Il taglio dei tassi di 50 punti base operato dalla Fed nell’ultima riunione ha sorpreso gli analisti. Il tasso di interesse reale rimane però al di sopra di quello reale naturale. Dunque, nel prossimo futuro possiamo aspettarci nuovi ribassi, ma graduali.
Autore: Tommaso Monacelli Pagina 1 di 11
Tommaso Monacelli è professore ordinario di Economia all'Università Bocconi di Milano, e Fellow di IGIER Bocconi e del CEPR di Londra. Ha ottenuto il Ph.D. in Economia presso la New York University, ed è stato in precedenza assistant professor a Boston College e professore associato all'Università Bocconi. E' associate editor di riviste scientifiche internazionali, tra cui il Journal of the European Economic Association, il Journal of Money Credit and Banking, e la European Economic Review. E' stato adjunct professor presso la Columbia University, visiting professor presso la Central European University, e research consultant per Bce, Ocse, IMF, e Riksbank. I suoi interessi di ricerca riguardano la teoria e politica monetaria e la macroeconoma internazionale.
Il problema numero uno in Italia è la crescita bassa. Per capirne le cause, bisogna guardare all’andamento della produttività aggregata. Il ritardo rispetto al dato francese è evidente. L’ipotesi che a determinarlo sia la dimensione delle aziende.
È l’incertezza del quadro economico e geopolitico che ha spinto la Bce a optareper decisioni sui tassi di interesse prese di volta in volta, sulla base dei dati. Ma la completa rinuncia al controllo delle aspettative di inflazione suscita perplessità.
L’inflazione è stata guidata dall’andamento dei costi di produzione ed energia, mentre i rialzi dei tassi della Bce hanno frenato le aspettative di spirale prezzi-salari. Ora il problema è capire se ci sarà o meno il temuto rallentamento dell’economia.
L’inflazione degli ultimi tre anni in Italia è condizionata dall’andamento dei prezzi energetici, ora in calo. Ma Il dato depurato dai prezzi volatili di energia e alimentari si mantiene ancora alto. E per questo i tassi di interesse restano elevati.
I progressi nella lotta all’inflazione sono evidenti, ma non bastano. La Bce non ha alzato i tassi nell’ultima riunione. Ma fermarsi adesso, alla probabile vigilia di un nuovo incremento dei prezzi dell’energia, potrebbe rivelarsi la scommessa sbagliata.
L’inflazione è oggi molto più resistente e meno sensibile ai rialzi dei tassi. La promessa indiretta della Bce di mantenerli invariati d’ora in avanti sembra difficile da mantenere. A meno di non mettere in discussione il target del 2 per cento.
A giugno Fed e Bce hanno preso decisioni diverse sui tassi. Se l’azione della prima lascia qualche dubbio, la seconda paga i ritardi nell’avvio della fase restrittiva e si trova a gestire una situazione complessa con alta inflazione ed economia debole.
L’inflazione resta persistente negli Stati Uniti e nell’Unione europea. Dunque, le banche centrali dovrebbero insistere con gli incrementi dei tassi di interesse. Ma dal punto di vista della solvibilità delle banche, ciò potrebbe rivelarsi disastroso.
La Bce alza ancora i tassi e annuncia una progressiva riduzione degli acquisti di attività. Ma la banca centrale è davanti a un dilemma: da un lato la necessità di frenare l’inflazione, dall’altro le conseguenze che i rialzi hanno sui paesi ad alto debito.