Lavoce.info

Autore: Vincenzo Galasso Pagina 4 di 5

galasso Vincenzo Galasso è professore di Economia Politica presso l'Università Bocconi di Milano, Research Affiliate del CEPR - Centre for Economic Policy Research, London e Research Fellow dell´IGIER. Ha conseguito una laurea in Economia Politica presso l'Università Bocconi e un Ph.D. in Economics presso la University of California at Los Angeles. Successivamente è stato Assistant Professor presso la Universidad Carlos III de Madrid. Nella sua ricerca si occupa prevalentemente di political economics, pensioni e stato sociale.

POSTO FISSO PER CHI?

Quando parla il Ministro dell’Economia bisogna prenderlo sul serio. In cosa consiste la svolta di Giulio Tremonti sul posto fisso? Ci sono tre interpretazioni. La prima è che sia solo una mossa demagogica, politica, per “spiazzare la sinistra”, come rimarcato da diversi quotidiani e commentatori.  Se così fosse non ci interessa. Notiamo che servirebbe solo a rendere più fisso il posto di Giulio Tremonti alla scrivania di Quintino Sella.
La seconda interpretazione è che il Ministro voglia davvero intervenire dove ha voce in capitolo. Tremonti è di fatto il cassiere del pubblico impiego. Ha dunque il Ministro intenzione di assumere tutti i lavoratori precari della Pubblica amministrazione? Quanto costa? E cosa ne pensa il titolare del dicastero alla Funzione Pubblica, il datore di lavoro dei pubblici dipendenti?
La terza interpretazione è che Tremonti voglia intervenire anche fuori dal pubblico impiego, nel settore privato. Anche qui avrebbe delle leve da muovere. Ad esempio, può aumentare i costi del licenziamento individuale e limitare i casi di licenziamento collettivo per motivi economici. Tutto ciò renderebbe più sicuro il posto “fisso” di chi un lavoro a tempo indeterminato ce l’ha già. Ma esporrebbe ancora di più i lavoratori precari al rischio di licenziamento (già oggi di otto volte superiore a quello per i lavoratori con contratti permanenti).
Tremonti sa bene che non si può garantire il posto fisso a tutti. Neanche in un’economia pianificata. Lo si può fare per alcuni lavoratori scaricando tutti i rischi su chi è lasciato fuori, ad esempio i lavoratori temporanei e i disoccupati. Quello che si può fare è garantire a tutti protezione contro il rischio di perdere il lavoro, riformando gli ammortizzatori sociali in modo tale da offrire copertura assicurativa a tutti. Si può anche ridurre il dualismo fra lavoratori con contratti temporanei e contratti permanenti, cambiando le regole di accesso al mercato del lavoro per consentire a tutti un ingresso dalla porta principale. Ciò può avvenire attraverso la creazione di un sistema di tutele progressive per il lavoratore che aumenti con la durata del rapporto di lavoro. Questo è l’unico modo per permettere che la stabilizzazione dei precari avvenga senza distruggere posti di lavoro.

LA CRISI NEL VOTO DEGLI ITALIANI

Al contrario di quanto accade in altri paesi, in Italia la crisi economica rafforza il governo, almeno per il momento. Le intenzioni di voto indicano che sono proprio le categorie più colpite, e soprattutto i giovani, ad affidarsi a Silvio Berlusconi. Dopo le elezioni, il governo non potrà dunque ignorare il segnale mandato dal settore più sofferente, ma anche più dinamico, della società. Non è il momento delle strategie dei due tempi: bisogna fare subito le riforme, per migliorare le condizioni delle giovani generazioni.

PENSIONE EUROPA

Le caratteristiche anagrafiche, le esperienze politiche precedenti e il comportamento dei nostri eurodeputati sembrano confermare l’opinione diffusa che l’elezione al Parlamento europeo rappresenti una sorta di pensionamento di lusso. Magari in omaggio all’idea che l’Europarlamento abbia un ruolo istituzionale subalterno rispetto al Consiglio dei ministri europei nel prendere le decisioni. E’ una visione antiquata. Ma se anche fosse vero, perché non usare l’Europarlamento come un banco di prova per politici giovani e promettenti invece che come una lussuosa casa di riposo?

MASSIMA SPESA, MINIMA RESA?

L’indennità dei parlamentari italiani è fino a quattro volte superiore al reddito annuale di un manager del settore privato. E i redditi totali dei deputati nel primo anno alla Camera aumentano in media del 77 per cento. A questo si somma il reddito di eventuali attività professionali esterne: in media un ulteriore 38 per cento dell’indennità. Ma le stime suggeriscono che 10mila euro di reddito guadagnato in attività al di fuori del Parlamento riducono il tasso di partecipazione del parlamentare dell’1 per cento. Nasce da qui la proposta di abolire la possibilità di cumulo.

CHI VUOLE CAMBIARE LA CLASSE DIRIGENTE?

Secondo i sondaggi ben il 58 per cento degli italiani è insoddisfatto dei rappresentanti politici. E tutti a parole in questi primi scampoli di campagna elettorale dicono di voler cambiare. Tre criteri per capire se lo faranno sul serio: sono favorevoli a un sistema maggioritario a due turni, a tenere primarie a livello locale nella selezione dei candidati e a estendere il diritto di voto ai sedicenni sia alla Camera che al Senato?

DOBBIAMO PROPRIO RINUNCIARE AL MAGGIORITARIO?

Il voto del Senato sulla Finanziaria sembra allontanare le elezioni. Pur di evitare il referendum, i partiti cercheranno ora di trovare un accordo sulla riforma della legge elettorale. La proposta Vassallo è un buon punto di partenza, ma fa uscire di scena il maggioritario.  Si rischia di abbandonare il bipolarismo e di ricadere nell’instabilità.  Difficile prevedere in che misura il sistema proporzionale con collegi uninominali potrà modificare la selezione della classe politica. Impossibile comunque far peggio del sistema attuale, in cui non si possono esprimere preferenze.  

L’eredità previdenziale

Il tavolo delle pensioni sembra incapace di rivolgere uno sguardo al futuro. La dinamica demografica è lenta, ma i suoi effetti sul sistema previdenziale si faranno sentire drammaticamente quando i baby-boomers italiani inizieranno a lasciare il lavoro. Aspettare che anche l’Inps vada in disavanzo prima di agire è sicuramente inefficiente e miope. Ed è anche iniquo verso le generazioni future, che saranno chiamate a sostenere l’intero costo dell’invecchiamento della popolazione. Se le risorse ci sono, utilizziamole pensando ai giovani di oggi.

Giovani? state fuori dal palazzo!

La composizione del comitato del Partito democratico ci fornisce un interessante spaccato dello stato della politica italiana. Un passo avanti nella rappresentanza femminile, anche se non si raggiunge la prefissata quota del 40 per cento. Ma la vera peculiarità è nell’età media del comitato, più elevata di quella dei deputati dell’Ulivo. Un’enorme concentrazione del potere decisionale nelle mani dei cinquantenni, mentre i ventenni o trentenni sono i grandi assenti al tavolo delle decisioni. Che riguardano il loro futuro.

Pensioni: per i giovani il futuro è adesso

Quando i giovani d’oggi si avvicineranno alla pensione scopriranno di essere più poveri in termini di ricchezza previdenziale dei loro padri. Carriere contributive molto più discontinue e un sistema contributivo meno generoso li porteranno a lavorare fino a quasi 70 anni. Aumentare l’età di pensionamento, rivedere i coefficienti di trasformazione e investire nella previdenza complementare già oggi sarebbe un esercizio di equità intergenerazionale. Ma i giovani non sembrano né invitati né interessati al dibattito dove si decide soprattutto del loro futuro.

Ma gli elettori volevano le riforme

La Finanziaria redistributiva e timida nelle riforme, apprezzata da sinistra e sindacati, accontenta forse pensionati e colletti blu, tra i più restii, con i lavoratori in proprio, ad approvare politiche di austerità. Ma rappresenta un’occasione mancata, perché non coglie la disponibilità di impiegati, dirigenti e in certa misura anche degli operai ad accollarsi, con equità, il peso di politiche di sviluppo che consentano all’economia di tornare a crescere.

Pagina 4 di 5

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén