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Autore: Riccardo Puglisi Pagina 6 di 8

puglisi Alunno del Collegio Ghislieri, ha studiato all'Università di Pavia (dottorato in finanza pubblica) e alla LSE (PhD in economia). Professore ordinario di scienza delle finanze all'Università di Pavia, si occupa principalmente di political economy, ed in particolare del ruolo politico dei mass media. Redattore de lavoce.info.

EFFETTO PRESIDENTE SULL’ECONOMIA

Il legame tra economia e risultati elettorali funziona anche in senso inverso: l’’esito delle elezioni ha con ogni probabilità un effetto sull’’andamento futuro delle variabili macroeconomiche come la crescita, la disoccupazione e l’’inflazione. Dal punto di vista teorico ciò è tanto più vero quanto più sono distanti le piattaforme programmatiche dei candidati, sia sulla carta che, soprattutto, nei fatti.

DALLA POLITICA ALL’ECONOMIA

Sempre focalizzandoci sul caso degli Stati Uniti, secondo il modello tradizionale del ciclo economico-politico, quando il presidente in carica è un democratico l’’inflazione è in media più elevata e la disoccupazione è più bassa che sotto un presidente repubblicano; dal punto di vista empirico tale conclusione si basa sull’’analisi diretta dei dati storici relativi al secondo dopoguerra. Il problema di questa metodologia è che non si riesce a isolare l’’effetto opposto, che va dalle variabili economiche all’’esito elettorale.
Sotto questo profilo, i mercati predittivi inerenti a una certa gara elettorale sono uno strumento utile per valutare in maniera rigorosa l’’effetto della probabilità di vittoria di un candidato o dell’’altro sull’’andamento di variabili macroeconomiche e finanziarie rilevanti. L’’idea consiste nell’’analizzare la correlazione tra quotazione sui mercati predittivi dopo che i seggi elettorali sono stati chiusi e l’’andamento contemporaneo di alcune variabili finanziarie rilevanti: la bontà di questo approccio sta nel fatto che, per definizione, l’’andamento del mercato predittivo non è più influenzato dall’’andamento delle variabili economiche, in quanto i cittadini si sono già espressi tramite il voto.
A questo proposito, Eirik Snowberg, Justin Wolfers ed Eric Zitzewitz sfruttano l’’andamento oscillante dei mercati predittivi dopo la chiusura delle urne nel 2004, quando inizialmente gli exit poll davano la vittoria a John Kerry, per poi essere sonoramente smentiti dalla riconferma di George W. Bush. (1) Ebbene, l’’effetto della vittoria di Bush consiste in un apprezzamento tra l’’1,5 e il 2 per cento dei mercati azionari, molto probabilmente a motivo della minor tassazione sulle plusvalenze (capital gain) prevista da Bush, e in un aumento dei tassi di interesse nominali, che è verosimilmente dovuto a un aumento del tasso di interesse reale sottostante, e non dell’’inflazione attesa. Secondo gli autori, l’aumento dei tassi di interesse reali potrebbe essere ricollegato alla maggiore propensione degli ultimi presidenti repubblicani a creare un deficit del bilancio federale.
L’’appartenenza politica del presidente potrebbe avere un effetto anche sulle prospettive specifiche dei diversi settori dell’’economia. Brian Knight ha studiato la questione analizzando l’’effetto della contesa elettorale tra Bush e Al Gore nel 2000, ancora una volta sfruttando l’’andamento dei mercati predittivi. (2) Knight mostra come una maggiore probabilità di vittoria per Bush abbia avuto effetti positivi sul settore del tabacco, mentre ha sortito effetti negativi sulle imprese concorrenti di Microsoft, e sui produttori di energia tramite tecnologie alternative. E si noti come questi risultati sono rinforzati dal fatto che le imprese che l’’analisi indica come favorite da Bush sono proprio quelle che hanno sostenuto in maniera sistematicamente più generosa la sua campagna elettorale rispetto a quella di Gore, e viceversa per le imprese che appaiono come sfavorite.
È facile pensare ai mercati finanziari solo in termini speculativi, mentre si dimentica spesso la dimensione assicurativa, che è altrettanto fondamentale. Ciò vale anche in questo caso, nella fattispecie rispetto al rischio politico: cittadini abbienti che verosimilmente avrebbero pagato imposte più elevate sotto Gore che sotto Bush avrebbero potuto assicurarsi contro questo rischio fiscale acquistando prima delle elezioni quei titoli che sarebbero saliti di più nel caso avesse vinto il primo (ed eventualmente vendendo allo scoperto i titoli favoriti dal secondo).
E in Italia? Se nel 2013 ci sarà ancora una forma di bipolarismo politico, Mediaset è l’’azienda giusta per fare arbitraggi tra variabili politiche ed economiche: chi è avverso al rischio e teme di essere svantaggiato da una vittoria del centrodestra dovrebbe acquistare azioni Mediaset. E viceversa dovrebbe venderle allo scoperto chi si aspetta svantaggi dal centrosinistra.

(1) Erik Snowberg, Justin Wolfers e Eric Zitzewitz [2007]. “Partisan Impacts on the Economy: Evidence from Prediction Markets and Close Elections” Quarterly Journal of Economics, May 2007, 122(2) 807-829. Disponibile qui.
(2) Brian Knight [2007] “Are policy platforms capitalized into equity prices? Evidence from the Bush/Gore 2000 Presidential Election.” Journal of Public Economics 91(1-2): 389-409. Disponibile qui. Per l’idea di mercati azionari collegati alle elezioni a fini assicurativi, si veda David Musto and Bilge Yilmaz [2003]. “Trading and voting.” Journal of Political Economy, 111. Disponibile qui nella versione working paper.

QUANDO IL POLITICO CINGUETTA

In modo goffo e prudente, i politici degli Stati Uniti sono stati i primi a usare Twitter per comunicare con elettori e opinione pubblica. Da qualche mese anche gli italiani: circa metà dei nostri deputati ha un account di Twitter, ma le modalità sono simili a quelle dei colleghi americani. Il profilo tipico del deputato utilizzatore è: di centro o centrosinistra, giovane, uomo. L’adozione del mezzo da parte della politica è dunque in una fase iniziale, in cui i meccanismi d’uso non sono ancora consolidati e l’apprendimento è in corso.

 

IL VANTAGGIO DI TWITTER: È UN VIRUS

Twitter è un social network in grande espansione. È anche quello che permette una diffusione virale delle notizie e che tende a rendere inutile la mediazione oggi esercitata da agenzie di stampa e giornalisti. È difficile da controllare, tanto che è considerato un fattore di successo delle primavere arabe. Ma è presto per formulare un giudizio sugli effetti benefici, malefici o neutri del mezzo. La brevità dei messaggi potrebbe alla fine rivelarsi negativa, perché mette tutte le notizie sullo stesso piano. L’utilizzo di Twitter nella comunicazione politica.

QUANDO IL MERCATO GIUDICA CON LO SPREAD

Le notizie sulle manovre d’estate pubblicate dai quotidiani più autorevoli hanno finito per influenzare l’andamento dello spread sui titoli di Stato? Difficile stabilire una relazione di causa-effetto. Ma un’analisi statistica mostra come la differenza tra lo spread dei Btp italiani e dei titoli di stato spagnoli rispetto ai Bund tedeschi sia aumentata significativamente quante più notizie sulla manovra finanziaria hanno pubblicato i quotidiani italiani il giorno precedente. La differenza diminuisce quando sono molti gli articoli a proposito delle intercettazioni.

LA STAMPA USA? MODERATA E CENTRISTA

La posizione ideologica dei media può avere effetti importanti e di lungo periodo sugli equilibri politici e sulle politiche, perché è da lì che i cittadini ottengono informazioni. Un recente articolo sostiene che i media americani si collocano più a sinistra dell’elettore medio americano. Una conclusione non corretta secondo un’analisi che confronta direttamente elettori e giornali. Ma cosa succede se i cittadini sono convinti di dover neutralizzare una distorsione dei media che non esiste?

QUELL’INFORMAZIONE COMPRATA CON LA PUBBLICITÀ

Avere informazioni credibili e obiettive costituisce un modo con cui i cittadini possono osservare e controllare le decisioni politiche ed economiche. Se la pubblicità può influenzare i contenuti editoriali, si produce un cortocircuito pericoloso dove assumono importanza le informazioni riservate. Una ricerca mostra che i quotidiani pubblicano più articoli sulle società quotate che fanno più pubblicità sulla loro testata.

LA POLITICA? UN GIOCO PER SIGNORINI

Alfonso Signorini è uno dei più abili produttori di infodivertimento in Italia attraverso il suo settimanale di gossip e un neonato talk-show televisivo. Avrà un ruolo importante in campagna elettorale. Perché “Chi” e “Kalispera” mostrano un volto spensierato dell’Italia, inculcando l’idea che le cose nell’era Berlusconi non vanno poi così male. E se i cittadini si sentono più felici, è probabile che alle prossime elezioni votino più volentieri per il governo in carica, come dimostra una recente ricerca americana. Una strategia mediatica che sarebbe bene non sottovalutare.

Wikileaks nella rete della globalizzazione

Il precedente dichiarato sono i Pentagon Papers degli anni Settanta. Ma se Wikileaks è figlio della globalizzazione che gli permette di sopravvivere su server e siti sparsi per il mondo, rischia anche di esserne vittima, poiché non esiste una Corte Suprema mondiale a cui appellarsi. La vicenda suggerisce comunque alcune riflessioni: sulle conseguenze della trasparenza sull’operato del governo, sul fatto che nel prossimo futuro c’è forse spazio per Stati che vogliano offrirsi come paradisi informatici. E sulla tempistica giusta per diffondere informazioni di questo tipo.

 

Il festival dell’economia letto sui giornali

Arrivato alla quinta edizione, il Festival dell’Economia di Trento mantiene un buon livello di interesse sui giornali. L’analisi temporale suggerisce l’esistenza di trend positivi su Repubblica e sul Sole-24Ore e di trend negativi sul Corriere e sulla Stampa. Le due testate hanno raggiunto il picco più alto nel 2007, quando si è discusso di capitale umano e capitale sociale. Il Sole tocca il picco nel 2009 con il Festival dedicato alla crisi economico-finanziaria e Repubblica quest’anno, con il tema dell’informazione. La presenza di politici di primo piano e la copertura mediatica.

ULTIMA NOTIZIA: I GIORNALI HANNO LE RUOTE

Arriva la prevista separazione tra Fiat Auto e Fiat Industrial, che dovrebbe raccogliere tutte le attività diverse dalle automobili. Eccezion fatta per i giornali. Perché questa scelta? Può nascere il sospetto che le partecipazioni nei media siano considerate strategiche per la capacità di influenzare l’opinione pubblica. L’auspicio è invece che la nuova Fiat faccia una scelta coraggiosa e si dedichi in maniera esclusiva alle solide auto. Lasciando svolazzare altrove i quotidiani.

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