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Autore: Marco Gambaro

Marco Gambaro è professore associato presso il dipartimento di Economia Management e Metodi quantitativi (DEMM) dell'Università Statale di Milano dove insegna Economia della Comunicazione. I suoi interessi di ricerca riguardano concorrenza, struttura dei mercati e antirust nelle industrie dei media e delle telecomunicazioni.

Si fa presto a dire media company

Le media company nascono perché le aziende di telecomunicazioni fisse e mobili cercano di offrire nuovi servizi che sfruttino la crescente capacità di trasporto della rete in segmenti dove la concorrenza di prezzo è meno forte. I contenuti video si prestano bene allo scopo. Ma i ricavi delle Iptv derivano quasi esclusivamente dalla sottoscrizione degli abbonamenti. Sono quindi decisamente inferiori a quelli della telefonia fissa. La riconversione richiede poi grandi sforzi organizzativi e culturali per le competenze richieste.

Televisioni a confronto

Nel dibattito sulla privatizzazione della Rai i tradizionali confronti di produttività ed efficienza rischiano di essere fuorvianti. Nel complesso, la Rai è più efficiente della maggior parte delle televisioni pubbliche europee, anche se non quanto la differenza del fatturato per addetto possa far apparire. Un risultato ottenuto grazie a un’interpretazione molto elastica del concetto di servizio pubblico sul piano della programmazione e su quello della trasparenza organizzativa e informativa, e che dipende anche da differenze strutturali di perimetro.

La concentrazione nascosta

Per valutare il grado di concentrazione nel mercato della stampa quotidiana, i dati di diffusione a livello nazionale non sono un indicatore corretto. La competizione avviene prevalentemente su scala locale e dunque è più utile identificare il mercato di riferimento di ciascun giornale, ovvero l’insieme delle province nelle quali viene realizzata la maggior parte delle vendite. Si scopre così che la concentrazione effettiva è superiore a quanto comunemente si crede per la forte polarizzazione geografica della diffusione, anche dei cosiddetti quotidiani nazionali.

Va in onda la Gasparri

La nuova legge tocca molti aspetti, con alcuni provvedimenti condivisibili. Ma le misure previste non sembrano in grado di ridurre la concentrazione nel mercato televisivo e aumentare il pluralismo. Il Sic è un aggregato arbitrario e non un mercato rilevante come inteso dalle autorità antitrust. E la quota consentita è opportunamente al di sopra di quella oggi detenuta dai principali operatori. E’ perciò probabile che la norma sia solo una tappa provvisoria nella costruzione di un assetto accettabile del sistema televisivo italiano

Il calcio è di rigore

Negli ultimi sei anni i costi delle società di calcio sono stati superiori ai ricavi. Le perdite, che superano i tre miliardi e mezzo, sono state ripianate con le plusvalenze generate dalla compravendita di giocatori. Le regole Uefa impongono ora vincoli di bilancio stringenti, compreso un tetto per gli stipendi dei calciatori. Ma per il calcio italiano, il necessario risanamento deve partire dalla ricostruzione di una cornice di regole e istituzioni adatta alla nuova interazione tra dinamiche sportive e concorrenza economica.

Informazione e pluralismo nel sistema televisivo

La tendenza alla concentrazione del mercato televisivo è comune a tutti i paesi perché deriva dalle caratteristiche della concorrenza tra reti generaliste finanziate con la pubblicità. L’Italia è un caso estremo per la presenza di due gruppi multicanale che rendono difficile l’ingresso di nuovi operatori anche in segmenti non coperti. E per una struttura proprietaria altrettanto fortemente concentrata. Lo sviluppo del digitale terrestre non è una soluzione, soprattutto perché non avverrà in tempi brevi.

Calcio in tv, va in onda la crisi

I diritti televisivi sono stati un fattore scatenante della crisi finanziaria delle squadre italiane. Perché le società hanno dovuto trasferire ai giocatori buona parte di questi inaspettati e improvvisi ricavi. D’altra parte, la necessità di assicurarsi le esclusive ha alzato i prezzi e diminuito la remuneratività delle partite in tv. E tutti ne hanno sopravvalutato il potenziale di sviluppo. Ma se le emittenti possono permettersi di trasmettere in perdita per un breve periodo, alle squadre per pareggiare costi e ricavi non resta che abbassare gli stipendi dei calciatori.

La chimera del digitale terrestre

Una innovazione importante, che rappresenta il futuro della televisione. Ma rispettare l’obiettivo del 2006 per il passaggio al digitale sembra difficile e in ogni caso gli effetti sulla concorrenza nel settore meno dirompenti di quanto ipotizzato. Perché i consumatori acquisteranno i nuovi apparecchi solo se l’offerta di programmi sarà adeguata, mentre per gli operatori si prospetta un lungo periodo di transizione dai rischi elevati e i ricavi incerti.

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