È stata finalmente pubblicata l’analisi costi benefici del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione. Soffre di gravi carenze metodologiche e risente di ipotesi arbitrarie. Particolarmente discutibili appaiono quelle su accise e pedaggi autostradali.
Autore: Massimo Tavoni
Professore ordinario presso la School of Management del Politecnico di Milano e direttore dell'Istituto europeo per l'economia e l'ambiente (EIEE), una partnership tra Resources for the Future (RFF) e la Fondazione CMCC. Precedentement ha coordinato il programma sul clima della Fondazione Eni Enrico Mattei. È stato fellow presso il Center for Advanced Studied in Behavioural Sciences presso la Stanford University e post-doc presso Princeton University. La sua ricerca riguarda le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici ed è apparsa su importanti riviste scientifiche. È autore dell'IPCC (5 ° e 6 ° rapporto), co-dirige dell'International Energy Workshop ed è stato vicedirettore della rivista "Climatic Change". Ha vinto un grant dal consiglio europeo per le ricerche (ERC). Ha consigliato diverse istituzioni internazionali sui cambiamenti climatici, tra cui l'OCSE, la Banca asiatica per lo sviluppo, la Banca mondiale.
Le analisi costi-benifici danno importanti informazioni, ma non possono sostituirsi alle decisioni politiche. Anche perché sono tanti i parametri che ne influenzano i risultati. E a condurle dovrebbero essere gruppi di esperti con competenze diverse.
Dopo anni di oblio, la nuova preoccupazione per la sicurezza energetica e la necessità di contrastare il riscaldamento globale riaprono il dibattito sull’energia nucleare. I tempi per la ricerca di tecnologie innovative sono lunghi e le riduzioni di gas serra entro il 2050 dovranno avvenire con le tecnologie di adesso. Ma la scarsa sicurezza non sembra un motivo valido per dire no al nucleare: i rischi connessi al suo utilizzo sono ben inferiori a quelli che si registrano in altri settori produttivi e nelle attività che ci vedono abitualmente coinvolti. Da valutare, invece, la sua convenienza economica, se le quotazioni del petrolio torneranno basse.
Rappresenta solo lo 0,1 per cento della produzione mondiale di elettricità, eppure l’energia eolica continua a far parlare di sé, con una crescita del 32 per cento annuo dal 1997 al 2002. Quale sarà il suo ruolo nel soddisfare la domanda crescente di energia e allo stesso tempo limitare le emissioni di gas serra? Il vento promette molto, ma il successo dell’eolico dipende da diversi fattori: politiche dei cambiamenti climatici, sviluppo di reti e connessioni elettriche, mercati dell’elettricità e sistemi di previsione e gestione delle intermittenze.
La produzione di energia elettrica da idrogeno non è competitiva in termini di semplici costi industriali. Il suo sviluppo è legato perciò alle politiche di riduzione dei gas serra e alle penalità che saranno attribuite alle emissioni di anidride carbonica. Secondo uno studio, lidrogeno potrebbe entrare nel mix elettrico italiano con una percentuale dello 0,5 per cento sulla produzione nazionale solo se saranno rispettati i livelli imposti dal Protocollo di Kyoto. Oppure se il costo della CO2 si aggirerà sui cento dollari per tonnellata.