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Autore: Riccardo Faini

Eredità

Sembra difficile sostenere che il governo di centrodestra abbia ereditato da quello precedente una situazione dei conti pubblici fortemente deteriorata o che il rallentamento dell’economia mondiale abbia pesato in maniera determinante sugli andamenti di finanza pubblica dopo il 2001. Se così fosse, tra l’altro, i conti pubblici non registrerebbero un ulteriore e pronunciato deterioramento proprio nel 2004, quando si manifestano i primi segnali di una seppur timida ripresa. Mentre è arduo il compito che attende il prossimo ministro dell’Economia.

Una Relazione preoccupante

Con un ritardo notevole, il Governo ha diffuso la Relazione trimestrale di cassa e l’aggiornamento della Relazione revisionale e programmatica. Certificano il permanere di una situazione difficile per la finanza pubblica. I dati infatti riconoscono che la crescita sarà inferiore alle previsioni e l’indebitamento pericolosamente vicino al 3 per cento. Ancora una volta sono le misure una tantum a permettere di chiudere la previsione di bilancio senza suscitare la reazione dei partner europei, dei mercati e delle agenzie di rating.

Diritto di cittadinanza

L’Italia è terra d’immigrazione e di fronte a flussi già elevati e destinati a crescere, è inevitabile porsi la questione di quali diritti vadano concessi a chi arriva nel nostro paese. Molto pochi oggi quelli di appartenenza, grazie alla legge del 1992 che si fonda sul principio dello ius sanguinis. È una politica miope che mette a rischio la nostra capacità di sfruttare al meglio il contributo non solo economico, ma anche sociale e culturale che gli immigrati possono dare allo sviluppo del nostro paese.

Col fiato corto

L’economia italiana continua a perdere colpi. Il nuovo miracolo economico ipotizzato a inizio legislatura è tramontato presto, di fronte alla virtuale stagnazione del Pil dal secondo trimestre del 2001 a oggi. Ma il rischio attuale è di perdere anche la possibilità che sia la ripresa dell’economia internazionale a risollevare le sorti della nostra. Infatti, mentre per Stati Uniti ed Europa i dati sono rassicuranti, quelli italiani del primo trimestre del 2004 non promettono nulla di buono. E le previsioni di crescita del Governo potrebbero rivelarsi del tutto irrealistiche.

Dove nasce l’euro-disagio

In Europa non c’è stata nessuna accelerazione dei prezzi dopo l’introduzione della moneta unica. C’è invece un’anomalia tutta italiana: l’inflazione sale, soprattutto nei settori dove scarseggia la concorrenza, mentre l’economia ristagna e il paese perde competitività. E le retribuzioni reali sono scese dal 2000 a oggi. Il problema del malessere sociale ha le sue radici nel calo della produttività, sintomo delle difficoltà economiche strutturali. Per risolverlo non serve l’ottimismo di facciata.

Tre domande nel dopo-Ecofin

Quali potrebbero essere le conseguenze di un abbandono del Patto di stabilità e crescita? Si arriverebbe a un rialzo dei tassi di interesse, particolarmente grave per paesi indebitati come l’Italia. Perché l’aumento della spesa per interessi potrebbe essere tale da vanificare, ad esempio, i benefici della riforma previdenziale.

“De–Globalisation?”

Diminuiscono scambi internazionali, flussi di capitale e investimenti esteri. Perché aumenta l’avversione al rischio di imprese e investitori. E perché sono deboli le risposte di politica economica alle crescenti tensioni internazionali. Ne è una dimostrazione la richiesta di nuove barriere protezionistiche, buone solo per ritardare lo sviluppo dei paesi emergenti e bloccare i processi di riconversione verso produzioni tecnologicamente più avanzate in quelli industrializzati. L’accento sugli ipotetici danni della globalizzazione rischia di portare al fallimento il negoziato di Doha. Ma questo significherebbe perdere un’occasione di rilancio dell’economia mondiale.

Ma il pubblico non ha colpe

La spesa del settore pubblico per R&S è sullo stesso livello degli altri Paesi. Mancano invece gli investimenti privati e in particolare quelli dell’industria manifatturiera. I motivi? Imprese troppo piccole, che operano in settori a scarso contenuto tecnologico, oltre al basso livello di istruzione della forza lavoro. La soluzione non è allora nei generosi incentivi ai privati, ma in una politica di valorizzazione del capitale umano. E rinunciando a proteggere le produzioni industriali più tradizionali.

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