Sembra raggiunto l’accordo di massima per la nuova legge elettorale. La proposta mira a un ritorno al proporzionale, alzando però la soglia di sbarramento, reintroduce le preferenze e prevede il rispetto di quote di rappresentanza di genere. L’impressione è che sia stata congegnata per impedire che dalle urne esca una chiara maggioranza e per giustificare la successiva formazione di un Governo di larghe intese. Eppure sarebbero bastati piccoli correttivi alla legge attuale per migliorare la qualità del personale politico. Garantendo però al paese la governabilità.
Autore: Paolo Balduzzi Pagina 14 di 16
Si laurea all’Università Cattolica di Milano e consegue M.Sc. e Ph.D. in Economics presso la University of Edinburgh. Dopo una breve esperienza presso l’Università di Milano-Bicocca, diventa ricercatore in Università Cattolica, dove insegna Scienza delle finanze ai corsi diurni e serali, triennali e magistrali. Ha insegnato anche al Dottorato in Economia e Finanza delle Amministrazioni Pubbliche dell’Università Cattolica, all’Università di Milano-Bicocca e alla Scuola Superiore di Economia e Finanza. I principali interessi di ricerca riguardano la political economy, con particolare riferimento al ruolo delle leggi elettorali, il federalismo fiscale, la finanza pubblica, le pensioni e la disuguaglianza intergenerazionale. Ha contribuito a libri e pubblicato articoli su riviste internazionali. E’ membro e Segretario generale dell’associazione ITalents. È stato membro della Commissione tecnica per la revisione della spesa guidata da Carlo Cottarelli per i capitoli di spesa sui costi della politica. È stato Consulente tecnico per la Presidenza del Consiglio al tavolo delle trattative con le Regioni per la concessione di maggiore autonomia ex art 116 comma 3 della Costituzione.
Da novembre 2017 è editorialista presso "Il Messaggero"
Arriva l’Imu, ma c’è poca chiarezza sulla sua disciplina. Se vuole essere un’imposta patrimoniale, allora bisogna chiarirne la portata, con un’analisi dettagliata dei suoi effetti redistributivi. Se è un’imposta locale, è necessario indicare quali siano i benefici locali che garantisce. Oltretutto, è anche un’imposta nazionale. Il suo peccato originale è la mancanza di cifre certe. E quella che è stata inizialmente definita come stima di gettito di 21 miliardi di euro, è in realtà un obiettivo minimo. Chiariti invece altri punti di contenzioso.
I partiti che sostengono il governo Monti sembrano aver trovato l’accordo su una riforma della legge elettorale. Prevede sostanzialmente il ritorno al proporzionale e cancella l’obbligo di formare coalizioni pre-elettorali. Il rischio è rendere ancora più frammentato il quadro politico, portando all’ingovernabilità del sistema e alla moltiplicazione dei poteri di veto. Per evitarlo, servono soglie di sbarramento effettive. E va mantenuta una leva maggioritaria che spinga comunque all’aggregazione delle forze politiche. Come migliorare la qualità del personale politico.
Le grandi democrazie sono nate in unepoca in cui il peso elettorale delle giovani generazioni era consistente e crescente. Ora invece è sempre più preponderante la presenza di popolazione anziana, tendenzialmente più interessata alle condizioni immediate che a investire sul futuro. Tanto più in Italia. Per riequilibrare la situazione si può pensare di attribuire a ogni elettore un voto il cui peso dipenda dall’aspettativa di vita, così come è avvenuto per la riforma delle pensioni. Il sistema responsabilizza elettori e candidati di tutte le età.
Desideriamo innanzitutto ringraziare i lettori che hanno commentato il nostro articolo e che hanno fornito indicazioni per utili approfondimenti. Un ulteriore segno di quanto la tematica energetica sia ritenuta fondamentale per il nostro Paese.
Vorremmo innanzitutto sgombrare il campo da ciò che sembra essere un equivoco emerso in alcuni commenti. Nellarticolo non prendiamo alcuna posizione a favore o contraria alle contestazioni; anzi: quello che abbiamo fatto è stato semplicemente applicare ciò che gli studenti di economia imparano come lAssioma delle Preferenze Rivelate. In altre parole, abbiamo osservato le scelte (non di consumo, bensì di voto e di protesta) dei cittadini e da queste scelte abbiamo cercato di dedurre le preferenze, in campo energetico, degli stessi cittadini. La nostra ipotesi è che il comportamento degli individui indichi una preferenza che va nella direzione dellefficienza e del risparmio energetico, preferenza che, peraltro, emerge chiaramente anche da alcuni commenti allarticolo.
Diversi commenti sottolineano inoltre come le contestazioni agli impianti energetici non costituiscano necessariamente Nimby tout court, bensì vere e proprie proteste contro la natura stessa degli investimenti. In effetti, concordiamo sul fatto che lacronimo Nimby sia utilizzato ormai con unaccezione molto ampia. Il termine originale di Nimby si riferisce infatti alle contestazioni sulla mera localizzazione di unopera, i cui benefici sono però riconosciuti da tutti, anche dai contestatori. Il rapporto dellOsservatorio chiarisce peraltro sin dallinizio che le contestazioni riportate non sono tutte Nimby in senso stretto e che, dunque, le opposizioni potrebbero riguardare addirittura lopportunità stessa delle opere. Tutto ciò non inficia minimamente il nostro ragionamento; anzi è evidente che lo rinforza.
Infine, una seria pianificazione energetica dovrebbe ovviamente tenere conto sia delle necessità di produzione e consumo sia della sensibilità della popolazione al tema. Per questo motivo, non siamo daccordo con chi auspica un ruolo maggiore delle Regioni, nonostante lart. 117 della Costituzione includa la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia tra le materie a competenza concorrente Stato/Regioni. Ancora meglio, se mai fosse possibile, sarebbe una pianificazione energetica a livello sopranazionale se non addirittura europeo.
Ovviamente un breve articolo come il nostro non può esaurire tutte le curiosità sul tema. Per queste, rimandiamo ai più completi contributi di NimbyForum stesso e di Banca dItalia.
I risultati del referendum sul ritorno al nucleare hanno sancito ancora una volta che gli italiani sono contrari all’atomo. Ma i dati dell’Osservatorio Nimby Forum mostrano che esiste anche una larga fetta della popolazione, ben organizzata in comitati locali, che sembra opporsi a qualunque tipo di energia, compresa quella che utilizza fonti rinnovabili. Sono cittadini che probabilmente auspicano un tipo di sviluppo economico diverso, meno basato sul consumo di territorio e di energia. Di sicuro, però, mancano nel nostro paese una cultura e una programmazione energetica.
L’alfabetizzazione finanziaria dei giovani è un problema serio. Ed è la scuola che se ne deve occupare. In primo luogo, perché la famiglia non appare oggi preparata a fornire alle nuove generazioni un supporto educativo completo in questo ambito. Ma anche perché si registra un crescente interesse verso l’economia e la finanza tra i ragazzi che partecipano a progetti con modalità didattiche basate sulla partecipazione attiva e su esperienze percepite come reali. I risultati di una ricerca sui preadolescenti.
Per permettere un’ulteriore mediazione tra il governo e gli enti locali, il decreto sulla fiscalità municipale è stato parzialmente riscritto. Questo articolo è stato scritto e pubblicato su questo sito prima del voto negativo in Commissione di giovedì 3 febbraio e prende in considerazione il testo uscito dal confronto tra Governo e Comuni. Questa versione è più precisa sulla gestione del Fondo sperimentale nella fase transitoria. Ma risulta quantomeno discutibile il dichiarato superamento di un sistema a finanza derivata. L’aliquota Imu rimane fissata a livello centrale. I comuni hanno ottenuto lo sblocco dell’addizionale Irpef, la maggiore compartecipazione sulle sanzioni e l’estensione dell’imposta di soggiorno.
La risposta ai commenti
Di Paolo Balduzzi e Alessandro Rosina
il 13/12/2010
in Gender gap, Stato e istituzioni
Da sempre sono le nuove generazioni le forze più dinamiche di una società, quelle che producono innovazione e che sostengono con vigore le ragioni del cambiamento. Secondo la felice espressione del filosofo Walter Benjamin, la gioventù è “quel centro in cui nasce il nuovo”.
Il nostro articolo cerca di rispondere a due interrogativi: a) è vero che in Italia i giovani hanno meno peso e spazio?; e b) il minor peso e spazio delle nuove generazioni nella società italiana è legato alla scarsa capacità di crescita, innovazione, oltre che ai bassi livelli di accountability di partiti e istituzioni?
Per rispondere alla prima domanda abbiamo introdotto il concetto di “degiovanimento” e ci siamo posti il problema di rendere operativa la sua misura, anche al fine di confronti tra Paesi e intertemporali. È difficile invece dare risposte chiare e convincenti al secondo quesito. L’idea è che una società più chiusa, più orientata a mantenere il potere acquisito che ad investire sul cambiamento e sul futuro, darà meno spazio agli outsider (i giovani, ma anche le donne e gli immigrati). D’altro canto, una società nella quale le forze nuove e più dinamiche riescono a guadagnarsi meno spazio, tenderà a essere più rigida e conservatrice. Le relazioni causali sono complesse, perché il “degiovanimento”, come abbiamo scritto altrove, può essere allo stesso tempo causa e conseguenza della scarsa propensione all’innovazione e al cambiamento. Si pensi ad esempio ai giovani più dinamici che dal Sud se ne vanno verso il Nord: spinti da scarsi spazi e opportunità nella loro area di origine, cercano maggiori opportunità ma aumentano allo stesso tempo il “degiovanimento” di tali aree. Lo stesso vale per il brain drain italiano verso l’estero e la scarsa attrazione di giovani cervelli nel nostro Paese. Per questo abbiamo parlato in un precedente articolo di “spirale negativa” da spezzare.
Come spezzarla? L’idea è che restituire più peso ai giovani, quantomeno a livello degli altri Paesi, vada nella direzione giusta. Innanzitutto, eliminando i maggiori vincoli anagrafici previsti dalla nostra Costituzione. In secondo luogo, incentivando i giovani stessi ad essere più partecipativi e aggressivi nei confronti dello status quo. Se non sono gli stessi giovani a picconare i muri di un vecchio sistema che non funziona più, chi deve farlo?
Veniamo, infine, ad alcune risposte più specifiche. Concordiamo con il fatto che, con i giovani, anche donne e immigrati soffrono di un sistema bloccato. Giusto quindi valorizzare meglio il loro ruolo potenziale di innovatori, come abbiamo del resto già scritto in molte altre sedi. Partiti troppo chiusi e autoreferenziali? Certo, e infatti che non basta semplicemente “rottamare”. Il cambiamento deve riguardare più le teste che i volti. Serve un’apertura strutturale al cambiamento e alla società. Interessanti i suggerimenti su fuori sede e università, senz’altro da approfondire. Altri lettori suggeriscono variazioni istituzionali specifiche, in alternativa all’abbattimento delle barrire costituzionali. Innanzitutto, l’indice che proponiamo tiene conto di vincoli anagrafici di accesso ai diritti politici e struttura demografica di un Paese. La specifica legge elettorale adottata in un Paese è indipendente da tutto questo. Il valore dell’indice sarebbe identico sia con legge proporzionale pura sia con legge maggioritaria (più ogni tipo di variante). Tale indipendenza è una forza dell’indice, poiché rende anche possibile i confronti a livello internazionale. Per quanto riguarda inoltre il vincolo di mandato, esso esiste già, ma per i soli sindaci. Alcuni partiti, come il PD, hanno inserito il vincolo di mandato anche per altre cariche, tranne poi prevedere una serie ben numerosa di eccezioni. Il punto che teniamo a sottolineare è che la nostra proposta non richiede alcun tipo di “quote” per la popolazione giovane, bensì pari opportunità. Sarà poi l’elettorato stesso a decidere se un diciottenne, per esempio, merita di essere eletto oppure no. Riguardo infine alla correlazione tra degiovanimento e corruzione, rassicuriamo chi pensa che basti levare qualche outlier per farla saltare. Sui limiti interpretativi in senso causale abbiamo già detto. Inoltre, ovviamente, la corruzione è legata a molti fattori, quindi è del tutto ragionevole che la dispersione dei punti sia ampia. A chi parla impropriamente di “significatività” ricordiamo che qui non abbiamo a che fare con dati campionari e che la relazione studiata è di tipo descrittivo.