L’analisi delle previsioni della spesa pubblica contenute nel DPEF fa sorgere una serie di interrogativi. Nel caso di interessi, investimenti e dipendenti pubblici alcune ipotesi discutibili hanno l’effetto di migliorare il saldo nel 2006, sul quale verremo giudicati in sede europea. Se le cifre si rivelassero ottimistiche il vero onere dell’aggiustamento si sposterebbe al 2007 e agli anni successivi. Un chiarimento è quindi essenziale.
Autore: Riccardo Faini Pagina 2 di 3
Il dato sul Pil e la possibilità che preluda a un’ulteriore involuzione delleconomia italiana pone tutti, senza eccezione, di fronte alle proprie responsabilità. Il Governo deve tracciare un quadro di politica economica che dia certezze a imprese e famiglie e abbandoni ogni ipotesi di sgravi fiscali. I sindacati riconoscano che la moderazione salariale non può essere confinata al settore privato. Il sistema produttivo faccia ricorso alla capacità di innovare e investire e non alla ricerca di rendite di posizione.
Le misure invocate in difesa del made in Italy sono miopi e non tengono conto delle caratteristiche del processo di integrazione delle nostre imprese nel mercato internazionale. Il protezionismo non crea quasi mai le condizioni per il proprio superamento. E’ sbagliato condizionare gli incentivi al mantenimento di una quota “sostanziale” di attività in Italia. Perché la delocalizzazione ha fornito alle aziende più dinamiche un importantissimo vantaggio competitivo. Invece di favorire questo processo, lo seppelliamo di vincoli e ne aumentiamo i costi.
I dati continuano a dipingere un quadro sconsolante dello stato dell’economia italiana. Nel 2004, uno degli anni migliori per l’economia mondiale, la crescita si è fermata all1,2 per cento. E non per carenza di domanda. La politica economica dovrebbe concentrarsi sugli stimoli all’offerta, in crisi di competitività sui mercati nazionali, europei e mondiali. Difficile pensare che nel 2005 si riesca a fare meglio. E’ auspicabile che con la prossima Relazione di cassa, il Governo fornisca un quadro realistico della situazione economica e di quella dei conti pubblici.
La regola aurea, invocata da molti ministri del Governo, va associata a condizioni decisamente più stringenti sulla dinamica del debito di quelle previste dal Patto di Stabilità. Richiede infatti che il rapporto debito-Pil non cresca nel periodo di riferimento, anzi decresca in modo più pronunciato per i paesi più indebitati. Forse, allora, è proprio quello di cui ha bisogno la finanza pubblica italiana: una regola sul debito che ne vincoli ogni ulteriore crescita, ne forzi una rapida diminuzione e ci metta al riparo dalla ritorsione dei mercati.
E’ finita presto la fase della trasparenza sulla situazione dei conti pubblici. Ora la confusione è massima. E nel susseguirsi di cifre e di proposte si rischia di sperperare i pochi soldi disponibili per politiche che ci permettano di agganciare la ripresa internazionale. Perché se domina lincertezza sulla natura, lentità e la durata degli interventi, i beneficiari saranno solo le famiglie o gli imprenditori che avrebbero comunque aumentato i consumi o assunto nuovi lavoratori anche senza gli incentivi e gli sgravi fiscali.
Il Patto di stabilità e crescita e lagenda di Lisbona vanno rivisti. Il Patto resta uno strumento essenziale di coordinamento delle politiche fiscali, ma in questo momento prevalgono i suoi effetti recessivi. Al contrario, perseguire gli obiettivi di Lisbona avrebbe ricadute favorevoli sullattività e sui conti pubblici di tutti i paesi. Mancano però gli incentivi. I due programmi dovrebbero essere legati più strettamente, concedendo margini più generosi nella valutazione delle politiche di bilancio ai paesi che attuano le riforme di struttura.
Vincenzo Visco commenta la lettura del DPEF fornita da Riccardo Faini e Francesco Giavazzi per quanto riguarda gli aiuti al Sud. È giusto limpegno ad aprire le ostilità con Bruxelles sulla differenziazione regionale delle aliquote sui profitti?
La riforma delle pensioni appena varata non e strutturale e rischia di far lievitare la spesa previdenziale da qui al 2008 incoraggiando le fughe anticipate verso lanzianita. Ma vi e di peggio. Si discute della possibilita di trasferire una parte cospicua del Tfr direttamente allInps. Gli effetti di questa operazione su imprese, lavoratori, e lo sviluppo dei fondi pensione rischiano di essere largamente negativi. Lunico beneficio certo sarebbe quello, di breve periodo, per i conti pubblici, al costo pero di un loro futuro deterioramento.
Con la ripresa dovrebbe migliorare la situazione dei conti pubblici in Europa: rischia di essere un ragionamento troppo ottimista. La riduzione dei tassi di interesse conseguente al rallentamento del ciclo può avere un effetto particolarmente favorevole per i paesi altamente indebitati, come il nostro. Paradossalmente, è del tutto possibile che lItalia non tragga grande beneficio dalla modesta ripresa, ma ne soffra le conseguenze in termini di più alti tassi di interesse europei. Il nuovo Dpef dovrebbe tener conto di questi fattori.