Istituti di ricerca e associazioni hanno presentato le loro stime sui beneficiari del reddito di cittadinanza. Le differenze riguardano il numero di persone coinvolte e la quota di nuclei monocomponenti. C’è accordo invece sulla distribuzione geografica.
Autore: Massimo Baldini Pagina 6 di 13
Professore di Politica Economica presso il Dipartimento di Economia "Marco Biagi" dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Membro del Capp, Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche, dello stesso dipartimento, del comitato scientifico della Fondazione Gorrieri e del comitato editoriale di Politica Economica - Journal of Economic Policy. Fa parte della redazione de lavoce.info.
Il principale problema del reddito di cittadinanza sta nella fretta con cui si è voluto realizzarlo. Su un tema delicato e in un contesto difficile, sarebbe stato più saggio aumentare progressivamente gli importi e la platea del reddito di inclusione.
Il governo sembra avere una lettura semplicistica del problema povertà. Il lavoro è senza dubbio la via d’uscita principale, ma i dati ci dicono che per un numero significativo di famiglie aumentare il numero di occupati potrebbe non essere così facile.
Il 19 per cento di autonomi e imprenditori individuali beneficia oggi del regime dei minimi. Con la riforma, la percentuale sale al 36 per cento nel 2019 e al 44 per cento nel 2020. Un trattamento fiscale di favore che crea iniquità e incentiva l’evasione.
Con 10-11 miliardi di spesa annua dedicati al reddito di cittadinanza riusciremo ad azzerare la povertà? No, anche nei sistemi di welfare più avanzati resta sempre una quota di persone in povertà. Sarebbe meglio allora potenziare il reddito di inclusione.
L’aumento della povertà tra 2016 e 2017 riguarda tutti, ma l’incidenza resta molto più alta tra gli stranieri. Eppure, il ministro Di Maio fa leva su questi dati per accelerare sul “suo” reddito di cittadinanza. Da cui i non italiani sarebbero esclusi.
Nel 2017 il Pil italiano è cresciuto. Nello stesso tempo, però, è aumentato il numero di famiglie in povertà assoluta, benché a un ritmo più lento rispetto agli anni neri della crisi. Serve una ripresa più forte, con politiche redistributive più attente.
Non è detto che la flat tax avvantaggi sempre i redditi più alti. Si possono costruire combinazioni di aliquota unica e deduzione che lasciano invariata la pressione fiscale complessiva, ma la diminuiscono nettamente per le classi di reddito medio-basse.
Il reddito di cittadinanza è una misura simbolo della proposta politica del Movimento 5 stelle. Per questo è stato inserito nel contratto di governo con la Lega. La sorpresa è che ora è riservato solo ai cittadini italiani. E anche i costi cambiano.
La “quasi” flat tax sarebbe uno dei punti centrali di un possibile governo Lega-M5s. La metà dei risparmi andrebbe ai redditi più alti, mentre quelli della classe media sarebbero modesti. E si aprirebbe un buco di 50 miliardi nei conti pubblici.