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Autore: Tito Boeri Pagina 13 di 38

tito Tito Boeri è professore di economia presso l'Università Bocconi di Milano e Senior Visiting Professor alla London School of Economics. È stato senior economist all’Ocse, consulente del Fmi, della Banca Mondiale, della Ue, dell’Ilo oltre che del governo italiano. Dal marzo 2015 al febbraio 2019 ha ricoperto la carica di Presidente dell'Inps. È Consigliere Scientifico della Fondazione Rodolfo Debenedetti. È stato editorialista del Sole24ore, de La Stampa e de La Repubblica e ha collaborato con quotidiani esteri quali il Financial Times e Le Monde. È tra i fondatori del sito di informazione economica www.lavoce.info e del sito federato in lingua inglese www.voxeu.org.

DILUIZIONE IN LEGGE IN UN DECRETO

Una serie di veti incrociati dei partiti nella X Commissione del Senato sembra stia riducendo la portata delle liberalizzazioni previste nel decreto “cresci Italia” del 24 gennaio scorso. Quel provvedimento, lo avevamo scritto, andava rafforzato per essere davvero incisivo nello stimolare la crescita. Invece, viene sistematicamente diluito. I partiti pretendono che sui taxi si rimettano le decisioni sulle licenze e sulle tariffe nelle mani dei sindaci, da sempre straordinariamente attenti alle richieste e, talvolta, ai ricatti dei tassisti e poco alle esigenze di chi il tassista vorrebbe fare e dei cittadini che un taxi vorrebbero prendere. Alla costituenda Autorità dei trasporti verrebbe lasciato il compito di esprimere un parere in materia: si dovrebbe trattare di un parere obbligatorio e quindi i sindaci dovrebbero motivare adeguatamente le loro eventuali decisioni difformi, ma si sa che la politica locale tende ad avere un senso della vergogna piuttosto basso. L’assalto lobbistico sta anche rimettendo in discussione la possibilità di aprire nuove farmacie e la liberalizzazione dei farmaci di fascia C. Sta anche cercando di diluire nel tempo (fino forse a perderla in un indeterminato futuro) la separazione tra Snam (rete gas) ed Eni, e di azzerare quel pochissimo che il decreto conteneva sulle banche. E quando si parla del settore dell’energia e di quello del credito nessuno può dire che si tratti di noccioline!
Al di là dell’importanza dei pezzi persi dal provvedimento nel suo passaggio parlamentare, rimane il segnale politico.  Il presidente del consiglio aveva invitato i partiti a non stravolgere l’impianto del decreto. Oggi proprio questo sta avvenendo. Inoltre ad avere un impatto significativo non sono tanto le singole misure, sui taxi o sulle farmacie, ma l’insieme dei provvedimenti. Se l’insieme si assottiglia, il rischio è che il risultato finale sia molto rumore per nulla. Ci sono tanti veti incrociati anche nella trattativa sul mercato del lavoro. Al punto che, cercando misure condivise da tutti, delle tante riforme messe sul piatto non sembra rimanere proprio nulla. Come pensa il governo di andare avanti senza il consenso dei partiti e delle parti sociali nella cruciale (ma ancora poco delineata) riforma del mercato del lavoro quando appare disponibile a cedere ai veti incrociati di lobbies ristrette ma ben rappresentate in Parlamento?

PRENDERSELA COI FIGLI DI PAPÀ O COI PAPÀ DEI FIGLI?

Ringrazio i lettori per le loro richieste di chiarimento e i loro commenti.
Parto dalle prime. I dati relativi al numero di citazioni di Silvia Deaglio, così come il valore dell’h index, sono stati presi dal programma Publish or Perish (PoP) considerando solamente le pubblicazioni nell’ambito medico. Più precisamente l’area disciplinare selezionata è Medicine, Pharmacology, Veterinary Science. Per numero di citazioni si intende il numero di volte che la pubblicazione in questione viene citata in pubblicazioni su Google Scholar. Un lettore offriva un’altra fonte per misurare il solo numero di pubblicazioni in campo medico. Ho controllato: secondo questo sito, le pubblicazioni di Silvia Deaglio sono 62, mentre in Publish or Perish sono 66, quindi non mi sembra che ci siano discrepanze degne di nota tra le due fonti. Un lettore mi chiede anche come sia possibile che una pubblicazione sia precedente alla laurea. Non conoscendo Silvia Deaglio, non conosco neanche la risposta. Posso solo dire che ho avuto studenti che hanno pubblicato prima di laurearsi e il corso di studi in economia è mediamente più breve che a medicina. Infine, ci tengo a sottolineare che io ho potuto misurare solo la produzione, l’output, non l’input, dunque gli strumenti che la ricercatrice ha avuto a disposizione. Qualche lettore sostiene che si possano comprare pubblicazioni a questo livello (referate a livello internazionale). Non lo sapevo e lo dubito fortemente perchè queste pubblicazioni sopravvivono solo se riescono ad avere un forte impact factor e, se comprate, perderebbero autorevolezza. In ogni caso, l’indice proposto non conta le pubblicazioni in quanto tali, ma le pesa per il numero di citazioni, quindi l’impatto che hanno avuto nella professione. Dubito che un “articolo comprato” raccoglierebbe molte citazioni.
Un lettore mi chiede di misurare anche la produttività dei genitori di Silvia Deaglio. Il grafico qui sotto lo accontenta usando la distribuzione del numero di citazioni. Ricordo che il numero di citazioni non può che essere molto diverso fra disciplina e disciplina. Quindi i valori assoluti non sono comparabili a quelli già mostrati per medicina. Ma è possibile guardare alla posizione dei singoli nella distribuzione, come nel grafico qui sotto (per questioni di scala esclude 49 osservazioni con più di 1000 citazioni).

Lascio ai lettori giudicare. Certamente, sulla base di queste misure, non potrei definire eccellente la produzione scientifica dei genitori di Silvia Deaglio.  Immagino peraltro che, più di lei, abbiano avuto accesso a finanziamenti di un certo rilievo. Si noti inoltre che il numero di citazioni è una misura che favorisce i docenti di lungo corso. Non ho ancora i dati di citazioni per anno dall’inizio dell’attività di ricerca. Vi posso solo dire che nel caso di Mario Deaglio sono meno di una citazione all’anno (per l’esattezza 0,89).   Michele Boldrin mi chiede i dati di Michel Martone. Cercherò di accontentarlo al più presto.
Quanto ai commenti, un’annotazione frequente è “se non si chiamasse Silvia Deaglio non ne avrebbe parlato, non l’avrebbe difesa”.  Concordo pienamente. Se non avesse avuto quel nome, non ne avrei trattato. Per il semplice motivo che è proprio perchè aveva questo nome che la Prof.ssa Deaglio è stata oggetto di una gogna mediatica senza precedenti. E’ stata questa gogna mediatica e il riscontro che non solo non aveva alcun fondamento, ma gettava fango su una di quelle ricercatrici, di quei cervelli che tutti dicono di voler tenere in Italia a spingermi a scrivere. Molti tirano in ballo i bamboccioni. Credo di essere stato tra i primi a condannare le esternazioni di Mario Monti e dei suoi colleghi di governo. Non posso che trovare paradossale che per condannare queste esternazioni ce la si prenda con i figli e non con chi le ha fatte. In Italia ce la si prende sempre coi “figli di papà” e non con i “papà dei figli”.
Credo, in ogni caso, di avere fatto bene a fornire questi dati perchè volevo giungere alla stessa conclusione cui arrivano molti altri commenti: “il problema non è Silvia Deaglio, ma l’università italiana”. Non potrei essere più d’accordo. Quindi lasciamo in pace Silvia Deaglio e occupiamoci dei veri problemi. Come scrive Barbara Veronese, “il problema dell’Italia è che molti dei miei coetanei economisti (diciamo sotto/sui 40), che pure vantano esperienze all’estero, hanno pubblicazioni internazionali sopra la media, anche sopra la media dei docenti che li esaminano nelle commissioni di concorso spesso, e nonostante possano esibire un grafico come quello che ha fatto Lei nell’articolo non ottengono il posto, da nessuna parte”.  E’ proprio per questo motivo  è che il numero medio di citazioni ad economia è così basso. Se l’università funzionasse premiando il merito scientifico, la ricerca, non alimenterebbe tutti questi sospetti. Questo sito ha, da quando esiste, sempre denunciato questo stato di cose. Personalmente non credo di essere certo stato tra gli ultimi a denunciare il caso del rettore della Sapienza e le omonimie alla facoltà di Bari. Al di là della denuncia dei casi più eclatanti e della documentazione sui concorsi universitari (cui ha dedicato tantissimo tempo ed energie, uno dei redattori de lavoce, il prof. Roberto Perotti), il problema va combattuto cambiando le regole con cui si assegnano i fondi all’università italiana. Purtroppo ho visto sin qui solo passi indietro nell’azione di questo Governo; il bando per il PRIN è un ritorno alle baronie accademiche perchè obbliga le università a fare la selezione al loro interno oppure ad assemblare progetti che nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro sia in termini di temi affrontati che di qualità dei ricercatori coinvolti. E’ un modo per il Ministero di scaricarsi dalla responsabilità di selezionare i progetti. A mio giudizio l’unico vero ruolo del Ministero dovrebbe essere proprio quello di garantire che tutti i docenti e gli atenei vengano valutati e che queste valutazioni vengano utilizzate nell’allocazione dei fondi pubblici. Se abdica a questa funzione, il Ministero non ha proprio ragione di esistere.

IL NEPOTISMO AL CONTRARIO

In un paese schierato contro i giovani non si esita ad accusare di nepotismo i figli anziché i padri. E più bravi sono i figli, più pesanti sono le accuse. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a una vera e propria gogna mediatica contro Silvia Deaglio, professore associato di medicina all’Università di Torino. Avrebbe fatto una carriera brillantissima solo grazie ai suoi genitori, Elsa Fornero (da due mesi Ministro del Welfare) e Mario Deaglio (Professore di Economia). Nepotismo significa che genitori inetti impongono alla collettività figli inetti. Ognuno è libero di farsi un’opinione dei genitori. Sono entrambe persone conosciute. Molto meno conosciuta è la figlia, la vera vittima di questa persecuzione. Opera in un campo diverso dei suoi genitori, le scienze mediche. Lavora nello stesso ateneo di questi, l’università di Torino. Ma questo di per sé non significa nepotismo: qualunque facoltà di medicina italiana dovrebbe infatti fare di tutto per avere Silvia Deaglio nel proprio corpo docente.
Guardiamo a due misure dell’impatto della sua ricerca: l’indice h (misura il numero di lavori pesandoli per il numero di citazioni ricevute)  e il numero totale di citazioni. Come si vede dai grafici qui sotto, in tutte e due queste misure, Silvia Deaglio è nella parte alta della distribuzione delle persone della sua età che hanno un posto nelle facoltà di medicina in Italia, quattro volte al di sopra della media. E’, in altre parole, un’eccellenza. Vogliamo fare una proposta: chi l’accusa di portare via il posto ad altri più meritevoli, non si nasconda dietro agli pseudonimi così frequenti sul web. Si dichiari, nome, cognome e disciplina e ci dia così modo di misurare l’impatto anche delle sue ricerche.

L’ANDAMENTO DELLO SPREAD ITALIA-SPAGNA

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CI VUOLE UNA VERA RIFORMA DEL LAVORO

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DUE CONTRATTI A CONFRONTO

Con l’apertura del tavolo sul mercato del lavoro, il governo Monti affronta un nodo cruciale del suo percorso riformatore. In questi giorni si è molto discusso del contratto unico di inserimento e del contratto di apprendistato, confondendo spesso le due tipologie contrattuali. Che invece si differenziano su alcuni punti essenziali. Per esempio, il contratto unico è a costo zero per le casse dello Stato, mentre non lo è quello di apprendistato. E si applica a milioni di lavoratori. Il contratto di apprendistato invece riguarda solo i giovani fino a 29 anni.

QUELL’ABBRACCIO MORTALE FRA FONDAZIONI E BANCHE

Le vicende di Mps e di Unicredit confermano quanto sia opportuna la separazione tra fondazioni e banche conferitarie. Le fondazioni potrebbero perseguire i loro obiettivi statutari. E migliorerebbe la governance delle banche, aprendo a soggetti che hanno come obiettivo primario la massimizzazione del loro valore. È una riforma degli assetti proprietari del nostro capitalismo utile ora, nell’immediato della crisi, e dopo, quando sarà finita. Perché renderebbe più efficienti e più stabili le banche italiane, contribuendo al rilancio di tutto il nostro sistema produttivo.

ASPETTANDO IL SECONDO TEMPO DEL GOVERNO

A regime, le manovre estive e quella del nuovo governo porteranno a un aggiustamento superiore agli 80 miliardi. Insomma, quasi sei punti di Pil in tre anni. È una cura da cavallo. E potrebbe comunque non essere sufficiente per raggiungere l’obiettivo del bilancio in pareggio entro il 2013. Il problema è che quasi tutte le misure previste sono sul lato delle entrate, tanto che il loro peso sul Pil è destinato a salire ben oltre il 50 per cento e la pressione fiscale arriverà al 47 per cento. Sarà molto difficile far ripartire l’economia in queste condizioni.

MOLTO RIGORE, POCA EQUITÀ E POCHISSIMA CRESCITA

 Rigore, equità e crescita sono i tre principi che Mario Monti ha indicato quali pilastri per le scelte di politica economica. Nella manovra varata dal suo governo c’è molto rigore, forse troppo. Poca equità. E soprattutto pochissima crescita. Il tempo a disposizione era limitato. Ma proprio perché siamo in condizioni di emergenza si poteva e si doveva fare di più. C’è comunque un miglioramento rispetto alle manovre estive, in particolare in materia previdenziale, deindicizzazione a parte, e nello spostare la tassazione dal lavoro ai patrimoni. Davvero molto, però, resta ancora da fare.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

La maggior parte dei commenti ricevuti dai lettori sono sintetizzabili in tre filoni: maggior ricorso alla tracciabilità, detrazione dell’IVA e rafforzamento delle misure repressive.
Il maggior ricorso alla tracciabilità è certamente una risorsa, ma, anche per le ragioni già ricordate da Thomas Tassani, la tassazione del contante non è una buona  idea. Un lettore ricorda il pericolo di un “aumento dei soldi sotto il materasso”, il che si potrebbe estendere come pericolo di un incremento del ricorso ai canali alternativi di gestione del contante. Rimane poi il problema (su cui poi tornerò) che i dati tracciati devono essere utilizzati in modo corretto.

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