La legge elettorale proporzionale potrebbe davvero aumentare la partecipazione al voto? Sentendosi così parte della comunità i cittadini sarebbero più disposti a pagare le tasse? La suggestione è interessante, ma in Italia non sembra confermata dai numeri.
Autore: Paolo Balduzzi Pagina 1 di 16
Si laurea all’Università Cattolica di Milano e consegue M.Sc. e Ph.D. in Economics presso la University of Edinburgh. Dopo una breve esperienza presso l’Università di Milano-Bicocca, diventa ricercatore in Università Cattolica, dove insegna Scienza delle finanze ai corsi diurni e serali, triennali e magistrali. Ha insegnato anche al Dottorato in Economia e Finanza delle Amministrazioni Pubbliche dell’Università Cattolica, all’Università di Milano-Bicocca e alla Scuola Superiore di Economia e Finanza. I principali interessi di ricerca riguardano la political economy, con particolare riferimento al ruolo delle leggi elettorali, il federalismo fiscale, la finanza pubblica, le pensioni e la disuguaglianza intergenerazionale. Ha contribuito a libri e pubblicato articoli su riviste internazionali. E’ membro e Segretario generale dell’associazione ITalents. È stato membro della Commissione tecnica per la revisione della spesa guidata da Carlo Cottarelli per i capitoli di spesa sui costi della politica. È stato Consulente tecnico per la Presidenza del Consiglio al tavolo delle trattative con le Regioni per la concessione di maggiore autonomia ex art 116 comma 3 della Costituzione.
Da novembre 2017 è editorialista presso "Il Messaggero"
Dopo il secondo turno delle amministrative alcuni esponenti della maggioranza, ufficialmente preoccupati della scarsa partecipazione al voto, hanno proposto di cambiare le regole per l’elezione del sindaco. È un attentato alla democrazia o una proposta su cui ragionare?
L’autonomia differenziata è legge: la maggioranza esulta e l’opposizione chiederà un referendum abrogativo. Ma si tratta solo dell’attuazione di un comma dell’articolo 116 della Costituzione, senza conseguenze dirette. Ora molto dipende dai Lep.
Il successo di alcuni gruppi di estrema destra non sembra poter cambiare i destini dell’Ue. In Italia, gli elettori premiano Giorgia Meloni e i partiti di maggioranza. Buon risultato anche del Pd. Falliscono la rincorsa all’Europa sia Renzi sia Calenda.
Siamo ormai a pochi giorni dal voto che porterà all’elezione del decimo Parlamento europeo. Ma non esistono regole elettorali comuni e ogni paese dell’Unione sceglie le proprie. Ogni timido tentativo di renderle uniformi è finora naufragato.
Sull’onda dell’inchiesta di Genova, si torna a parlare di finanziamento pubblico ai partiti. Il dibattito aperto può essere utile per non ripetere errori del passato. E senza dimenticare che anche il sistema attuale pesa di fatto sulle casse dello stato.
Il voto in Basilicata conferma in larga misura quanto già emerso da Abruzzo e Sardegna. Quando si presenta compatto, il centrodestra vince. Mentre il campo largo mostra tutti i suoi limiti e la situazione al centro appare in evoluzione. Cresce l’astensione.
L’elezione diretta dà a sindaci e presidenti di regione un forte potere politico: un vincolo al numero dei mandati è consigliabile, anche se limita il diritto dei cittadini a votare il candidato preferito. E per i piccoli comuni la legge è già cambiata.
In cinque articoli la riforma costituzionale del governo cambia radicalmente i rapporti tra elettori, presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica e Parlamento. Apre varie problematiche, in particolare con la figura dell’eventuale secondo premier.
L’ultima revisione alla Costituzione riguarda il riconoscimento del valore dell’attività sportiva. E mostra come talvolta il lungo e complesso iter di modifica costituzionale sia utilizzato in modo improprio, mentre andrebbe riservato ai principi fondamentali.