Senza una riforma dell’indennità di accompagnamento, ogni tentativo di arrivare a un sistema efficace di assistenza agli anziani non autosufficienti è destinato a fallire. Il recente intervento del governo non affronta i nodi centrali della questione.
Autore: Marcello Morciano
Professore associato di Scienza delle Finanze presso il Dipartimento di Economia "Marco Biagi" dell'Università di Modena e Reggio Emilia. E’ Vice-direttore del Capp, Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche, dello stesso dipartimento, membro del Collegio Docenti honorary senior lecturer in Health Policy and Economics dell’Università di Manchester (UK) e visiting research associate del Care Policy and Evaluation Centre della London School of Economics (UK). Nella sua ricerca si occupa principalmente di temi legati all’analisi delle conseguenze economiche dell’invecchiamento della popolazione con valutazioni ex-ante ed ex-post dei processi di riforma in ambito sanitario, socio-assistenziale e di protezione sociale. Di recente è stato membro del Social Care Working Group for the Scientific Advisory Group for Emergencies (SAGE), il comitato governativo inglese per la gestione dell’emergenza COVID-19 nelle case di cura. Pubblica i suoi lavori sia su riviste strettamente economiche che su riviste di taglio interdisciplinare a maggiore diffusione in ambito medico e socio-sanitario.
Anche in futuro il sistema pensionistico pubblico italiano sembra capace di garantire prestazione adeguate. In base alle simulazioni, la riduzione attesa del tasso di sostituzione nel corso dei prossimi decenni non è drammatica, almeno rispetto a proiezioni elaborate prima della riforma. Tutto dipende dall’innalzamento dell’età media di pensionamento, destinata ad agganciarsi alla dinamica delle aspettative di vita. Ma per rendere perseguibile e realistica questa soluzione, occorrono cambiamenti importanti nel mercato del lavoro.
Nel breve periodo la riforma delle pensioni del governo Monti porterà a un aumento del 5 per cento circa della forza lavoro e a una riduzione dei pensionati compresa tra il 10 e il 15 per cento. Di conseguenza, la popolazione attiva sul mercato del lavoro nei prossimi decenni sarà progressivamente più anziana, in particolare fra le donne. La sostenibilità e l’adeguatezza del nostro sistema pensionistico si giocherà allora sugli effetti che questo avrà sulla produttività della nostra economia e sulla domanda di lavoro da parte delle imprese.
L’adozione pro rata del metodo contributivo per tutti i lavoratori dal 1° gennaio 2012 è un provvedimento apprezzabile sia per i suoi effetti sull’equità intergenerazionale, sia per le implicazioni, almeno nel medio termine, sul contenimento della spesa per pensioni. Se questa scelta fosse stata adottata nel 1995 con la riforma del sistema previdenziale, i risparmi per il bilancio del settore pubblico sarebbero stati crescenti nel tempo, per un ammontare complessivo pari a quasi due punti di Pil. E la riduzione sarebbe stata maggiore per le prestazioni elevate.
Con un metodo di analisi molto semplice si possono verificare gli effetti sul reddito disponibile delle famiglie delle riforme attuate negli ultimi dieci anni. E’ possibile rintracciare una diversità nelle logiche di fondo che hanno ispirato le due esperienze di Governo: il centrosinistra è stato più attento al segno redistributivo delle riforme, concentrando le risorse a favore dei decili inferiori della distribuzione, mentre il centrodestra ha avuto come prioritario l’obiettivo della riduzione del carico fiscale, in modo percentualmente uniforme.