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Autore: Rony Hamaui Pagina 16 di 17

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Rony Hamaui è laureato all'Università Commerciale L. Bocconi e Master of Science alla London School of Economics. E’ professore a contratto presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, segretario generale de Assbb (Associazione per gli Studi Banca e Borsa), amministratore unico di Airosh S.p.a.s, Vice Presidente del Cdec (Fondazione Centro di Documentazione Ebraica contemporanea).
Ha ricoperto numerosi incarichi presso il gruppo Intesa Sanpaolo, quali Direttore Generale di Mediocredito Italiano, AD di Mediofactoring, responsabile Financial Institutions e del Servizio studi della Banca Commerciale Italiana nonché professore a contratto presso l' Università di Bergamo e l' Università Bocconi.
È autore di numerosi articoli scientifici e ha scritto e curato diversi libri riguardanti gli intermediari, i mercati finanziari internazionali, lo sviluppo economico finanziario nei paesi arabi e il populismo.

SE LA BCE DIVENTA ESPANSIVA

Anche nelle situazioni più gravi, non bisogna affidarsi solo agli strumenti eccezionali, bisogna assicurarsi che quelli tradizionali funzionino bene. La politica monetaria è particolarmente efficace per stimolare la domanda interna, grazie alla svalutazione del tasso di cambio così prodotta. Invece la Bce è la banca centrale meno espansiva sia in termini di tassi d’interesse che di offerta di moneta. Il prossimo Consiglio direttivo dovrebbe perciò abbassare in maniera sostanziosa i tassi d’interesse di riferimento, liberandosi dei fantasmi di un passato ormai molto lontano.

UN POPOLO DI SANTI

La beatificazione di Giovanni Paolo II è un segnale di internazionalizzazione della Chiesa cattolica. Che per molti secoli è stata guidata da papi, cardinali e santi italiani, rischiando in questo modo di indebolire il suo carattere universale. Dal Cinquecento fino al 1978 con l’elezione di Papa Wojtyla tutti i pontefici sono stati italiani. Ugualmente impressionante è il numero di santi nati nel nostro paese. Mentre ancora oggi i cardinali italiani sono sessantacinque su un totale duecentotre. Tanti rispetto al peso del cattolicesimo italiano.

I VERI PERCHÉ DELLA RIVOLUZIONE EGIZIANA

Le cause della rivoluzione egiziana di questi giorni non sono da individuare nel deterioramento della situazione economica del paese. A partire dal 2000, sono state avviate varie riforme che hanno permesso negli ultimi cinque anni una crescita media del 5 per cento l’anno e una diminuzione della disoccupazione. Le manifestazioni nascono probabilmente dalle condizioni sociali e politiche dell’Egitto. Dove a non trovare lavoro sono soprattutto i giovani più scolarizzati. Gli stessi che peraltro appaiono profondamente tradizionalisti. La tranquillità dei mercati finanziari.

La Cina: troppo autoritaria e troppo liberista

Più web e meno territorio nel futuro delle banche

Le regole di Basilea 3 sono destinate a riaccendere le discussioni sul modello strategico delle banche italiane. Sono riuscite a superare bene la crisi finanziaria, ma faticano ad adattarsi al nuovo contesto macroeconomico. Il nostro tessuto industriale ha bisogno di un sistema bancario in grado di capirne i bisogni e di essere fisicamente vicino al cliente. Ma a tutti gli altri interessano pochi, semplici e standardizzati prodotti venduti a basso prezzo. In entrambi i casi, l’attuale rete di filiali è inadeguata. Molto meglio puntare sulle potenzialità del web.

 

Dalla guerra delle valute alla guerra dei numeri

Il problema del sistema economico internazionale non è quello dei tassi di cambio. Basta guardare i dati su Stati Uniti, Cina, Europa e Giappone. Quindi non si può affrontarlo in termini di guerra delle valute, che al massimo sono il sintomo di una malattia che ha origine altrove. La questione cruciale è la forte divergenza tra i principali paesi del mondo sugli obbiettivi di crescita e di stabilità economica. A Seul, allora, i leader del G20 farebbero bene a tentare di comprendere i problemi altrui, prima di ricorrere a mosse unilaterali pericolose per tutti.

 

Storia maestra di vita. E di crisi finanziarie

Finora la storia è stata una vera maestra di vita. La sequenza degli eventi negli ultimi anni ha infatti seguito diligentemente quella osservata nelle crisi susseguitesi con regolarità impressionante in quindici secoli, sotto ogni regime economico e politico, sotto ogni latitudine e con qualsiasi livello di sviluppo economico. Se è così abbiamo davanti tre possibili scenari. Ricordando anche che tutte le crisi sono state accompagnate da restrizioni ai movimenti di capitale, se non da vere e proprie forme di protezionismo finanziario.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per i loro commenti. Non ci è possibile entrare nel merito di ognuno di essi. Piuttosto, vale la pena cercare di capire – come qualcuno chiede – come mai i mercati finanziari abbiano reagito così male all’accordo di domenica 2 maggio. Crediamo che le ragioni siano molteplici. Il ritardo e le esitazioni con cui si è arrivati al risultato di domenica hanno giocato un ruolo: hanno dimostrato un scarsa determinazione dei governi ad arrivare ad una soluzione, minando la fiducia dei mercati nella reale volontà politica di venire incontro alla Grecia nel superare le sue difficoltà attuali (di cui nessuno nega che la principale responsabilità ricada sui Greci stessi). Il fatto che i governi europei continuino ad avere scarsa fiducia nella capacità della Grecia di uscire dalla crisi è testimoniata dalle severe condizioni alle quali è stato concesso il prestito (scadenze, rate, condizionalità rispetto alle misure correttive di finanza pubblica, tasso d’interesse al 5%). Inoltre, la situazione politica e sociale in Grecia è assai difficile in questi giorni; peraltro non si poteva pensare che misure così impopolari potessero passare senza contrasti. I mercati si stanno quindi domandando se il governo greco sarà davvero in grado di mantenere i suoi impegni; in caso contrario, l’aiuto europeo sarebbe destinato ad essere ritirato, con tutte le prevedibili conseguenze.
Vi è poi una considerazione più ampia. Indipendentemente dalle sorti della Grecia, i mercati si stanno domandando se altri paesi dell’area euro (Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda) siano in una situazione di insostenibilità delle finanze pubbliche, e quindi esposte ad attacchi speculativi. Nello scenario peggiore, un attacco generalizzato a questi paesi non potrebbe essere risolto con un piano di aiuti simile a quello predisposto per la Grecia, per un’evidente ragione di dimensione del problema. I fondamentali di questi paesi sono migliori di quelli della Grecia. Tuttavia, a questo punto, uno scenario di panico non può essere del tutto escluso. Speriamo di non assistervi.    

HA VINTO IL BUON SENSO

L’accordo di domenica 2 maggio evita un arretramento storico del processo di integrazione europea. Non sarà perfetto, ma dà alla Grecia una possibilità di risanare la finanza pubblica, evitandole di continuare a pagare un altissimo prezzo per finanziarsi sui mercati. Sembra scongiurata anche l’eventualità di una disgregazione dell’area euro. E la Bce può ora accettare i titoli di stato greci come garanzia nelle operazioni di finanziamento, indipendentemente dal rating, evitando una grave crisi di liquidità delle banche greche.

SE LA CRISI DI ATENE ENTRA IN BANCA

Lungi dall’essere risolta, la crisi greca ha messo a nudo tutte le debolezze della costruzione monetaria europea. Una volta messo in moto, il processo di integrazione comporta una serie di costi, oltre che di importanti benefici. Ma tornare indietro sarebbe molto rischioso e costoso. Meglio dunque andare avanti fino a quando l’Europa sarà un vero stato federale. Solo allora si potrà considerare la Grecia alla stregua di Los Angeles, che non ha banche né depositanti da salvare, ma solo un bilancio da sanare.

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