Nella cortese risposta al nostro articolo del 4 giugno, i Consiglieri del Ministro segnalano che lo spirito della riforma è in linea con le nostre osservazioni. Ne siamo lieti. Se l’enfasi della Riforma e della costituenda Commissione sarà focalizzata su impostare e governare un sistema per misurare la performance delle varie amministrazioni, comprendere i livelli di produttività di uffici simili in territori diversi, confrontare tali livelli con attività comparabili di altre amministrazioni in Italia e all’Estero, il Paese ne beneficerà. Se poi questa perfomance si articolerà oltre che in banali sistemi di contabilità industriale per misurare produttività e costo per singolo servizio anche in moderni sistemi di balanced score card in cui si misurino anche i livelli di servizio, la soddisfazione degli utenti e dei dipendenti, ecc., saremo probabilmente all’avanguardia in Europa. Se infine le singole Amministrazioni Pubbliche stimolate dal confronto troveranno la forza e la creatività di ridefinire il proprio modus operandi, ridurre gli organici in eccesso e accorpare strutture sovrapposte o ridondanti, allora potremo dire che il Paese ha fatto un balzo in avanti. Non resta che fare ottimi auguri ai futuri componenti della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche. Ne avranno bisogno.
La dimensione organizzativa è certamente presente nella riforma. Ce ne eravamo resi conto. Tuttavia, nonostante i chiarimenti, continuiamo a pensare che vi sia un eccesso di enfasi sulla valutazione individuale e che lo schema (monolitico?) 25-50-25 possa rivelarsi una forzatura. Ne comprendiamo la motivazione, a fronte di sistemi di valutazione che spesso classificano tutti a pari merito al primo posto. Ma la cura scelta può aggravare il male. Nessuno nega che l’apporto individuale sia importante anche nella pubblica amministrazione. Il problema è che in gran parte delle attività pubbliche il lavoro è organizzato (e non può essere altrimenti) per gruppi, dove in genere il contributo individuale è difficilmente enucleabile e misurabile (ovvero è molto costoso farlo). La questione diventa allora come disegnare meccanismi retributivi incentivanti per i singoli all’interno del gruppo. La soluzione (il riferimento di partenza è Bengt Holmstrom) è riferire gli incentivi alla performance del gruppo nel suo complesso e non certo organizzare tornei tra i singoli. Se si forza la situazione, in assenza di un meccanismo di valutazione trasparente e accettato da tutti i componenti del gruppo, si corre il rischio di minare la percezione che i singoli hanno dell’equità dello schema retributivo con effetti negativi proprio sulla performance che si vorrebbe incentivare. Tutti uguali allora? Certamente no. Gli incentivi attribuiti al gruppo consentono un’ampia differenziazione. Un esempio è l’esperienza dell’Agenzia del territorio (il vecchio Ufficio del Catasto), dove il premio di produttività ai dirigenti (in quanto responsabili di uffici) è individuale, mentre quello erogato agli impiegati è differenziato solo per ufficio e varia, per i 122 uffici, su una scala da 1 a 8. Soprattutto, questi incentivi rispondono all’obiettivo di premiare la performance in termini del servizio erogato dall’ufficio. Se una squadra di vigili del fuoco spegne l’incendio con successo, non è chiaro quale vantaggio si ottenga da una graduatoria che distingue, nella squadra, chi è più bravo, chi è mediamente bravo e chi è un po’ scarso o poco volenteroso. Insomma, l’invito è a distinguere e a procedere per gradi. Benissimo gli incentivi annuali individuali, dove sono possibili, ma senza modelli unici del tipo 25-50-25, lasciando che a decidere sulla forma della distribuzione siano i dirigenti. Senza dimenticare però che gli incentivi individuali annuali non sempre sono sensati e che comunque alla fine ciò che interessa è la performance a livello di unità produttive.
Riguardo alla questione delle carriere. Gli artt. 24 e 25 non erano sfuggiti. Ma affinché le carriere funzionino come meccanismo incentivante occorre che la struttura delle carriere stesse sia stabile nel tempo e i percorsi di avanzamento siano ben definiti. Cosa che non ci sembra avvenga oggi. Sarà pure anacronistico (?) ma in organizzazioni con rapporti di lavoro permanenti e dove spesso i singoli sviluppano nel corso della loro vita lavorativa competenze idiosincratiche (vale a dire non facilmente spendibili altrove) la motivazione del percorso di carriera resta la più potente. Basta peraltro guardare ai meccanismi che governano le burocrazie di eccellenza (ce ne sono anche in Italia).
È più di decennio che nella nostra pubblica amministrazione è stato introdotto un sistema di definizione degli obiettivi e valutazione dei risultati. Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’esito finora non sia stato soddisfacente. Nonostante, come dicono Hinna e Tronti, i giusti principi siano già largamente presenti nelle norme. La nuova riforma è apprezzabile nell’enfasi che pone su trasparenza e valutazione. Importante è non ricadere negli errori del passato, sviluppare sistemi di misurazione, senza dimenticarne limiti e ambiti, e ricordare che le norme di legge, anche eccellenti, sono la premessa ma, se si vogliono ottenere risultati concreti, non possono sostituire la difficile pratica del lavoro nello specifico e nelle singole strutture sui processi, sugli strumenti, sulle risorse, sugli assetti organizzativi.
Autore: Stefano Visalli
Trasparenza e valutazione sono i due principi guida della riforma Brunetta. Il limite è l’idea che la produttività dipenda innanzitutto dagli sforzi degli individui e dalle norme di legge, ma non dai modelli organizzativi, dagli obiettivi e dalla distribuzione delle risorse sul territorio. E’ vero il contrario. Occorre dotarsi di sistemi di contabilità industriale che misurino la produttività anche nella Pa, con modelli specifici per ciascuna amministrazione. E in questi casi il principale incentivo per gli individui non è la gratifica annuale, ma il percorso di carriera.