nel prossimo decennio dovrà sostenere la sfida di governare le pressioni che verranno alla spesa dalle dinamiche demografiche e allo stesso tempo mantenere l’avanzo primario intorno al 4-5 per cento del Pil. Un compito insostenibile se le decisioni verranno dominate da logiche “sindacali”. 

QUANDO LA COSTITUZIONE FA A PUGNI COL FEDERALISMO

Di tanto in tanto emergono proposte per inserire nella Costituzione limiti numerici alla pressione fiscale o alla spesa pubblica. Così nella riforma costituzionale del 2005 (poi respinta dal referendum) si stabiliva che dal federalismo non poteva derivare un aumento della pressione fiscale. Nella proposta di un gruppo di senatori presentata in questi giorni (vedi allegato) si fissa un limite al 45 per cento del Pil per la spesa pubblica. Il principale motivo per essere contrari a questo tipo di regole è che esse equivalgono a rinunciare alla politica fiscale (cosa non da poco per chi già non controlla la politica monetaria).
Nel caso italiano vi è anche un altro aspetto: queste regole sono in contraddizione – insanabile – con i principi del federalismo fiscale inseriti nella nostra Costituzione con la riforma del Titolo V. Regioni ed enti locali hanno “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” (art. 119). Qualsiasi limite alla spesa pubblica o alle imposte totali richiederebbe di neutralizzare l’autonomia finanziaria di tutti i Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Si può imporre in Costituzione il pareggio di bilancio a tutti, si può imporre un limite alla spesa dello Stato o alle imposte erariali, non si può imporre un limite sulla somma delle spese o delle imposte di migliaia di soggetti autonomi. In effetti non si hanno notizie di disposizioni del genere in altri paesi. Insomma, bisogna scegliere: o i limiti alla spesa pubblica e alla pressione fiscale o l’autonomia e la responsabilità locale.
Una postilla: naturalmente un federalismo senza (o con poca) autonomia tributaria locale, dove le imposte sono statali e vengono ripartite tra i territori sulla base del principio “ognuno si tiene una quota delle proprie imposte” (si chiamano “compartecipazioni”) non soffre di questa contraddizione. Peccato che con un modello siffatto – che in parte è quello che stiamo realizzando – gli amministratori locali in pratica continuerebbero a decidere sulle spese ma non sulle entrate. Un modo per scegliere contro autonomia e responsabilità locale.

PAREGGIO IN COSTITUZIONE? “VASTE PROGRAMME…”

Una nuova regola costituzionale che preveda l’obbligo del bilancio in pareggio segnalerebbe ai mercati la ferma volontà di raggiungere e di mantenere la disciplina fiscale ben più di quanto è possibile fare con provvedimenti del governo pro tempore. Non mancano, però, controindicazioni. A cominciare dal fatto la tenuta di una regola riferita alla spesa totale prefigura un incubo procedurale.

OLTRE LA MANOVRA

Nel dibattito pubblico l’attenzione si è concentrata solo sulla manovra del luglio 2011 dimenticando gli effetti di trascinamento dei vari interventi di finanza pubblica precedenti. Una valutazione complessiva dei dati di bilancio indica che le entrate hanno giocato un ruolo importante, ma inferiore al 50 per cento nella riduzione del deficit. E che più che di rinvio della manovra al 2013-14, si dovrebbe parlare di un alleggerimento sul 2012 rispetto al 2011.

I CONTI PUBBLICI: UN FATICOSO RIENTRO

In allegato la presentazione tenutasi, il 4 luglio 2011, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info

LEGHISTI MIEI, FEDERALISTI IMMAGINARI

La proposta di trasferire qualche ministero al Nord inizialmente ai più era apparsa una boutade. Sta diventando una questione seria. Non dovrebbe esserlo.
Dando per scontato che costi (anche finanziari) e problemi organizzativi impediranno anche soltanto di discutere il trasferimento di ministeri significativi, il rischio maggiore è che, per non scontentare nessuno, si ripieghi su una versione soft, con la creazione di sedi distaccate e uffici di rappresentanza. Non sarebbe solo uno spreco di risorse ma diventerebbe un ostacolo a una razionalizzazione della rete periferica dell’amministrazione centrale, questa sì necessaria da tempo.
I maggiori ministeri (Difesa, Giustizia, Istruzione, Beni culturali, Economia, ecc.) hanno un’articolazione periferica che ricalca il disegno delle amministrazioni territoriali. È questa la principale motivazione della spinta a creare nuove Province: contano non tanto gli uffici della Provincia quanto una nuova prefettura, la sovrintendenza, il comando provinciale dei Carabinieri, e così via.
Bisognerebbe snellire queste reti. Soprattutto – se ne parla da almeno dieci anni – ripensare il tutto alla luce del trasferimento di competenze a Regioni ed enti locali. Ci si aspetterebbero proposte su questo da chi vuole la riduzione del peso dello stato centrale. Ma tant’è: scomparsi da tempo i marxisti immaginari di buona memoria (Vittoria Ronchey, 1975), è da un poÂ’ il turno dei federalisti immaginari.

MILLEPROROGHE PER IL NUOVO MILLENNIO

Duecentoventuno commi, centonovantasei in più del testo originario. Le nuove procedure di bilancio ci hanno consegnato una Finanziaria (si chiama ormai Legge di stabilità) più snella, ma decreti omnibus più grassi e pieni di nuove norme oltre che di semplici proroghe. Diminuisce cosi la trasparenza delle decisioni di politica economica. Ha fatto bene il Presidente della Repubblica a porre il problema.

La sostenibilità del nuovo patto

Il percorso di riduzione del debito pubblico delineato dal nuovo Patto di stabilità implica dinamiche delle entrate e delle spese credibili? Per l’Italia tutto sommato sì, almeno se l’economia riprenderà a crescere. Ma se si guarda all’insieme delle economie avanzate, c’è il rischio che la generalizzazione di politiche di bilancio fortemente restrittive produca una grave e persistente deflazione. Perché allora non esplorare strade alternative come quella di trasferire a organismi internazionali quote del debito sovrano dei vari paesi?

Pubblico impiego

In estrema sintesi, il decreto legge, con l’articolo 9– Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico, congela per un triennio le retribuzioni dei dipendenti pubblici e rafforza le limitazioni già in vigore per le nuove assunzioni.

ASSENTEISMO, DATI E POLEMICHE

La riduzione dell’assenteismo dei dipendenti pubblici ottenuta dal ministero della Pubblica amministrazione è un risultato positivo e rimarrebbe tale anche qualora il calo di assenze alla fine risultasse molto inferiore a quanto indicato dallo stesso dicastero. Per questo la polemica tra l’Espresso e il ministero appare stucchevole. Più importante sarebbe discutere come limitare l’assenteismo senza ricorrere a strumenti di contrasto draconiani. E come far sì che il ridimensionamento del fenomeno si traduca effettivamente in un miglioramento della produttività del lavoro pubblico.

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